28 mag 2013

Intervista a Pietro Nicolodi


Dopo l'intervista a Stefano Borghi, Aguante Futbol ha avuto l'onore di parlare con il giornalista di Sky Sport Pietro Nicolodi, telecronista da anni della Bundesliga e soprattutto grande appassionato di calcio tedesco.


Iniziamo dalla finale di Champions League. Cosa ha rappresentato per te da un punto di vista professionale, visto che hai sempre seguito un campionato considerato di nicchia che invece negli ultimi mesi, complice l'acquisizione dei diritti da parte di Sky e il percorso in Champions di Borussia Dortmund e Bayern Monaco, è letteralmente esploso?
Vi dico solo che al fischio finale della partita tra Real Madrid e Borussia Dortmund avrei potuto anche competere in una gara di livello di salto in alto da fermo. Gioia incontenibile e sentimento di rivalsa verso tutti quelli che considerano il calcio tedesco di serie B. Per il resto vedere una finale dal vivo, soprattutto in un contesto come quello di Wembley, è sempre una bella soddisfazione, considerando da dove sono partito.

Da tifoso del calcio tedesco invece cosa hai provato? Sei felice che abbia vinto un Bayern obiettivamente stratosferico, che veniva dal dramma sportivo dello scorso anno, oppure avresti preferito che si coronasse il sogno di un BVB costruito mattone su mattone dal nulla o quasi?
Da tifoso del Bayern posso dire di essere molto soddisfatto, ma allo stesso tempo ho provato grande simpatia e ammirazione per il BVB. È la squadra che ho visto crescere negli anni delle telecronache di Bundesliga, ha toccato livelli calcistici celestiali e ha un pubblico assolutamente fantastico. Tutto sommato, però, il Bayern meritava il risarcimento per la beffa dell’anno scorso e anche per come ha giocato in questa stagione sia in Champions che in Bundesliga.

Capitolo Guardiola. Pep sicuramente porta dei pro a livello mediatico e rappresenta una novità assoluta, ma ci sono due grandi questioni da affrontare. Molti parlano di rivoluzione a livello tattico, ma tutto è iniziato dalla "dittatura" di Van Gaal ed è stato splendidamente rifinito da Heynckes. Non c'è il rischio che i grandi risultati di questo Bayern, che ha già stravinto tutto, o quasi, possano portare a delle forzature? Fare di più a livello sportivo è pressoché impossibile, a Pep quindi non resterebbe che farlo diversamente.
Sono totalmente d’accordo sul fatto che il primo artefice dei trionfi sia quel pazzo geniale di Van Gaal. Heynckes ha rifinito il suo lavoro, limando le follie tattiche dell’olandese, come ad esempio la difesa a 60 metri dalla porta. Guardiola è una persona intelligente, non penso che stravolgerà tutto e credo riuscirà a trovare il giusto compromesso tra il gioco del suo Barça e quello del Bayern di Heynckes. Poi che ci riesca subito è un altro paio di maniche.

Poi c'è il discorso legato al calciomercato, secondo te con l'avvento di Guardiola si corre il rischio che la Bundes diventi un campionato ancora più Bayern-centrico di quanto non lo sia storicamente?
Speriamo di no, ma il rischio purtroppo è abbastanza forte.

Come è stato visto in Germania il trasferimento di Mario Götze al Bayern, considerando le tempistiche e la rivalità tra i due club? Secondo te come si sarebbe affrontata la vicenda se fosse successo tra due squadre italiane che si stavano per sfidare in finale? Ci piacerebbe inoltre avere una tua opinione sul ruolo che Götze potrebbe ricoprire al Bayern e su come gli potranno fare spazio in squadra, vista la concorrenza. Ad esempio c'è già chi parla di finto 9 alla Messi.
Ero in Germania quando è arrivata la notizia. A Monaco si parlava solo del caso Hoeness e la Bild è riuscita a spostare l’obiettivo. Il fatto che si giocassero le semfinali di Champions sembrava un dettaglio. Tutto molto strano, quindi non voglio neanche pensare al “macello mediatico” che si sarebbe sollevato in Italia.
Sul ruolo non ho la più pallida idea e se fossi io l’allenatore del Bayern non sarei così sicuro di farlo giocare titolare fisso. Sarà a causa della mia passione per Toni Kroos.

La partenza di Götze e quella molto probabile di Lewandowski creano un buco enorme nella rosa di Klopp. Secondo te da quali giocatori potrebbe ripartire il Borussia Dortmund? Punteranno su qualche giocatore già conosciuto della Bundesliga, come Schürrle o Herrmann, oppure rivolgeranno ancora la loro attenzione a campionati meno conosciuti come successo ad esempio con Kagawa, Kuba o lo stesso Lewandowski?
Attendo con gioia le mosse della premiata ditta Watzke-Zorc. La prima, l’acquisto di Sokratis Papastathopoulos, mi convince relativamente ma, se ripenso a Piszczek quando era a Berlino, posso pensare che Klopp riuscirà a trasformare anche il greco in un grande giocatore.

