Generali
Cile: una bellissima storia di calcio. Tutto parte dal lontano, andando a ritroso tra Sampaoli, Borghi e Bielsa (tutti argentini), arrivando fino al terzo posto al Mondiale Under 20 2007. Quel Cile sconfitto dall'Argentina in semifinale aveva in rosa Medel, Vidal, Isla e Alexis Sanchez. Questa generazione di sicuro talento è stata forgiata giorno dopo giorno, torneo dopo torneo. Sampaoli è stato magistrale nella gestione della rosa ed ha portato in finale una squadra sicurissima dei suoi mezzi, padrona del gioco anche contro i più forti di tutti. Il Cile ha puntato sul gioco, sul pressing, sugli scambi e sulla garra, arrivando al premio finale. La prima volta per tutti, per una bellissima storia.
Argentina: c'è chi entra nella storia dal lato sbagliato, e l'Argentina purtroppo si sta specializzando. Per il secondo anno consecutivo l'Argentina deve accontentarsi del secondo posto. Una generazione d'oro sta perdendo occasioni su occasioni per trovare compimento. Contro il Cile è mancato un po' di cinismo sotto porta, ma in generale l'albiceleste è sembrata un po' troppo contratta. Al contrario del Mondiale qui era la squadra più forte, eppure non ha tolto il pallino del gioco ai padroni di casa. L'infortunio di Di Maria e la scomparsa degli uomini di maggior talento ha dato il colpo finale.
Singoli
Higuain: Buenos Aires abbiamo un problema. Dal Mondiale alla Copa America, passando per i preliminari di Champions e la sfida con la Lazio, Higuain ha sbagliato tutte le partite decisive. Non solo incidendo poco, ma proprio con errori fondamentali per il risultato. Già Martino lo ha declassato a riserva, questo potrebbe significare la fine del suo rapporto con l'albiceleste, anche visto gli scalpitanti '93. Quanto peserà tutto questo sul suo futuro?
Messi: non ha colpe per la finale, ma nemmeno meriti. E se ti chiami Messi questo è un problema. In 120 minuti non ha regalato praticamente nulla del suo talento, se non una scodellata in area per Aguero. Ancora una volta con l'Argentina non riesce a incidere come tutti, lui per primo, vorrebbero. Il solco con Maradona sta tutto qui. In tutto il torneo 1 gol, su rigore. Sono stati 58 col Barcellona in stagione.
Tevez: detto in breve, cosa è stato convocato a fare? In attacco era la terza scelta come prima punta dopo il Kun e il Pipita, come esterno Martino ha preferito Di Maria e Lavezzi. Forse la sua personalità poteva servire anche in finale dopo il rigore in semifinale. Gestione curiosa, per non usare altri termini.
Di Maria: se Higuain ha la maledizione di sbagliare le partite decisive, lui ha quella degli infortuni che gliele fanno saltare. Dopo il Mondiale ancora non riesce a finire il torneo sano. E dire che sembrava in condizione, una grave perdita per la seleccion.
Demichelis: tutti pensano sia finito, ma alla fine arriva sempre a giocare titolare. Quasi incredibile come si sia conquistato anche in Copa il posto dopo aver convinto Sabella ai Mondiali. E non sbaglia niente, cosa non sempre garantita.
Mascherano: salvate il soldato Mascherano. Lui, veramente, non si merita tutto questo. In campo c'è sempre, tra difesa e centrocampo, pronto a recuperare e imbastire il gioco. Un pilastro dell'Argentina che meriterebbe di alzare un trofeo. Aiutatelo per piacere.
Sanchez: il rigore decisivo battuto a cucchiaio, davanti a tutta Santiago. Un gesto che rimarrà nella storia, sia per impertinenza che per importanza visto che ha portato alla vittoria. In Italia, per intenderci, parliamo ancora del cucchiaio di Totti per molto meno.
Silva: il coniglio uscito dal cilindro di Sampaoli per la finale. Ha di fatto sostituito lo squalificato Jara, ma è stata una scelta a sorpresa visto che col Perù aveva giocato Rojas. Risposta di personalità e qualità, e contro avversari di livello assoluto.
Diaz: il riferimento assoluto della mediana del Cile è un uomo tatticamente fondamentale per Sampaoli tanto quanto poco appariscente. Detta i ritmi, copre, scala in difesa sia per favorire il possesso che per coprire e ci mette intensità e personaltà. Di fatto è il gemello di Medel, e non è poco.
Valdivia: il Mago si inceppa nella partita più importante. C'era da aspettarselo conoscendo il personaggio, ma era bello sognare una sua giocata decisiva. Ha preso con una certa filosofia anche la sostituzione nel secondo tempo, ma la vittoria ripaga di tutto. Ci vediamo in Arabia.
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6 lug 2015
Copa America 2015, finale
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29 giu 2015
Copa America 2015, i quarti
Generali
Allenatori argentini: su quattro allenatori in semifinale, quattro sono argentini. Sarà un caso, ma il movimento argentino evidentemente produce tecnici di livello, almeno in relazione al Sudamerica. Quattro tecnici con curriculum diversi, ma tutti capaci di dare un'impronta chiara alla propria squadra.
Il Perù: ok, doveva superare "solo" la Bolivia, ma lo stesso arriva in semifinale con una bella dimostrazione di forza. Gareca ha messo in campo la squadra per giocare e vincere, e il cambiamento non è affatto facile come sembra. In più uno dei suoi uomini chiave (Lobaton) era squalificato. Ennesima testimonianza del gran lavoro dell'allenatore, e di un'applicazione straordinaria dei ragazzi peruviani, protagonisti per la seconda Copa consecutiva.
