Il River Plate ha vinto la Copa Libertadores 2015, diciannove anni dopo il trionfo del 1996.
In sé basterebbe questo a fare la notizia, visto che il club con la banda si trovava in B Nacional appena quattro anni fa, nel 2011. Ma come ogni storia sudamericana che si rispetti questa Copa porta sfumature, appuntamenti col destino, coincidenze e gesti eroici che vanno compresi ed assimilati per poter apprezzare il quadro nella sua interezza.
Per cominciare, il River ha vinto nell'anno sbagliato. La storia parla chiaro: la Banda ha giocato finali di Libertadores sempre in anni che finivano col numero sei. Fino ad oggi.
Le precedenti finali giocate - due vinte, due perse - sono arrivate nel 1966, 1976, 1986, 1996. Una coincidenza curiosa interrotta nel 2006. Adesso comincerà la dinastia del cinque o saremo liberi da ogni vincolo?
Il trionfo nella Copa viene da lontano, e tutto nasce dalle mani del
Muñeco Gallardo, che ormai più che un bambolotto è un burattinaio. La cosa incredibile è pensare che l'ex numero 10 ha preso in mano il club appena un anno e spiccioli fa, a Giugno 2014. Da quel giorno di fatto tutto è cambiato.
I semi della vittoria sono stati sparsi nella Sudamericana 2014. Gallardo appena arrivato non ha dato solo una quadratura alla sua squadra, ma ha puntato sulla dimensione internazionale. Il campionato il River lo aveva già vinto con Ramon Diaz, scrollandosi di dosso la polvere accumulata nei campi della B Nacional, ma serviva un passo in più per tornare a essere El Mas Grande. Il River 2014 era una squadra solida e spettacolare, in cui già si vedeva la mano del tecnico sia per dettami tattici, che per qualità del fraseggio, che per intuizioni di mercato. Nessuno tranne Gallardo infatti avrebbe scommesso su Leonardo Pisculichi, uomo assolutamente decisivo che ha vissuto il grosso della carriera all'Al-Arabi.
Per non sbagliare Napoleon si è portato a casa anche la Recopa 2015, disputata contro il San Lorenzo. Entrambi gli incontri sono stati vinti per 1-0 dal River, con gol di Carlos Sanchez.
La magia però sembrava svanita nei successivi gironi di Copa Libertadores. Il River nella massima competizione continentale ha dovuto conquistarsi tutto lottando passo dopo passo.
La squadra non cambia ossatura, ma comincia subito perdendo 2-0 coi boliviani del San Josè, per poi pareggiare le successive tre partite, una contro i peruviani del Juan Aurich e due contro il Tigres.
La partita in Messico si rivelerà decisiva per le sorti della Banda e per la Copa intera. Il tabellino dice 2-2 per un pareggio finale che regala un punticino e una flebile speranza di passare il turno - il River è ultimo e nella giornata conclusiva deve battere i boliviani e sperare che il Tigres già qualificato vinca in Perù contro il Juan Aurich -, ma la rimonta dal 2-0 negli ultimi cinque minuti è il momento di svolta assoluto della manifestazione. Nell'ultima giornata infatti la sorte si schiererà senza tentennamenti dalla parte del club di Nu
ñez. I ragazzi di Gallardo triteranno il San Josè per 3-0 dando il primo segnale di presenza, ma tra Juan Aurich e Tigres succederà
semplicemente di tutto. I messicani vincono in rimonta per 4-5, salvando il River dall'eliminazione. Chissà cosa ne pensano oggi i tifosi di quella incredibile dimostrazione di professionalità.
Il River passa dunque alla fase a eliminazione come peggior seconda, dietro anche all'Universitario de Sucre, per il rotto della cuffia. Una posizione solitamente non invidiabile, perchè significa affrontare la miglior squadra dei gironi. Per aggiungere al danno la beffa come miglior prima si qualificano proprio gli arcirivali del Boca Juniors. Un altro capriccio del destino, un'altra prova da affrontare.