Il sistema calcio tedesco negli ultimi anni ci ha abituati a una produzione di talenti impressionante, basta pensare ai Götze, Reus, Schürrle, Draxler. Secondo te chi potrebbero essere i prossimi talenti destinati a esplodere? Ad esempio si parla molto di Goretzka del Bochum ed Emre Can del Bayern.
Di Goretzka parlano tutti molto bene, ma non sono ancora riuscito a vederlo all'opera, mentre Emre Can è già molto maturo per la sua età.

L'Hoffenheim è stata una delle più grandi favole del calcio tedesco degli ultimi anni, con un'ascesa incredibile dalle serie minori fino ai vertici della Bundes. Poi un lento declino, culminato col crollo di questa stagione in cui si è giocato la salvezza agli spareggi. Cause del crollo? Che futuro avranno?
Se vendi gente come Demba Ba, Carlos Eduardo, Luiz Gustavo, Vedad Ibisevic e compagnia, è difficile riuscire a mantenere alto il livello. Poi quest’anno è arrivato anche il terribile incidente a Vukcevic che ha creato una situazione non facile da gestire. Mettiamoci una gestione non proprio perfetta e qualche altra scelta sbagliata e il tutto si è complicato maledettamente e se non fosse stato per il suicidio del Fortuna Düsseldorf sarebbe stata retrocessione. Cosa accadrà in futuro? Dipende dal signor Hopp. Se vuole tornare ad investire l’Hoffenheim può sicuramente ritornare competitivo.

Stefan Kießling invece ha vissuto una stagione da protagonista, chiudendo capocannoniere con 25 gol. Alla soglia dei 30 anni è un giocatore maturo? Può avere prospettive più ambiziose del Leverkusen? In Nazionale può essere lui la punta che manca dietro a Klose?
Sicuramente è maturato tanto, ma a Jogi non piace e penso che per il dopo Klose sia meglio puntare su Super Mario Gomez. Ammesso e non concesso che si voglia puntare su un centravanti fisso in Nazionale.

Parlando di Nazionale, secondo te riuscirà Löw a mettere un po’ di ordine nella sua testa con tutto lo straordinario talento offensivo a disposizione?
Quante volte abbiamo sentito dire che un allenatore vorrebbe avere l’imbarazzo della scelta. A volte però è una grandissima stupidaggine. Qui sono veramente troppi e ogni volta che scegli sbagli. In ogni caso io farei giocare Reus sempre e comunque, poi gli altri a seconda della forma.

Gündoğan, che nel BVB ha raccolto splendidamente l’eredità di Nuri Sahin, a differenza del compagno ha optato per la nazionale tedesca. Dopo questa stagione ai massimi livelli Löw deciderà di dargli maggior spazio oppure dovrà ancora accontentarsi di rimanere all’ombra della coppia Schweinsteiger-Khedira?
Credo lo farà giocare di più, ma qualcuno che copre, in una squadra così offensiva, è assolutamente necessario averlo.

Il contratto di Joachim Löw è in scadenza a fine Mondiale. Secondo te tenterà l’avventura in un club? Chi vedresti bene come suo successore sulla panchina della Germania? Magari lo stesso Heynckes?
Sinceramente vedrei bene Jürgen Klopp, mentre Jogi potrebbe andare ad allenare all’estero.

In chiusura, secondo te ci sarà la possibilità di tornare a vedere in Italia i Rummenigge, Matthäus, Völler, oppure sarà molto più probabile assistere a un’inversione di tendenza in un futuro anche piuttosto vicino?
Se fossi un giocatore tedesco ci penserei mille volte ad abbandonare il campionato tedesco per l’Italia. Su Spagna e Inghilterra si può discutere, ma la serie A, di questi tempi, non offre garanzie precise. Al massimo potrebbe fare questo percorso qualche giocatore di secondo livello.



In collaborazione con G.D.C.
Si ringrazia ancora Pietro Nicolodi, persona squisita ed incredibilmente disponibile.

27 mag 2013

L'Inter e la politica degli ingaggi


Un mantra della dirigenza nerazzurra degli ultimi anni tratta la necessità di ridurre i costi in vista dell'entrata in vigore del famigerato fairplay finanziario. Hanno così trovato giustificazione negli anni una serie di addii illustri, da Eto'o in poi: abbattere il monte ingaggi, andando al massimo in pari rispetto agli ammortamenti per il prezzo del cartellino.
Nell'estate 2012 il mancato raggiungimento della Champions League e del cospicuo premio in denaro dato dalla semplice partecipazione ha imposto una politica ancora più rigida in questo senso. La "classifica" degli stipendi recitava grossomodo Sneijder, Milito, Maicon, Chivu, Cambiasso, Forlan, Julio Cesar, Lucio e gli altri a scendere.
Detto che per Chivu si è attesa la naturale scadenza del vecchio contratto per stipularne uno nuovo pluriennale a cifre in linea coi tempi (sempre smisurate rispetto a presenze e utilità in campo), per gli altri più o meno la strada è stata un'altra. Maicon, Forlan, Julio Cesar e Lucio sono tutti stati ceduti praticamente a zero in estate pur di liberarsi dei loro pesanti ingaggi, per Sneijder si è solo rimandato il discorso di qualche mese, tentando un'improbabile trattativa di rinnovo al ribasso in piena stagione. Una linea dura, ma evidentemente necessaria.