Il Paraguay, bestia nera del Brasile: il Paraguay ha eliminato il Brasile in due edizioni della Copa consecutive. Sempre ai rigori, ma la notizia c'è lo stesso anche vista l'evidentissima disparità di mezzi (anche al netto della crisi tecnica del Brasile). Basta poco per creare un complesso e far nascere una rivalità inversa rispetto a quella che tutti penserebbero. Il Paraguay all'opposto del Cile, praticamente.
La Colombia: si è già detto praticamente tutto, ma meglio ribadire. Sono arrivati alla Copa del tutto svuotati e hanno fatto praticamente scena muta. Unici protagonisti la sorpresa Murillo, un ritrovato Zapata e un Ospina miracoloso contro l'Argentina. Bisogna rifondare.
Il Brasile: la colpa sarà anche di Dunga, ma il materiale continua a rivelarsi limitatissimo. Neymar finchè ha giocato ha fatto la differenza, esattamente come un anno fa, ma fino a che livello può bastare? Se molla persino Thiago Silva rimane veramente poco a cui aggraparsi. Scelte non facili per il futuro prossimo, e la CBF non è che sia proprio un organismo illuminato già di suo.
Arbitri: decisamente non il meglio di questa Copa, e in generale non il massimo per l'immagine del continente. Almeno due partite (Cile-Uruguay e Colombia-Argentina) gestite decisamente male. Sono arrivate squalifiche successive e sospensioni, ma la credibilità è andata a farsi benedire.
Delinquenza: conseguenza diretta dell'assenza di arbitraggio, si sono viste allegre scazzottate in campo, per lo più impunite. Dalle entrate a martello alle scivolate a forbice fino alla famosa provocazione di Jara ogni partita ha regalato il suo momento di gloria.
Singoli
Tata Martino: l'Argentina è probabilmente la favorita assoluta del torneo, ma questo vale per quasi tutte le edizioni. L'approdo in semifinale non era scontato quanto sembra, e Martino sta provando a dare una sua impronta, vedere il tridente piccolo e Pastore a centrocampo. Dove non arriva la tattica, ci pensa il talento (o la fortuna, scegliete voi). Sarebbe anche finalista uscente visto il secondo posto col Paraguay quattro anni fa.
Di Maria: schierato da esterno sinistro del tridente non convince. Qualità nel cross e negli scambi di sicuro, ma una perenne sensazione di vederlo limitato, sia come spazi che per la possibilità di andare solo a sinistra. Nel secondo tempo con la Colombia è sparito dal campo. Sembra intristito, ma parliamo di un valore aggiunto fondamentale per l'Argentina.
Guerrero: l'uomo più atteso del Perù, nonchè capocannoniere uscente della Copa, risponde presente proprio nel momento migliore. Una tripletta alla Bolivia per el Depredador, che conferma il suo status sudamericano di cannoniere in una prova a tuttotondo, fatta anche di difesa del pallone, personalità e qualità nel giocare la palla. I difensori cileni, non esattamente dei colossi, sono avvisati.
Vargas: in Italia è percepito come un ex giocatore (con ottimi motivi), nel Perù è ancora uno dei leader, tecnici ed emotivi. Il meglio che produce il Perù parte dal suo mancino, in un ideale triangolo estremamente qualitativo con Cueva e Guerrero. Gli manca il gol, il Cile farebbe bene a evitare di regalargli punizioni.
James: dalle stelle alle stalle. Un anno fa era mister ottanta milioni, oggi sarebbe mister ottantamila lire. L'eliminazione della Colombia non è colpa sua e il contesto non l'ha aiutato minimamente, ma lui non ha regalato nemmeno uno spunto degno del suo talento e della sua fama. Contro l'Argentina ha avuto anche sul sinistro l'occasione per vincere la partita, ma ha deciso di non tirare. Non un bellissimo segnale.
Ospina: contro l'Argentina semplicemente insuperabile. Tre parate insensate che hanno portato la gara ai rigori, dove non è riuscito a completare il miracolo. Sarebbe il terzo portiere dell'Arsenal...
Thiago Silva: spesso indicato come l'unica speranza presente e futura del Brasile, contro il Paraguay compromette la partita con un tocco di mano folle. Senza quel rigore non sono sicuro che i guaranì avrebbero trovato il pari, o anche solo tirato in porta. Mentalmente non sembra proprio al massimo, e succede da diversi mesi. Forse non è per caso che Dunga aveva scelto di metterlo in panchina.
Pekerman: un po' come ai Mondiali contro il Brasile, nella partita più importante decide di cambiare, azzarda e perde. Ma se ai Mondiali ha compromesso una squadra che funzionava, qui si è solo giocato il tutto per tutto sapendo di dover pescare un jolly. Un solo centrocampista e dentro tutti i corridori possibili dietro a Teofilo, l'unico apparso in forma. Dopo ventiquattro minuti ha alzato bandiera bianca.
Valdivia: il Mago è nettamente il giocatore più eccitante di questa Copa. Finalmente titolare, finalmente al centro del gioco, ad ogni partita ha regalato almeno venti minuti di qualità assoluta. Ha una visione del calcio totalmente diversa da tutti, ma in particolare rispetto ai suoi compagni e alle idee di Sampaoli. E va in campo esattamente per questo, sempre con la bacchetta magica. L'assist per il gol decisivo contro l'Uruguay è suo, ed è molto più difficile di quanto lo ha fatto sembrare.