Sul Superclasico ci sarebbe da scrivere a parte. Boca-River è di suo partita sentitissima e aspra, ma a metà della gara di ritorno si è andati oltre, talmente oltre da avere giocatori in ospedale e la partita sospesa.
Il River ha passato il turno a tavolino per la squalifica dei rivali - formalmente per 3-0 con tripletta del capitano, Marcelo Barovero -, che sulla carta partivano favoriti e non solo per aver dominato i gironi con sei vittorie su sei, diciannove gol fatti e due subiti.
In tre tempi su quattro però erano gli uomini di Gallardo ad essere in vantaggio, seppur solo per 1-0 con gol di Carlos Sanchez, e il Boca non aveva dato l'impressione di poter vincere davvero l'incontro. Di questo ci si sta già dimenticando, trascinati dalla dialettica di una rivalità eterna. La prima partita a eliminazione è stata anche la prima grande dimostrazione della capacità del
Muñeco di adattarsi alle necessità contingenti, prima ancora che agli avversari, e istruire la squadra a giocare di conseguenza. Una prova di forza fondamentale per ottenere la personalità, la convinzione, la fiducia sia nei mezzi che nel tecnico e la credibilità indispensabili per affrontare il turno successivo contro i brasiliani del Cruzeiro.
Per quanto non più la corazzata degli ultimi anni, la Raposa si presentava alla Copa con ambizioni e negli ottavi aveva eliminato il San Paolo. La vittoria per 1-0 al Monumental nella gara di andata arrivata nei minuti finali avrebbe ucciso il River in qualunque altro momento della stagione.
Ma non adesso, non dopo i mesi appena passati. Non a caso la squadra di Gallardo va a Belo Horizonte a giocare la partita perfetta.
Sconfigge il Cruzeiro per 3-0
con una dimostrazione di calcio straordinaria. I marcatori, Sanchez, Maidana e Teo, sono tre dei giocatori principali della squadra, soprattutto per leadership.
Se contro il Boca il River aveva acquisito convinzione, con questa vittoria cambia la percezione generale: la Banda diventa una delle favorite della Copa. A un mese e mezzo dall'essere stata quasi eliminata.
In semifinale il Guaranì, la miglior sorpresa della Copa, non sembrava poter impensierire questo nuovo River. E infatti il 2-0 dell'andata mette una seria ipoteca sul passaggio del turno. Un risultato troppo pesante per il piccolo club paraguagio - col secondo gol firmato
da una magia di Rodrigo Mora -, che al ritorno non andrà oltre l'1-1, mandando il River alla sua prima finale di Copa Libertadores dal 1996.
Avversari della finale proprio i messicani del Tigres, compagni del girone e salvatori della squadra di Gallardo. Il Tigres dopo aver passato i gironi come seconda miglior squadra in semifinale ha dato una dimostrazione di forza notevole eliminando in semifinale l'Internacional di Porto Alegre, una delle squadre più competitive per qualità e profondità della rosa. La squadra è solida, ben allenata e soprattutto protagonista indiscussa del mercato.
Già, perchè dai quarti di finale alle semifinali sono passati due mesi a causa della Copa America. Due mesi che hanno cambiato le condizioni di forma delle squadre - in particolare dell'Internacional -, ma soprattutto che hanno visto l'apertura del mercato europeo. Il Tigres fiutando la possibilità di fare la storia non ha badato a spese. Arrivano Aquino, Uche, ma soprattutto il nuovo numero 10 Andrè-Pierre Gignac, uno dei parametri zero più ghiotti del mercato europeo. Una squadra già forte ha fatto così un ulteriore salto di qualità.
Gallardo invece riesce a dare un'altra dimostrazione sia della sua immensa capacità di scouting che dell'abilità nel plasmare la squadra. Il mercato priva il River di Ariel Rojas, un titolarissimo del
Muñeco, fondamentale a livello tattico, e di Teofilo Gutierrez, senza mezzi termini il miglior giocatore della rosa e il punto di riferimento assoluto della fase offensiva. E in un primo momento pare in predicato di partire per l'Arabia anche Rodrigo Mora. Come rinforzi Gallardo sceglie Viudez, Alario, Bertolo, oltre ai ritorni emotivi del Comandante Lucho Gonzalez e di Javier Saviola - acquisti caldeggiati più dalla società che dalle reali esigenze dell'allenatore-. Un mercato non paragonabile a quello dei rivali, che però si rivelerà tremendamente efficace.