Nell'estate 2013 l'Inter si trova ancora nella condizione di non disputare la Champions League (e nemmeno l'Europa League, ma quella è più un costo che altro, parola di De Laurentiis). Posto che i ricavi della società non sono certo aumentati nè i risultati sportivi hanno portato incassi particolari, logica vuole che dove si può i costi vadano ancora ridotti.
La "classifica" degli stipendi ad oggi recita nei primi 5 posti Milito, Cambiasso, Cassano, Stankovic, Zanetti. Cassano è l'ultimo arrivato, ha un anno di contratto e non è detto che rimanga, gli altri sono figure cardine dello spogliatoio, ma tutti con uno stipendio spropositato rispetto a ciò che possono ormai dare. Singoli casi non semplici, ma che andrebbero affrontati.
Zanetti è in scadenza, l'età (il capitano è un classe '73) e il recente infortunio al tendine d'Achille che lo vedrà tornare atleticamente disponibile verso Gennaio suggeriscono quantomeno un rinnovo a cifre minime, a essere cattivi il ritiro malgrado le 48 presenze in stagione.
Stankovic viene da una stagione da 3 presenze per 123 minuti totali, un paio di operazioni al tendine di Achille e acciacchi fisici vari, malgrado un altro anno di contratto tutto consiglia di rescindere, per non rovinare completamente una bella storia.
Cambiasso è regolarmente uno dei giocatori più impegati, nonchè il vice-capitano della squadra, ma il suo rendimento e soprattutto la sua tenuta atletica non sono minimamente in linea con il secondo contratto più alto della rosa. Spero si possa arrivare a un rinnovo con spalmatura visto che la rescissione con una figura simile è del tutto impensabile. Regalargli un altro anno a cifre tanto alte significa dare un cattivo esempio a tutti gli altri, troppa riconoscenza è pericolosa.
Infine Milito, simbolo assoluto del triplete 2010 reduce dalla rottura del crociato a Febbraio. Attaccante straordinario, ma parliamo di un classe '79 che tornerà disponibile verso Settembre e viene da una stagione con 9 gol segnati, rigori compresi. Difficile che migliori, difficile pensare possa valere il contratto più oneroso in assoluto. Purtroppo difficile anche metterlo da parte con uno stipendio simile, il che porta a una situazione sgradevole da gestire. Un calciatore che costa circa 10 milioni all'anno in una società con problemi di soldi può andare continuativamente in panchina? Ho i miei dubbi, specie se ha l'importanza di Milito. Visto la riabilitazione in corso credo che la rescissione sia del tutto impossibile conoscendo Moratti, ma altrettanto il rinnovo a cifre più basse vista l'età di Diego. Si andrà a scadenza per poi vederlo tornare in Argentina, pagando fino all'ultimo.

La logica porta a delle soluzioni, che per riconoscenza difficilmente verranno applicate.
La disparità di trattamento a parità di situazioni anno su anno rischia di essere clamorosamente evidente, con spiegazioni da consegnare direttamente al complottismo.

20 mag 2013

Europeo U17: le pagelle dell'Italia


Nonostante la delusione per la sconfitta ai calci di rigore contro la Russia, l'Italia U17 di Zoratto ha centrato un risultato dal sapore comunque storico. È infatti la prima nazionale azzurra under-17 ad approdare in finale all'Europeo ed è la seconda a qualificarsi per il Mondiale di categoria.
Nel corso della manifestazione gli azzurrini hanno dimostrato di essere una compagine solida, determinata, con buone basi tecniche e già votata all'equilibrio tattico. Il modulo piuttosto scolastico e poco avventato ha senza dubbio penalizzato i giocatori d'attacco - l'aver chiuso il torneo con tutte le punte a quota zero reti ne è la dimostrazione - e ha invece esaltato le doti di centrocampisti e difensori.

A pochi mesi di distanza dal Sudamericano U17, la differenza tra una squadra di stampo europeo come l'Italia di Zoratto e l'Argentina campione di Humbertito Grondona è piuttosto evidente e può essere considerata la perfetta esemplificazione di due scuole calcio più lontane che mai. Gli azzurrini, come detto in precedenza, hanno messo in evidenza gioco corale, movimenti e predisposizione mentale da giocatori in erba, mentre gli argentini hanno sopperito alle lacune tattiche con i singoli e la forza di volontà. Se da una parte il centrocampo Palazzi-Pugliese ha svolto un ruolo fondamentale in interdizione, palleggio, inserimenti, raddoppi e coperture sugli esterni, dall'altra sono emersi i talenti isolati di giocatori come Driussi o Leo Suarez, giovanissimi in grado di fare la differenza in ogni momento, ma ancora acerbi dal punto di vista tattico.

In generale si è trattato di un Europeo poco incline al talento e molto orientato al calcio vero, quello in cui il risultato conta più di ogni altra cosa. L'assenza di squadre come Spagna e Germania ha sicuramente contribuito ad accrescere questa sensazione, tuttavia chi è arrivato alla fase finale lo ha fatto eliminando proprio queste avversarie ed è doveroso rendere i giusti meriti.