Isla: con la maglia rossa è un giocatore. Presenza costante in fascia, macina una quantità impressionante di chilometri ed è uno de ricettori preferiti dei palloni verticali di Valdivia. Col suo terzo gol in nazionale si toglie la soddisfazione di portare il Cile in semifinale. Non segnava dal 2011. Uomo del destino?
Allenatori argentini: su quattro allenatori in semifinale, quattro sono argentini. Sarà un caso, ma il movimento argentino evidentemente produce tecnici di livello, almeno in relazione al Sudamerica. Quattro tecnici con curriculum diversi, ma tutti capaci di dare un'impronta chiara alla propria squadra.
Il Perù: ok, doveva superare "solo" la Bolivia, ma lo stesso arriva in semifinale con una bella dimostrazione di forza. Gareca ha messo in campo la squadra per giocare e vincere, e il cambiamento non è affatto facile come sembra. In più uno dei suoi uomini chiave (Lobaton) era squalificato. Ennesima testimonianza del gran lavoro dell'allenatore, e di un'applicazione straordinaria dei ragazzi peruviani, protagonisti per la seconda Copa consecutiva.
Il Paraguay, bestia nera del Brasile: il Paraguay ha eliminato il Brasile in due edizioni della Copa consecutive. Sempre ai rigori, ma la notizia c'è lo stesso anche vista l'evidentissima disparità di mezzi (anche al netto della crisi tecnica del Brasile). Basta poco per creare un complesso e far nascere una rivalità inversa rispetto a quella che tutti penserebbero. Il Paraguay all'opposto del Cile, praticamente.
La Colombia: si è già detto praticamente tutto, ma meglio ribadire. Sono arrivati alla Copa del tutto svuotati e hanno fatto praticamente scena muta. Unici protagonisti la sorpresa Murillo, un ritrovato Zapata e un Ospina miracoloso contro l'Argentina. Bisogna rifondare.
Il Brasile: la colpa sarà anche di Dunga, ma il materiale continua a rivelarsi limitatissimo. Neymar finchè ha giocato ha fatto la differenza, esattamente come un anno fa, ma fino a che livello può bastare? Se molla persino Thiago Silva rimane veramente poco a cui aggraparsi. Scelte non facili per il futuro prossimo, e la CBF non è che sia proprio un organismo illuminato già di suo.
Arbitri: decisamente non il meglio di questa Copa, e in generale non il massimo per l'immagine del continente. Almeno due partite (Cile-Uruguay e Colombia-Argentina) gestite decisamente male. Sono arrivate squalifiche successive e sospensioni, ma la credibilità è andata a farsi benedire.
Delinquenza: conseguenza diretta dell'assenza di arbitraggio, si sono viste allegre scazzottate in campo, per lo più impunite. Dalle entrate a martello alle scivolate a forbice fino alla famosa provocazione di Jara ogni partita ha regalato il suo momento di gloria.
Singoli
Tata Martino: l'Argentina è probabilmente la favorita assoluta del torneo, ma questo vale per quasi tutte le edizioni. L'approdo in semifinale non era scontato quanto sembra, e Martino sta provando a dare una sua impronta, vedere il tridente piccolo e Pastore a centrocampo. Dove non arriva la tattica, ci pensa il talento (o la fortuna, scegliete voi). Sarebbe anche finalista uscente visto il secondo posto col Paraguay quattro anni fa.
Di Maria: schierato da esterno sinistro del tridente non convince. Qualità nel cross e negli scambi di sicuro, ma una perenne sensazione di vederlo limitato, sia come spazi che per la possibilità di andare solo a sinistra. Nel secondo tempo con la Colombia è sparito dal campo. Sembra intristito, ma parliamo di un valore aggiunto fondamentale per l'Argentina.
Guerrero: l'uomo più atteso del Perù, nonchè capocannoniere uscente della Copa, risponde presente proprio nel momento migliore. Una tripletta alla Bolivia per el Depredador, che conferma il suo status sudamericano di cannoniere in una prova a tuttotondo, fatta anche di difesa del pallone, personalità e qualità nel giocare la palla. I difensori cileni, non esattamente dei colossi, sono avvisati.
Vargas: in Italia è percepito come un ex giocatore (con ottimi motivi), nel Perù è ancora uno dei leader, tecnici ed emotivi. Il meglio che produce il Perù parte dal suo mancino, in un ideale triangolo estremamente qualitativo con Cueva e Guerrero. Gli manca il gol, il Cile farebbe bene a evitare di regalargli punizioni.
James: dalle stelle alle stalle. Un anno fa era mister ottanta milioni, oggi sarebbe mister ottantamila lire. L'eliminazione della Colombia non è colpa sua e il contesto non l'ha aiutato minimamente, ma lui non ha regalato nemmeno uno spunto degno del suo talento e della sua fama. Contro l'Argentina ha avuto anche sul sinistro l'occasione per vincere la partita, ma ha deciso di non tirare. Non un bellissimo segnale.
Ospina: contro l'Argentina semplicemente insuperabile. Tre parate insensate che hanno portato la gara ai rigori, dove non è riuscito a completare il miracolo. Sarebbe il terzo portiere dell'Arsenal...
Thiago Silva: spesso indicato come l'unica speranza presente e futura del Brasile, contro il Paraguay compromette la partita con un tocco di mano folle. Senza quel rigore non sono sicuro che i guaranì avrebbero trovato il pari, o anche solo tirato in porta. Mentalmente non sembra proprio al massimo, e succede da diversi mesi. Forse non è per caso che Dunga aveva scelto di metterlo in panchina.