Il River per un paio di settimane sembra una squadra in crisi, orfana dei suoi eccellenti meccanismi, ma l'allarme durerà giusto il tempo di arrivare alla semifinale col Guaranì. In quella doppia sfida le scommesse di Gallardo pagheranno già i primi dividendi. Alario - un gol e due assist - e Viudez infatti saranno gli assoluti protagonisti della gara di ritorno e arriveranno alla finale di andata in Messico da titolari.
La finale per il River è l'ennesima prova da superare in questa Copa, come se gli dei del calcio volessero qualcosa in cambio dopo il rocambolesco passaggio dei gironi. Come detto il Tigres è squadra forte, solida, di qualità, ben allenata e con una rosa rinforzata e profonda. Sulla carta si possono considerare i favoriti. Per alzare al cielo il trofeo serve ancora una volta una dimostrazione di forza.
Gallardo per l'ennesima volta riesce a portare la doppia sfida sui binari che vuole lui, bloccando il gioco dei messicani all'andata per giocarsi tutto al ritorno in un Monumental incandescente. Ma a complicare ulteriormente i piani dell'allenatore ci si mette la sorte.
Oggi non ci pensa più nessuno, ma il River al ritorno si è presentato con assenze importanti. Mercado, terzino destro titolare senza una vera riserva di ruolo e uomo fondamentale per fisicità e personalità, è costretto a saltare il ritorno per somma di ammonizioni. La sua riserva adattata, il giovane Mammana, si infortuna la settimana prima della partita. Viudez, che ha chiuso la semifinale grazie
a un assist sontuoso ed è partito titolare in casa del Tigres, e Mora, giocatore di riferimento per Gallardo per tutta la fase offensiva, ma anche per l'applicazione in non possesso, sono entrambi fuori per infortunio.
Ancora una volta è servita la magia del
Muñeco, che ha dato fondo ai trucchi nel cilindro. A destra ha schierato Mayada, esterno uruguagio scelto da lui sul mercato, in fascia ha puntato sulla fisicità di Bertolo e in attacco si è giocato la carta del simbolo millonario Fernando Cavenaghi. Al solito la fortuna è andata dalla sua parte, e a un certo punto non può più essere considerato un caso.
Il 3-0 finale è un risultato eccessivo per il Tigres, che ha avuto diverse occasioni sulle due partite, senza però riuscire a concretizzare, ma è il giusto riconoscimento del livello di squadra raggiunto da questo River Plate. Una squadra in continua evoluzione, ma con una base talmente solida da poter sopperire a ogni mancanza.
Tra i marcatori si trova ancora una volta Alario, al secondo gol decisivo in poche settimane, e Carlos Sanchez, l'uomo dei gol pesanti, quello che risponde sempre presente quando l'adrenalina sale. Sarà la garra charrua, sarà che lui tiene veramente al River, ma vedere la decisione con cui ha preso il pallone per battere il rigore ha fatto impressione anche a diversi chilometri di distanza. Non a caso è stato eletto migliore in campo.
Anche il gol di Funes Mori, che ha chiuso ogni discorso, nasconde una storia. Per Ramiro è stato il coronamento di una doppia sfida di altissimo livello, ma l'assist su angolo è frutto di una delle velenosissime traiettorie del Piscu, Leonardo Pisculichi. Quello pescato dall'Arabia che nelle due finali di Sudamericana aveva prodotto un gol e due assist entrando in tutti i gol del River è stato rispolverato da Gallardo proprio nei minuti finali dopo mesi difficili per infortuni vari. L'obiettivo era gestire il gioco e, nel caso, piazzare una sapiente pennellata mancina. Che puntualmente è arrivata, perchè l'allenatore del River è stato il vero Re Mida di questa Copa 2015.