Di seguito le pagelle degli azzurrini:

Scuffet 8: tiene a galla la squadra contro la Croazia e dà sempre sicurezza al reparto. La ciliegina sulla torta sono senza dubbio i rigori in finale.
Calabria 7: solido. Davanti si vede poco, ma dietro sbaglia il minimo sindacale e affronta tutte le situazioni con grande sicurezza e tranquillità.
Sciacca 6: gioca con classe e cerca sempre la chiusura pulita, ma facendo così l'errore è dietro l'angolo e il buco con la Russia nel girone ne è la dimostrazione. Ogni tanto si fa trovare fuori posizione ed è poco cattivo sui palloni. La sensazione è che, giocando da centrale, inizi a soffrire fisicamente alcuni avversari.
Capradossi 7: tra i due centrali è quello più attento ed efficace. Non bada alla forma ma solo alla sostanza e ha anche il merito di segnare due reti. In finale rischia un errore come quello di Sciacca, ma è più fortunato dell'interista.
Dimarco 8: è un '97, ma non si direbbe. Difende bene anche su un avversario come Halilovic, poi spinge, imposta e contiene. La prestazione in finale è la conclusione perfetta di un torneo giocato ad altissimi livelli.

Pugliese 7: compensa il fisico non imponente con tanto sacrificio e dinamismo. Alterna partite in cui gioca statico - quasi da regista - ad altre in cui tenta inserimenti e folate offensive. In finale fatica soffrendo probabilmente la tensione.
Palazzi 7: se i grandi giocatori si vedono quando conta, lui è sulla buona strada. Inizia male il torneo pagando il fatto di giocare in un ruolo molto delicato, poi continua a crescere e in finale è tra i migliori in campo. È il classico giocatore che la retorica calcistica descrive con un "c'è ma non si vede". Imposta, difende, detta i tempi del pressing.
Tutino 6: fumoso. Corre molto, ma spesso lo fa a vuoto e con poca sincronia nel gioco di squadra. Quando si accende può fare la differenza, ma succede di rado.
Parigini 6,5: gioca poco in relazione all'impatto che ha quando subentra. A quanto pare non convince Zoratto e addirittura in finale entra solo per calciare il rigore. Probabilmente è poco adatto al 442 dell'allenatore, ma dà sempre quel tocco di imprevedibilità alla manovra.
Steffè 6,5: entra nel finale dell'ultima partita del girone e non esce più. Pur giocando fuori ruolo garantisce corsa e intelligenza tattica a cui è impossibile rinunciare.
Tibolla 6: anche lui dà forza fisica e corsa al centrocampo in un ruolo non suo, ma fatica ad imporre il proprio passo e piano piano esce dall'11 titolare.

Bonazzoli 6,5: è uno dei più giovani del torneo, ma mette in mostra lampi di classe autentica. È un giocatore vero in costruzione e si vede per come si muove, difende palla e la gioca. Manca il gol e a tratti soffre fisicamente (è un '97), ma tra gli azzurrini è sicuramente uno di quelli con il futuro più luminoso davanti. Paga la scarsa intesa con Cerri e un gioco offensivo azzurro un po' troppo dipendente dal centravanti del Parma e dalla sua stazza.
Vido 6: anche lui '97, prende il posto di Bonazzoli garantendo quel qualcosa in più in termini di sacrificio e intensità fisica. Alterna ottime giocate ad un paio di errori clamorosi a tu-per-tu con il portiere avversario.
Cerri 5: doveva essere l'arma in più dell'Italia, ma, forse proprio per le troppe aspettative, fatica più degli altri. Fa sempre un gran lavoro nel tentativo di far salire la squadra, ma nonostante la clamorosa superiorità fisica non riesce ad incidere. Sia Bonazzoli che Vido faticano a integrarsi nella coppia d'attaco in cui lui calamita ogni pallone, al punto che diventa lecito chiedersi se il problema non fossero i due giovanissimi. A volte cerca la giocata troppo difficile e nel corso del torneo si divora qualche gol di troppo.



Ha collaborato Roberto Ruggio

Il 2013 dell'Inter


L'Inter ha chiuso al nono posto una delle peggiori stagioni della sua storia. Eppure a Gennaio la situazione sembrava promettere decisamente meglio, con l'obiettivo dichiarato della qualificazione in Champions effettivamente a portata. Cos'è successo in 5 mesi, 20 partite, un girone intero?

Semplicemente nel 2013 l'Inter ha smesso di fare risultati, con numeri a dire poco devastanti.
I punti fatti sono 19, frutto di un periodo di 5 vittorie, 4 pareggi e 11 sconfitte, con 25 gol fatti e 37 subiti. Il totale del campionato recita 16, 6, 16 con 55 reti all'attivo e 57 al passivo, ed è facilissimo capire quanto la stagione sia stata spaccata in due.

Andando oltre è inevitabile notare che psicologicamente la squadra si sia sostanzialmente spenta nel momento in cui si è infortunato Milito. L'Inter era già in crisi fisica e di risultati da Novembre, ma con ancora la speranza di riavere il 22 i risultati dicono 2 vittorie (Pescara e Chievo, con Milito in gol), 2 pareggi e 2 sconfitte. Poca roba, ma nettamente meglio della prosecuzione.
Ancora più fragoroso il crollo dopo il doppio infortunio Palacio-Cassano che ha disgregato la già pericolante struttura dell'attacco. Da Sampdoria-Inter (vinta esclusivamente grazie alla vena del numero 8) c'è stata una vera e propria resa, con buona pace delle belle parole sulla reazione psicologica o sulla tenuta mentale. 7 sconfitte (4 in casa), 1 pareggio, 1 vittoria. Il paradosso è che la squadra sia riuscita più o meno sempre a inventarsi qualcosa per segnare, ma sia totalmente crollato il rendimento della difesa. 20 gol subiti, buon indice dell'importanza di tutta la squadra per non subire e testimonianza di una presenza in campo quantomeno distratta.