Pekerman: un po' come ai Mondiali contro il Brasile, nella partita più importante decide di cambiare, azzarda e perde. Ma se ai Mondiali ha compromesso una squadra che funzionava, qui si è solo giocato il tutto per tutto sapendo di dover pescare un jolly. Un solo centrocampista e dentro tutti i corridori possibili dietro a Teofilo, l'unico apparso in forma. Dopo ventiquattro minuti ha alzato bandiera bianca.
Valdivia: il Mago è nettamente il giocatore più eccitante di questa Copa. Finalmente titolare, finalmente al centro del gioco, ad ogni partita ha regalato almeno venti minuti di qualità assoluta. Ha una visione del calcio totalmente diversa da tutti, ma in particolare rispetto ai suoi compagni e alle idee di Sampaoli. E va in campo esattamente per questo, sempre con la bacchetta magica. L'assist per il gol decisivo contro l'Uruguay è suo, ed è molto più difficile di quanto lo ha fatto sembrare.
Isla: con la maglia rossa è un giocatore. Presenza costante in fascia, macina una quantità impressionante di chilometri ed è uno de ricettori preferiti dei palloni verticali di Valdivia. Col suo terzo gol in nazionale si toglie la soddisfazione di portare il Cile in semifinale. Non segnava dal 2011. Uomo del destino?
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27 giu 2015
Il fallimento della Colombia
Solo un anno fa la Colombia aveva fatto innamorare tutti.
Ai Mondiali 2014 la squadra di Pekerman era stata la sorpresa più credibile del torneo, eliminata solo dal Brasile in un quarto di finale difficile da digerire per gli spettatori imparziali, figuriamoci per i tifosi. Quella squadra aveva un impianto semplice, ma ben definito, predicato sulla fisicità di tutti gli interpreti, sull'ordine in fase difensiva e sugli spunti di classe dei giocatori offensivi.
In Brasile la Colombia aveva dominato il suo girone vincendo tutte le partite segnando ben nove gol. Nella fase a eliminazione agli ottavi i cafeteros regalarono una prestazione straordinaria contro l'Uruguay, trascinati da una doppietta di James, per poi essere eliminati dal Brasile grazie anche a un arbitraggio decisamente casalingo. Proprio il numero 10, indiscutibile rivelazione del torneo, chiuse la competizione da capocannoniere con sei centri. Cuadrado invece come migliore negli assist con quattro passaggi decisivi per i compagni.
Su questa base ci si aspettava una Colombia protagonista nella Copa America 2015, dove avrebbe potuto anche contare su un certo Radamel Falcao. Invece qualcosa è andato decisamente storto.
La Colombia chiude la Copa America eliminata ai quarti dall'Argentina ai rigori. Un risultato che sarebbe anche onorevole se arrivato in un altro modo. Nel girone ha chiuso con una vittoria (storica, col Brasile), un pareggio e una sconfitta (col Venezuela), classificandosi ai quarti come seconda tra le migliori terze. Un solo gol segnato e uno subito, cui fa seguito lo 0-0 contro l'Argentina. Una partita interamente difensiva, arrivata ai rigori solo grazie a San Ospina.
Dell'idea di Pekerman è rimasta solo la fisicità. In quattro partite i cafeteros, malgrado un reparto offensivo composto da Victor Ibarbo, Luis Muriel, Jackson Martinez, Teofilo Gutierrez, Carlos Bacca, Radamel Falcao, Juan Cuadrado e James Rodriguez, hanno trovato la via del gol solo sugli sviluppi di una punizione, per di più grazie a Murillo che fa il difensore centrale. La squadra si è salvata grazie alla solidità difensiva (un solo gol subito), che però ha avuto bisogno di un notevole aiuto dalla buona sorte. Chiedere a Otamendi per informazioni.
L'errore più evidente dell'impostazione di Pekerman è stato l'abbandono totale del centrocampo. La sua coppia titolare è sempre stata quella composta da Carlos Sanchez e Abel Aguilar, e l'assenza del secondo è stata molto più pesante del preventivabile. Aguilar era l'unico elemento di tutti i convocati ad avere una vaga idea di regia e nessuno è stato in grado di rimpiazzarlo. Di base la Colombia si è trovata nettamente spaccata in due, con un blocco fisso formato dai centrali difensivi e mediani e tutti gli altri in avanti, terzini compresi. Un sistema che, ad essere generosi, puntava molto sulle qualità dei singoli dalla metà campo in su per portare avanti palla, creare superiorità e inventare qualcosa, sfruttando estro e tecnica, ma anche la corsa per coprire e proporsi.
Peccato che in Cile tutti gli uomini più attesi della Colombia fossero in condizioni disastrose. Cuadrado si è mostrato nella sua versione irritante e fumosa, James con poche idee e le polveri decisamente bagnate, l'attesissimo e capitano Falcao il fantasma di se stesso. Bacca è durato settanta minuti nella prima partita (persa), Jackson Martinez come quasi sempre con la maglia della nazionale non ha trovato il suo ruolo, Ibarbo comparsa tattica era e comparsa tattica è rimasto. Gli unici spunti li ha regalati Teofilo Gutierrez, nettamente il più positivo del reparto offensivo, che si è però totalmente eclissato contro l'Argentina, tanto che Pekerman lo ha sostituito dopo appena ventiquattro minuti.