Gli infortuni sono stati di sicuro un fattore importante nella stagione nerazzurra. Ma una squadra che per 7 mesi vive in balia degli eventi senza mai essere in grado di controllare il proprio destino ha problemi strutturali ben oltre la composizione della rosa.

15 mag 2013

Intervista a Stefano Borghi


Con immenso piacere AguanteFutbol ha avuto la possibilità di contattatare Stefano Borghi, voce del calcio argentino su Sportitalia. Se non sapete chi sia vi invitiamo a cancellarci dai preferiti, in caso contrario vi auguriamo buona lettura.

 
Partiamo dagli allenatori. Cambiare continente è sempre difficile, pensi possano adattarsi grandi tattici come Martino e Gareca?
Si parla sempre dei problemi di ambientamento dei giocatori sudamericani in Europa, ma per gli allenatori il trasferimento è ancora più difficile. Il calcio è diverso ed esportare i metodi di allenamento richiede un grande sforzo. I casi in cui questo processo diventa più facile si hanno quando si esporta o una filosofia particolare che va ad abbracciare tutto il lavoro come per il Loco Bielsa o quando l'allenatore ha avuto una carriera di alto profilo in Europa, come per Diego Simeone. Fuori da questi casi paticolari Manuel Pellegrini rappresenta un esempio perfetto di integrazione.
Per i due nomi citati Gareca è uno splendido allenatore, ma è un tipico gestore argentino, una figura che per carisma e per profilo si relaziona molto bene con giocatori suoi connazionali che possono comprenderlo al meglio. Può fare molta fatica a comunicare in un contesto tanto diverso. Martino invece è un bielsista, un tecnico dalla forte mentalità europea, con idee molto adatte al nostro calcio per la gestione degli spazi.
Non si parla mai delle difficoltà che potrebbe incontrare un tecnico europeo in Sudamerica, le difficoltà ambientali valgono in entrambi i sensi.

I "giovani" Palermo e Schelotto invece che prospettive hanno?
Palermo e Schelotto hanno avuto un grande impatto come allenatori.
Schelotto è stato anche aiutato dall'ottimo ambiente del Lanus, società gestita mirabilmente, ma ha fornito alla squadra un grande gioco e valorizzato tutti i migliori giocatori, il Chino Romero in particolare.
Palermo mi ha sorpreso. Rispetto al giocatore che era ha sviluppato un senso tattico molto più raffinato. Il Godoy Cruz avrebbe bisogno di più qualità, ma è una formazione quadrata e solida. Lui ha sviluppato un'ottima mentalità di squadra entrando in contatto con i suoi uomini.

Ignacio Scocco: ignorato dall'Europa, figura assoluta in Argentina. Potrebbe ricalcare le orme di Rodrigo Palacio, dimenticato a lungo, ma capace di rilanciarsi e imporsi?
Palacio è un giocatore di un livello più alto, ingiustamente ignorato fino a oggi malgrado un potenziale da top. Scocco è un grande giocatore che avrebbe di sicuro un buon impatto in Italia. Il problema è che spesso si ha poca fiducia in questi calciatori. Una squadra italiana aveva in mano Nacho e adesso è probabile che se lo lasci scappare. Per lui vedo un futuro in Brasile, peccato.

Il Racing Avellaneda è la vera fucina di talenti del momento. Di Centurion e De Paul si è parlato tanto, ma che prospettive europee possono avere Zuculini e Vietto? Fariña, il più grande di età, avrà mai il cervello per imporsi?
Per Vietto vedo buone prospettive in Spagna da prima punta alla Saviola, in certi contesti anche da seconda punta. Al Racing sta maturando anche tatticamente, malgrado il fisico limitato sa muoversi bene ed è prezioso nell'aprire gli spazi. In Italia soffrirebbe di sicuro le marcature più strette e i pochi spazi, meglio la Liga per lui.
Zuculini sta avendo una grande evoluzione grazie allo staordinario lavoro del suo tecnico Zubeldia. Da semplice mediano di rottura sta crescendo negli inserimenti dimostrando una buona pericolosità in zona gol. Lui lo vedo benissimo in Italia anche per fisico e corsa, molto meglio di suo fratello passato dal Genoa con scarsa fortuna.
Fariña ha effettivamente delle idee sbagliate, ma è anche stato sfortunato a rompersi quando poteva avere spazio. Probabile che per sbocciare gli serva l'allenatore giusto nel club giusto.