Proprio Pekerman, espertissimo professore di calcio, si è trovato in netta difficoltà a gestire una rosa con troppi problemi. La missione delle prime partite era recuperare Falcao, a costo di sacrificare gli altri tipo Bacca, ma il piano è nettamente fallito e la scelta di pachinarlo proprio contro l'Argentina è una conferma.
Nei quarti il ct ha tentato il tutto per tutto. Ha messo in campo tutti gli uomini che potessero unire corsa e qualità per cercare un compromesso improbabile che permettesse di coprire il campo e ripartire, abbandonando del tutto la mediana abbassando addirittura James per sfruttarne lanci e visione. Inutile dire che non ha funzionato.
Il vero peccato è che questa generazione della Colombia, da molti considerata d'oro, potrebbe aver chiuso così la sua esperienza internazionale.
Una generazione d'oro durata un mese, del 2014.
Ai Mondiali 2014 la squadra di Pekerman era stata la sorpresa più credibile del torneo, eliminata solo dal Brasile in un quarto di finale difficile da digerire per gli spettatori imparziali, figuriamoci per i tifosi. Quella squadra aveva un impianto semplice, ma ben definito, predicato sulla fisicità di tutti gli interpreti, sull'ordine in fase difensiva e sugli spunti di classe dei giocatori offensivi.
In Brasile la Colombia aveva dominato il suo girone vincendo tutte le partite segnando ben nove gol. Nella fase a eliminazione agli ottavi i cafeteros regalarono una prestazione straordinaria contro l'Uruguay, trascinati da una doppietta di James, per poi essere eliminati dal Brasile grazie anche a un arbitraggio decisamente casalingo. Proprio il numero 10, indiscutibile rivelazione del torneo, chiuse la competizione da capocannoniere con sei centri. Cuadrado invece come migliore negli assist con quattro passaggi decisivi per i compagni.
Su questa base ci si aspettava una Colombia protagonista nella Copa America 2015, dove avrebbe potuto anche contare su un certo Radamel Falcao. Invece qualcosa è andato decisamente storto.
La Colombia chiude la Copa America eliminata ai quarti dall'Argentina ai rigori. Un risultato che sarebbe anche onorevole se arrivato in un altro modo. Nel girone ha chiuso con una vittoria (storica, col Brasile), un pareggio e una sconfitta (col Venezuela), classificandosi ai quarti come seconda tra le migliori terze. Un solo gol segnato e uno subito, cui fa seguito lo 0-0 contro l'Argentina. Una partita interamente difensiva, arrivata ai rigori solo grazie a San Ospina.
Dell'idea di Pekerman è rimasta solo la fisicità. In quattro partite i cafeteros, malgrado un reparto offensivo composto da Victor Ibarbo, Luis Muriel, Jackson Martinez, Teofilo Gutierrez, Carlos Bacca, Radamel Falcao, Juan Cuadrado e James Rodriguez, hanno trovato la via del gol solo sugli sviluppi di una punizione, per di più grazie a Murillo che fa il difensore centrale. La squadra si è salvata grazie alla solidità difensiva (un solo gol subito), che però ha avuto bisogno di un notevole aiuto dalla buona sorte. Chiedere a Otamendi per informazioni.
L'errore più evidente dell'impostazione di Pekerman è stato l'abbandono totale del centrocampo. La sua coppia titolare è sempre stata quella composta da Carlos Sanchez e Abel Aguilar, e l'assenza del secondo è stata molto più pesante del preventivabile. Aguilar era l'unico elemento di tutti i convocati ad avere una vaga idea di regia e nessuno è stato in grado di rimpiazzarlo. Di base la Colombia si è trovata nettamente spaccata in due, con un blocco fisso formato dai centrali difensivi e mediani e tutti gli altri in avanti, terzini compresi. Un sistema che, ad essere generosi, puntava molto sulle qualità dei singoli dalla metà campo in su per portare avanti palla, creare superiorità e inventare qualcosa, sfruttando estro e tecnica, ma anche la corsa per coprire e proporsi.
Peccato che in Cile tutti gli uomini più attesi della Colombia fossero in condizioni disastrose. Cuadrado si è mostrato nella sua versione irritante e fumosa, James con poche idee e le polveri decisamente bagnate, l'attesissimo e capitano Falcao il fantasma di se stesso. Bacca è durato settanta minuti nella prima partita (persa), Jackson Martinez come quasi sempre con la maglia della nazionale non ha trovato il suo ruolo, Ibarbo comparsa tattica era e comparsa tattica è rimasto. Gli unici spunti li ha regalati Teofilo Gutierrez, nettamente il più positivo del reparto offensivo, che si è però totalmente eclissato contro l'Argentina, tanto che Pekerman lo ha sostituito dopo appena ventiquattro minuti.
Proprio Pekerman, espertissimo professore di calcio, si è trovato in netta difficoltà a gestire una rosa con troppi problemi. La missione delle prime partite era recuperare Falcao, a costo di sacrificare gli altri tipo Bacca, ma il piano è nettamente fallito e la scelta di pachinarlo proprio contro l'Argentina è una conferma.
Nei quarti il ct ha tentato il tutto per tutto. Ha messo in campo tutti gli uomini che potessero unire corsa e qualità per cercare un compromesso improbabile che permettesse di coprire il campo e ripartire, abbandonando del tutto la mediana abbassando addirittura James per sfruttarne lanci e visione. Inutile dire che non ha funzionato.
Il vero peccato è che questa generazione della Colombia, da molti considerata d'oro, potrebbe aver chiuso così la sua esperienza internazionale.
Una generazione d'oro durata un mese, del 2014.