Leandro Paredes: talento chiacchieratissimo e giocatore in rampa di lancio con Falcioni. Il ritorno di Bianchi (o meglio di Riquelme) lo ha praticamente cancellato dal campo. Un errore di gestione?
Premetto che parliamo probabilmente del miglior '94 in Argentina, assieme a De Paul. Di sicuro il ritorno di Riquelme ha avuto il suo peso, ma Paredes ci ha messo del suo. Si è montato la testa e Bianchi ha deciso di metterlo subito al suo posto. Rientra nel modo di fare del Virrey, uno che ai tempi mandò Carlos Tevez in vacanza due mesi, mica nelle giovanili come Paredes.
Falcioni in ogni modo ha svolto un lavoro fondamentale per la crescita del ragazzo, insegnandogli a giocare anche sull'esterno. In un contesto Europeo in cui i 10 sono sempre meno richiesti è molto importante trovare altre soluzioni, come ad esempio successo con Lamela. Per mettere due numeri, a sinistra in un 4-2-3-1 potrebbe convivere anche con Roman.

Facundo Ferreyra prima di infortunarsi era l'attaccante emergente del campionato, lo vedi in Europa e se sì in che ruolo?
Ferreyra può fare di sicuro bene. E' una punta completa che segna in ogni modo. Odio i paragoni, ma mi ricorda Higuain per la sua capacità di trovare la porta, pur con meno potenza fisica. Gareca è riuscito a valorizzarlo al massimo nel suo straordinario sistema offensivo. Da non sottovalutare la mentalità di questo ragazzo, capace di reagire mentalmente alla retrocessione del Banfield imponendosi come figura del Velez.
Peccato che si sia fatto male, ma può essere un'occasione importante da sfruttare in ottica mercato. Lo vedrei benissimo in una squadra che ha bisogno di ringiovanire e di trovare un riferimento in avanti, tipo l'Inter.

Un primo bilancio su Sabella sulla panchina dell'Argentina a un anno dal Mondiale? Se in attacco c'è solo l'imbarazzo della scelta, gli uomini a difesa e centrocampo ti convincono? Specie nelle riserve forse c'è poca esperienza di calcio non sudamericano.
Si sottovaluta sempre il fatto che le nazionali sudamericane vincono con forti basi radicate nel loro calcio. Il lavoro di Sabella è stato ottimo, ha portato mentalità vincente e praticità in una squadra troppo abituata a perdere malgrado il talento. In ottica Mondiali, deve sistemare due punti: serve una chiara identità difensiva, da sviluppare nell'ultimo anno anche in base al rendimento dei big (Samuel e Demichelis), e deve inserire nel contesto offensivo il talento assoluto del Coco Lamela.

In ambito italiano, il Catania è squadra nota per pescare numerosi giocatori argentini, magari poco conosciuti dalle nostre parti. Uno degli ultimi arrivati è il Pata Castro, che al Racing in un contesto complicato aveva dimostrato talento. Potrebbe rivelarsi una sorpresa?
Castro (classe 1989, ndr) ha avuto una prima stagione italiana sorprendente. Il talento c'è sempre stato, a Catania si è dimostrato inaspettatamente intenso e polivalente. Ha imparato a stare nel nostro calcio anche in ruoli nuovi, lo si considera molto poco. La squadra è evidentemente un'isola felice per gli argentini.
Non bisogna dimenticare che in Argentina tendono a fare esordire i ragazzi sempre più giovani e a  venderli di conseguenza, ma nel range tra i 23 e i 27 anni sono nettamente più maturi e pronti per l'Italia.



Ha ovviamente collaborato G.B.
Si ringrazia ancora e infinitamente Stefano Borghi per gentilezza e disponibilità

14 mag 2013

Manuel Pellegrini, il sottovalutato


Manuel Luis Pellegrini Ripamonti nasce nel 1953 in Cile. La sua carriera da allenatore inizia nel 1987. Trova particolare successo in Argentina, dove riesce a vincere campionato e Copa Sudamericana col San Lorenzo (primo titolo internazionale del club) e campionato col River Plate.
Nel 2004, dopo 17 anni di esperienza, decide di tentare l'avventura europea sbarcando a Vila-real.

La sua esperienza nel sottomarino giallo è tanto significativa da cambiare di fatto la percezione del club. Da piccola squadra promossa per la prima volta in primera division nel 1998 a compagine protagonista di spessore sia in Liga che nelle competizioni europee.
Sotto la sua guida il Villarreal raggiunge i quarti di Coppa UEFA, una storica semifinale di Champions, mentre in campionato un terzo e un secondo posto. Rilancia totalmente la carriera di Juan Roman Riquelme e Diego Forlan dopo i fallimenti a Barcellona e Manchester e valorizza nomi come Nihat, Gonzalo Rodriguez, Joseba Llorente, Santi Cazorla, Marcos Senna, Joan Capdevila.
La sua esperienza in giallo termina a causa della chiamata del Real Madrid, scelto da Florentino Perez per creare i nuovi galacticos da opporre al Barcellona fresco di triplete. Prende in mano una squadra sicuramente stellare, ma totalmente da costruire come spirito. Paga amaramente dazio nelle coppe (storica l'eliminazione in Copa del Rey contro l'Alcorcon) e chiude il campionato al secondo posto facendo 96 punti, con 102 gol segnati.
Questa avventura etichetterà la carriera di Pellegrini indelebilmente. Lo spettro del fallimento madridista è difficile da scrollarsi di dosso, malgrado un campionato disputato a livelli altissimi. Viene esonerato e subentra alla guida del Malaga nel 2010.
Nella sua prima stagione completa ottiene un quarto posto che vale la storica qualificazione in Champions. Nella seconda (cioè quella in corso) malgrado la cessione di alcuni dei migliori giocatori (Santi Cazorla, Salomon Rondon), problemi finanziari del club (proprietà in disimpegno) e un contenzioso aperto con la UEFA per i parametri del fairplay finanziario (il Malaga non disputerà le coppe nel 2013/2014) porta la squadra al quinto posto e ai quarti di finale di Champions League, sfiorando le semifinali. Il tutto una rosa formata da giocatori al tramonto (Demichelis, Saviola, Joaquin, Julio Baptista, Santa Cruz) con qualche giovane di qualità (Isco).  

Si distingue per un calcio organizzato, pragmatico, ma anche con ottimi spunti offensivi. Impressionante la quantità di giocatori non di nome valorizzati negli anni, così come la signorilità del personaggio. In Europa ha allenato benissimo squadre non di primo piano ottenendo il massimo, col limite di arrivare solo a sfiorare le imprese assolute. Ha sofferto quando gli sono stati imposti grandi nomi in ruoli non funzionali alla sua idea di calcio.
Cosa farà sulla sponda blu di Manchester?

3 mag 2013

Finalmente il Superclasico


Domenica 5 maggio è la data cerchiata in rosso sul calendario da tutti gli appassionati del calcio argentino. È tempo di Superclasico e come sempre gli spunti da trattare sono molteplici: dalla sfida tra idoli in panchina, Carlos Bianchi e Ramon Diaz, alle assenze dei due grandi vecchi, Riquelme e Trezeguet. A due giorni dallo scontro alla Bombonera gli allenatori scoprono le carte, ben consapevoli che a decidere il risultato saranno prima di ogni altra cosa grinta e sangue freddo.

Ramon Diaz opta per la continuità e conferma il modulo più utilizzato finora, il 4312 che ha saputo finalmente dare stabilità e continuità sia a livello di gioco che di risultati. Emblematiche le dichiarazioni del DT: "Tornare alla Boca con il club che amo è una sensazione speciale. Sappiamo che per vincere dobbiamo giocare bene e per questo non cambieremo la nostra identità". Finora la crescita della Banda, seppur lenta, è stata piuttosto costante sul piano del gioco. Dalla gestione Almeyda c'è stato un sensibile miglioramento sia a livello di personalità che di chiarezza nelle idee da mettere in campo. Adesso il River deve cercare di perfezionare l'efficacia della manovra offensiva e soprattutto deve riuscire a portare a casa partite come quella di domenica scorsa contro il Quilmes, terminata in pareggio nonostante una buona prestazione.

Difesa che convince non si cambia e allora il Pelado conferma Barovero tra i pali e la linea a quattro con Mercado e Vangioni sugli esterni. In mezzo la coppia di giovanissimi Leandro Gonzalez Pirez e Eder Alvarez Balanta: per il primo è l'occasione di rifarsi dopo un Superclasico al Monumental da protagonista in negativo, per il secondo l'opportunità di confermare le sue straordinarie qualità in una partita dove concentrazione e nervi saldi fanno la differenza. Finora il centrale colombiano ha stupito tutti non solo per le due reti messe a segno, ma soprattutto per la solidità difensiva mostrata fin dai primi minuti dell'esordio contro il Racing.
A centrocampo l'assenza di Ariel Rojas può essere pesante, perchè l'asse di sinistra formato dall'ex-Godoy Cruz e dal Piri Vangioni ha spesso sopperito alle lacune dei Millonarios in fase di costruzione della manovra. Al suo posto rientra però Leo Ponzio, il vero leader della squadra in assenza di Trezeguet; assieme a lui agiranno Ledesma e Carlos Sanchez, ancora titolarissimo nonostante un semestre con poche luci e tante ombre.
Davanti Ramon si affida a Manu Lanzini, confermato sulla trequarti alle spalle del duo Iturbe-Funes Mori. Per il centravanti del River si prospetta una domenica molto intensa ed evitare di replicare la prestazione suicida di due anni fa sarebbe un buon punto d'inizio. L'errore clamoroso all'ultimo secondo della sfida con il Quilmes non lo aiuta ad arrivare alla Boca con l'autostima ai massimi livelli, ma sbagliare anche questo derby potrebbe davvero scrivere fine ai rapporti già non particolarmente idilliaci con i tifosi della Banda.

Dall'altra parte il Boca arriva al Superclasico stanco dall'impegno di Copa contro il Corinthians, ma con ben altro morale dopo 10 partite senza vittorie, un terzultimo posto e lo storico 6-1 subito dal San Martin de San Juan in campionato. È proprio la difesa l'anello debole di una squadra già di per sè non irresistibile, ma la sfida contro il Timao ha dimostrato che, per quanto feriti possano essere, gli Xeneizes e il Virrey non perderanno mai l'orgoglio. E quando si gioca contro il River, con la Doce alle spalle, l'orgoglio non può mancare.