22 giu 2015
Copa America 2015, i gironi
La Copa America del 2015 ha emesso i suoi primi verdetti. Arrivati alla fine dei gironi, cosa c'è da segnalare per questa edizione cilena?
Generali
La tattica del Cile: Jorge Sampaoli, oltre ad essere un bielsista, è una sorta di alchimista tattico. Ha tante idee e una ferrea volontà di vederle applicate in campo. Il suo Cile, comunque la si metta, è una squadra totalmente plasmata dal suo allenatore (oltre che dai due precedenti), che ha il gioco nel dna, punta a fare la partita e mostra un certo gusto nel farlo. Per chi si interessa di tattica un must assoluto da seguire. In queste gare si sono visti centrocampisti di inserimento usati come falsi nueve (Vidal, Aranguiz), l'uso contemporaneo di difesa a tre e a quattro, una punta usata come esterno sinistro a tutto campo (Edu Vargas), una mediana tenuta in piedi unicamente da un mediano di impostazione (Diaz) e un trequartista visionario (Valdivia). Quando ha dovuto pensare solo al risultato Sampaoli si è normalizzato schierando i giocatori nel modo più logico possibile. Ma non scommettete succeda sempre.
Il gioco del Perù: il Perù non è esattamente la nazionale più quotata del continente, ma si è qualificata ai quarti grazie al secondo posto in un girone con Brasile (con cui ha perso solo nel recupero), Colombia e un Venezuela sulla carta competitivo. Ricardo Gareca ha costruito una squadra decisamente solida, piena di garra, che però ha anche un concetto di gioco ben preciso. Sa cosa deve fare e come farlo, gioca sui suoi punti di forza senza strafare, ma nemmeno rinunciando in partenza. Strutturalmente gli manca un filo di qualità, soprattutto nella regia offensiva, ma per quello il Tigre può fare poco (a parte convocare Reynaldo Cruzado, giocatore col mancino più delicato delle Ande, ma anche col ritmo più compassato delle stesse). La cosa che rende tutto al limite del magico è che Gareca ha preso in mano la squadra a Marzo, alla faccia di chi si lamenta di non avere abbastanza i giocatori.
Il 9 del Brasile: un problema generazionale che rischia di sfociare nel dramma. Romario, Ronaldo, Adriano, Luis Fabiano e poi il nulla. Il 9 del Brasile semplicemente non esiste più. Fred è sempre stato una comparsa, Diego Tardelli con tutto il rispetto una barzelletta. Il grosso rimpianto è Pato, che poteva essere un simbolo mentre ormai può solo fare la comparsa nel campionato locale. La nazione calcisticamente più famosa al mondo oggi produce una marea di esterni/rifinitori/seconde punte (in cui rientra anche Neymar), ma nessun centravanti degno di questo nome. O meglio, uno ci sarebbe, ma è stato costretto a scegliere la Spagna. Grazie Scolari, grazie. A proposito, Jo come sta?
Giamaica volenterosa: alzi la mano chi si aspettava una Giamaica sommersa di gol. Ok, le ha perse tutte, ma onorevoli 1-0, pure contro squadre con attaccanti di un certo livello. Non si grida al miracolo, ma complimenti per l'approccio. Potete tornare in Africa soddisfatti.
L'attacco del Paraguay: siamo dalle parti del culto assoluto. Ramon Diaz ha pensato delle convocazioni che sembrano fatte apposta per solleticare i desideri più inconfessabili dei feticisti del calcio guaranì. Raul Bobadilla, Lucas Barrios, Roque Santa Cruz, Nelson Haedo Valdez, in ordine di numero, rappresentano un insieme che ogni cuore romantico non può che amare.
Delusione Colombia: al Mondiale, solo un anno fa, Pekerman aveva presentato una squadra invidiabile, ben costruita e conscia delle sue potenzialità. Oggi la Colombia sembra un ammasso di giocatori in cerca di autore, tutti persi sia mentalmente che fisicamente come il leader assoluto e capitano Falcao (leggete più sotto). La Colombia non sa come far arrivare il pallone ai suoi uomini offensivi, la manovra è lenta e involuta. La prima causa è che i cafeteros hanno un clamoroso buco di talento in mezzo al campo ulteriormente aggravato dall'assenza di Aguilar, forse l'unico con senso geometrico a disposizione. Si fa rimpiangere persino Guarin, che almeno di forza qualche pallone lo porta avanti. In aggiunta anche James Rodriguez non è nelle scintillanti condizioni di un anno fa e quindi non resta che procedere a strappi sperando che qualcuno si svegli. L'unico giocatore veramente in condizione risponde al nome di Teofilo Gutierrez, il che significa che molto facilmente si farà espellere entro il decimo della prima partita ad eliminazione.
Singoli
La rabona di Rojo: lo confesso, la aspettavo con ansia da un anno, anche se l'ho accolta con un lieve pizzico di delusione. Riproporla in fase offensiva, anziché nel bel mezzo della propria area di rigore, è stata infatti una scelta poco condivisibile. Ora non ci resta che attendere un gol di Rojo realizzato con il suo marchio di fabbrica.
L'eleganza di Ortigoza: avete mai visto Fantasia? Il pezzo con gli ippopotami e i coccodrilli? Ecco, Nestore Ortigoza sembra uscito da quella danza lisergica. Sihouette rivedibile, ma piedi musicali e capacità di gestire la palla da artista. Tutto nel Paraguay inizia da lui, che sembra sempre doversi fermare per riprendere fiato, ma poi il pallone ce l'ha sempre tra i piedi. Culto assoluto per uno dei giocatori più improbabili di questo calcio.