Anche in questo caso Bianchi disegna la squadra sulla falsariga di quella schierata in Libertadores, senza tradire lo schema storico degli Xeneizes nonostante l'assenza di Juan Roman Riquelme: Orion; Marin, Caruzzo, Burdisso Jr, Nahuel Zarate; Ledesma, Bravo, Sanchez Mino; Erviti/Paredes; Martinez / Blandi / Acosta / Silva.
Fino a centrocampo l'undici è definito, con il giovanissimo Zarate chiamato nel difficile compito di sostituire l'infortunato Clemente Rodriguez, mentre davanti iniziano i dubbi di Carlos Bianchi. La ventina di minuti giocata contro l'Estudiantes ha rilanciato prepotentemente Paredes, goiellino azul y oro messo da parte con troppa fretta dopo il ritorno a Casa Amarilla di Riquelme, a cui il DT potrebbe decidere di affidare la regia al posto di Erviti.
In attacco i dubbi aumentano maggiormente e la scelta non sarà facile: tenere in panchina un bomber di razza come Blandi non è decisione da prendere a cuor leggero - soprattutto conoscendo la vena realizzativa che Nico aveva nelle sfide contro il River ai tempi delle Inferiores -, ma lo stesso Tanque Silva venderebbe l'anima per gonfiare la vena in occasioni come questa. Difficile rinunciare alla qualità di Juan Manuel Martinez, ma il Boca dovrà anche tenere conto del ritorno in Brasile contro il Corinthians.

La certezza è che entrambe le squadre avranno tutte le motivazioni per vincere domenica e l'impatto visivo e sonoro della Bombonera contribuirà ad amplificarle ulteriormente. D'altronde questo è il Superclasico.

1 mag 2013

Ignacio Scocco

«Se viene Nacho, se viene Scocco, atención que probó al arcooo... goool! Gooolazoooo! Golazo de Ignacio Scocco. Tremendo gol en la vuelta y la primera pelota que toca la clavó!»


Si riapre con queste parole la seconda avventura di Ignacio Martín Scocco, per tutti Nacho, al Newell's Old Boys, squadra in cui mosse i primi passi da professionista quasi dieci anni fa. Arrivato in prestito dall'Al-Ain, Nacho ha impiegato pochi minuti a rientrare prepotentemente nei cuori dei tifosi della Lepra, inventandosi dal nulla un gol sensazionale contro il malcapitato San Martín de San Juan. È una rete di una semplicità disarmante, ma è allo stesso tempo il manifesto di un giocatore che fino a un anno fa non viaggiava sotto ai radar, ma ci passava attorno, facendo tappa prima in Messico (Pumas e Toluca), poi in Grecia (AEK Atene) e infine negli Emirati Arabi Uniti.
 
In quell'anticipo sul difensore e in quel destro scaraventato sotto all'incrocio dei pali c'è tutto Ignacio Scocco: scaltrezza, rapidità e potenza. Nacho è con ogni probabilità uno dei pochi attaccanti in circolazione a saper veramente calciare in porta, grazie a un destro forte, preciso e imprevedibile. Il gol segnato al San Martín è solo una delle gemme di questo attaccante classe '85 e negli ultimi dodici mesi diversi portieri argentini hanno dovuto fare i conti con le sue conclusioni dalla distanza. Le doti principali di Scocco, tuttavia, sono la completezza sul piano tecnico, favorita ed esaltata dal fisico snello ed esplosivo, e l'intelligenza tattica, qualità che gli permettono di interpretare ogni ruolo del reparto offensivo senza perdere minimamente la propria efficacia.
 
Con il ritorno a Rosario, Scocco ha saputo trovare una sorprendente continuità in zona gol, adattandosi perfettamente al dinamismo del 433 di Gerardo Martino. Capocannoniere del torneo Inicial assieme a Facundo Ferreyra, altro attaccante con largo seguito nel Vecchio Continente, ha messo a segno 24 reti in 34 partite, contribuendo in modo decisivo alle fortune del Newell's sia in campionato che in Copa Libertadores. Il tridente offensivo del Tata, dove parte come punta centrale scambiando spesso posizione con gli esterni, sembra costruito su misura per esaltare la sua capacità di muoversi con precisione chirurgica negli spazi alle spalle della difesa. I suoi tagli sono difficili da leggere e in possesso di palla diventa imprevedibile grazie a un piede quasi da trequartista, che gli consente di rendersi insidioso anche come assist-man.
 
La relativa leggerezza fisica, ben compensata da elasticità, potenza e coordinazione di livello assoluto, è forse l'unico difetto assieme all'età. Nacho ha infatti 27 anni e non si può più considerare un talento in erba, ma non sarebbe il primo calciatore a esplodere con qualche anno di ritardo e l'aver già raggiunto una certa maturità può invece rappresentare un punto a suo favore in vista del ritorno in Europa. Il giocatore è infatti stato chiaro e in estate, al termine del prestito al Newell's, vuole ritentare l'avventura oltreoceano. A Rosario hanno già messo da parte ogni speranza di poterlo vedere tra le fila della Lepra anche la prossima stagione: su di lui ci sono infatti già diversi club italiani (Torino su tutti) e non (recente l'interesse del Galatasaray).
La sensazione è che Scocco, questa volta, possa avere ben altro impatto sul calcio europeo e che il suo eventuale passaggio a una squadra di medio-basso livello sia soltanto una tappa intermedia prima dell'approdo in un club con ambizioni ben superiori.