I guantini di Marcelo Moreno: nulla di tecnicamente rilevante, ma un vezzo quantomeno curioso per el Diablo Moreno. Perchè quei guantini nero e fluo? Con maglia bianca a maniche corte poi, quasi a esasperare il contrasto. Ma in fondo perchè no? Ne ordino tre paia.
Jorge Valdivia: il calcio. L'ingranaggio fondamentale per far girare a meraviglia lo splendido Cile di Sampaoli e la mente perfetta per innescare le letali armi offensive della Roja, grazie al suo piede meraviglioso e alla sua impareggiabile capacità nel leggere ogni azione. È il lato romantico della Copa, il giocatore che più di ogni altro meriterebbe il trionfo, soprattutto dopo il Mondiale ai margini.
Edu Vargas e Sampaoli: la storia è piena di giocatori che con specifici allenatori danno il meglio. Edu Vargas ha il suo mentore in Jorge Sampaoli. Ogni volta che vede il tecnico argentino si trasforma da fumoso e leggero centravanti in Turboman. Gli deve praticamente la carriera visto l'exploit nella U, nel Cile è una pedina fondamentale, e la sensazione è che per il suo ct darebbe anche un braccio.
Neymar e il suo rapporto con la Colombia: parafrasando un detto italiano, vedi la Colombia e poi muori. Neymar fortunatamente è ancora vivo, ma siamo alla seconda competizione consecutiva che per lui termina dopo una sfida con i cafeteros. Ai Mondiali fu un intervento di Zuniga, oggi una crisi di nervi che non colpiva il 10 dai tempi del Santos. Forse ha sentito il peso della responsabilità? Potremmo trovarci alle prime battute di una rivalità piccante.
Radamel Falcao: cercasi Tigre disperatamente. Da quando ha lasciato l'Atletico e si è infortunato Falcao è diventato un altro, nell'accezione negativa del concetto. In campo non ha nemmeno lontanamente l'impatto di un tempo, soprattutto come garra, carisma, presenza nella partita. Una copia sbiatida e vuota dell'incredibile centravanti che ha dominato l'Europa (League). Pekerman lo ha nominato capitano, e conoscendo il suo rapporto con quelli che elegge suoi fedelissimi punterà su Falcao fino alla fine. Probabilmente affondando.
Edinson Cavani: non ha mai trascinato l'Uruguay, a detta di tutti perché costretto a un ruolo da gregario a causa dell'ingombrante presenza di Luis Suarez. Dopo queste prime uscite dell'Uruguay, tuttavia, viene spontaneo chiedersi se il Matador abbia i requisiti per trascinare da solo la squadra charrua. Da stella indiscussa della Celeste finora ha giocato una Copa impalpabile, lontano dal gioco e senza la giusta carica agonistica per essere il vero condottiero della banda Tabarez.
Generali
La tattica del Cile: Jorge Sampaoli, oltre ad essere un bielsista, è una sorta di alchimista tattico. Ha tante idee e una ferrea volontà di vederle applicate in campo. Il suo Cile, comunque la si metta, è una squadra totalmente plasmata dal suo allenatore (oltre che dai due precedenti), che ha il gioco nel dna, punta a fare la partita e mostra un certo gusto nel farlo. Per chi si interessa di tattica un must assoluto da seguire. In queste gare si sono visti centrocampisti di inserimento usati come falsi nueve (Vidal, Aranguiz), l'uso contemporaneo di difesa a tre e a quattro, una punta usata come esterno sinistro a tutto campo (Edu Vargas), una mediana tenuta in piedi unicamente da un mediano di impostazione (Diaz) e un trequartista visionario (Valdivia). Quando ha dovuto pensare solo al risultato Sampaoli si è normalizzato schierando i giocatori nel modo più logico possibile. Ma non scommettete succeda sempre.
Il gioco del Perù: il Perù non è esattamente la nazionale più quotata del continente, ma si è qualificata ai quarti grazie al secondo posto in un girone con Brasile (con cui ha perso solo nel recupero), Colombia e un Venezuela sulla carta competitivo. Ricardo Gareca ha costruito una squadra decisamente solida, piena di garra, che però ha anche un concetto di gioco ben preciso. Sa cosa deve fare e come farlo, gioca sui suoi punti di forza senza strafare, ma nemmeno rinunciando in partenza. Strutturalmente gli manca un filo di qualità, soprattutto nella regia offensiva, ma per quello il Tigre può fare poco (a parte convocare Reynaldo Cruzado, giocatore col mancino più delicato delle Ande, ma anche col ritmo più compassato delle stesse). La cosa che rende tutto al limite del magico è che Gareca ha preso in mano la squadra a Marzo, alla faccia di chi si lamenta di non avere abbastanza i giocatori.
Il 9 del Brasile: un problema generazionale che rischia di sfociare nel dramma. Romario, Ronaldo, Adriano, Luis Fabiano e poi il nulla. Il 9 del Brasile semplicemente non esiste più. Fred è sempre stato una comparsa, Diego Tardelli con tutto il rispetto una barzelletta. Il grosso rimpianto è Pato, che poteva essere un simbolo mentre ormai può solo fare la comparsa nel campionato locale. La nazione calcisticamente più famosa al mondo oggi produce una marea di esterni/rifinitori/seconde punte (in cui rientra anche Neymar), ma nessun centravanti degno di questo nome. O meglio, uno ci sarebbe, ma è stato costretto a scegliere la Spagna. Grazie Scolari, grazie. A proposito, Jo come sta?
Giamaica volenterosa: alzi la mano chi si aspettava una Giamaica sommersa di gol. Ok, le ha perse tutte, ma onorevoli 1-0, pure contro squadre con attaccanti di un certo livello. Non si grida al miracolo, ma complimenti per l'approccio. Potete tornare in Africa soddisfatti.
L'attacco del Paraguay: siamo dalle parti del culto assoluto. Ramon Diaz ha pensato delle convocazioni che sembrano fatte apposta per solleticare i desideri più inconfessabili dei feticisti del calcio guaranì. Raul Bobadilla, Lucas Barrios, Roque Santa Cruz, Nelson Haedo Valdez, in ordine di numero, rappresentano un insieme che ogni cuore romantico non può che amare.
Delusione Colombia: al Mondiale, solo un anno fa, Pekerman aveva presentato una squadra invidiabile, ben costruita e conscia delle sue potenzialità. Oggi la Colombia sembra un ammasso di giocatori in cerca di autore, tutti persi sia mentalmente che fisicamente come il leader assoluto e capitano Falcao (leggete più sotto). La Colombia non sa come far arrivare il pallone ai suoi uomini offensivi, la manovra è lenta e involuta. La prima causa è che i cafeteros hanno un clamoroso buco di talento in mezzo al campo ulteriormente aggravato dall'assenza di Aguilar, forse l'unico con senso geometrico a disposizione. Si fa rimpiangere persino Guarin, che almeno di forza qualche pallone lo porta avanti. In aggiunta anche James Rodriguez non è nelle scintillanti condizioni di un anno fa e quindi non resta che procedere a strappi sperando che qualcuno si svegli. L'unico giocatore veramente in condizione risponde al nome di Teofilo Gutierrez, il che significa che molto facilmente si farà espellere entro il decimo della prima partita ad eliminazione.
Singoli
La rabona di Rojo: lo confesso, la aspettavo con ansia da un anno, anche se l'ho accolta con un lieve pizzico di delusione. Riproporla in fase offensiva, anziché nel bel mezzo della propria area di rigore, è stata infatti una scelta poco condivisibile. Ora non ci resta che attendere un gol di Rojo realizzato con il suo marchio di fabbrica.
L'eleganza di Ortigoza: avete mai visto Fantasia? Il pezzo con gli ippopotami e i coccodrilli? Ecco, Nestore Ortigoza sembra uscito da quella danza lisergica. Sihouette rivedibile, ma piedi musicali e capacità di gestire la palla da artista. Tutto nel Paraguay inizia da lui, che sembra sempre doversi fermare per riprendere fiato, ma poi il pallone ce l'ha sempre tra i piedi. Culto assoluto per uno dei giocatori più improbabili di questo calcio.
I guantini di Marcelo Moreno: nulla di tecnicamente rilevante, ma un vezzo quantomeno curioso per el Diablo Moreno. Perchè quei guantini nero e fluo? Con maglia bianca a maniche corte poi, quasi a esasperare il contrasto. Ma in fondo perchè no? Ne ordino tre paia.
Jorge Valdivia: il calcio. L'ingranaggio fondamentale per far girare a meraviglia lo splendido Cile di Sampaoli e la mente perfetta per innescare le letali armi offensive della Roja, grazie al suo piede meraviglioso e alla sua impareggiabile capacità nel leggere ogni azione. È il lato romantico della Copa, il giocatore che più di ogni altro meriterebbe il trionfo, soprattutto dopo il Mondiale ai margini.
Edu Vargas e Sampaoli: la storia è piena di giocatori che con specifici allenatori danno il meglio. Edu Vargas ha il suo mentore in Jorge Sampaoli. Ogni volta che vede il tecnico argentino si trasforma da fumoso e leggero centravanti in Turboman. Gli deve praticamente la carriera visto l'exploit nella U, nel Cile è una pedina fondamentale, e la sensazione è che per il suo ct darebbe anche un braccio.
Neymar e il suo rapporto con la Colombia: parafrasando un detto italiano, vedi la Colombia e poi muori. Neymar fortunatamente è ancora vivo, ma siamo alla seconda competizione consecutiva che per lui termina dopo una sfida con i cafeteros. Ai Mondiali fu un intervento di Zuniga, oggi una crisi di nervi che non colpiva il 10 dai tempi del Santos. Forse ha sentito il peso della responsabilità? Potremmo trovarci alle prime battute di una rivalità piccante.
Radamel Falcao: cercasi Tigre disperatamente. Da quando ha lasciato l'Atletico e si è infortunato Falcao è diventato un altro, nell'accezione negativa del concetto. In campo non ha nemmeno lontanamente l'impatto di un tempo, soprattutto come garra, carisma, presenza nella partita. Una copia sbiatida e vuota dell'incredibile centravanti che ha dominato l'Europa (League). Pekerman lo ha nominato capitano, e conoscendo il suo rapporto con quelli che elegge suoi fedelissimi punterà su Falcao fino alla fine. Probabilmente affondando.
Edinson Cavani: non ha mai trascinato l'Uruguay, a detta di tutti perché costretto a un ruolo da gregario a causa dell'ingombrante presenza di Luis Suarez. Dopo queste prime uscite dell'Uruguay, tuttavia, viene spontaneo chiedersi se il Matador abbia i requisiti per trascinare da solo la squadra charrua. Da stella indiscussa della Celeste finora ha giocato una Copa impalpabile, lontano dal gioco e senza la giusta carica agonistica per essere il vero condottiero della banda Tabarez.
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