“Aveva la pelle screpolata dalle
intemperie, i capelli corti e ritti come i crini di un mulo, le
mascelle ferree e lo sguardo triste. […] Era José Arcadio. Veniva
povero come se n'era andato. Parlava uno spagnolo mescolato al gergo
dei marinai. Gli chiesero dov'era stato e risposte -Qui e là-.
Appese la l'amaca nella stanza che gli avevano assegnato e dormì per
tre giorni.”
Gabriel Garcia Marquez, "Cent'anni di
Solitudine".
José Arcadio è il figlio del
fondatore di Macondo, José Arcadio Buendìa, ed è tornato al
villaggio dopo aver girovagato per anni con gli zingari. Nel giro di
pochissimo tempo, ricoprirà di scandalo il buon nome dei Buendia e
verrà cacciato di casa.
Teofilo Gutierrez ha molto in comune
con lui: ha i capelli corti e ritti come i crini di un mulo, ha le
mascelle ferree e talvolta pure lo sguardo triste. I due condividono
la sorte di essere nati colombiani e con lo stesso nome di battesimo
del padre. Non si tratta di due colombiani qualsiasi, sono colombiani
all'ennesima potenza: il primo è nato dall'impasto tra l'inchiostro
e le visioni del più grande scrittore della storia del Paese, il
secondo è un ragazzo profondamente intriso dell'odore del contesto
che lo ha cresciuto.
Entrambi sono sprofondati nell'eccesso
e nello scandalo, hanno affrontato senza limiti loro stessi e chi
stava loro intorno, se ne sono andati e sono ritornati, per poi
rimettersi in spalla i bagagli e ripartire nuovamente verso una meta
qualsiasi.
Nella sua Macondo Teo Gutierrez ci è
già tornato e dopo poco è ripartito, ma oggi è a un passo da
ritornare in un altro villaggio che ne ha conosciuto la mastodontica
grandezza. Non quella fisica di José Arcadio, ma quella emotiva,
quella mancanza di misura con la quale sfonda il muro
dell'ordinarietà, dentro e fuori dal campo. Inutile dire che uno
così viaggia alle proprie condizioni anche quando ha la palla tra i
piedi e che la mastodontica grandezza è anche quella del suo
talento, se si è svegliato con il piede giusto. Il villaggio che lo
attende si chiama Argentina e questo capitolo della sua storia è
ancora tutto da scrivere.
Barranquilla
Teo Gutierrez nasce tra le braccia
della povertà a La Chinita, uno dei barrios più violenti della
città di Barranquilla. La miseria ha trasformato questo quartiere
nell'arena delle faide sanguinose tra le pandillas locali e ha reso
l'auspicio di vivere un'esistenza serena a La Chinita una pretesa
oltre i limiti dell'impossibile, tanto che nemmeno i taxi osano
addentrarsi da quelle parti. Teo cresce in questo tremendo barrio
sulla riva del Rio Magdalena e ai margini della società, imparando a
vivere, ma soprattutto a non morire.
“Se non stai attento, qui ti
mangiano” dirà molti anni più tardi.
Come tutti i ragazzini che crescono
nella povertà in Sudamerica, anche per Teo arriva il giorno in cui
deve rispondere alla domanda che, in un modo o nell'altro, avrebbe delineato buona parte della sua futura esistenza: ¿bala o pelota? Pallottola o
pallone? Fortunatamente, suo padre Teofilo Sr aveva già scelto per
lui, regalandogli la sua prima palla da calcio e affidandolo all'età
di sette anni alle mani di Franklin Ramirez, maestro di fútbol di
Barranquilla che viveva ogni giorno la missione di tenere i bambini
indigenti lontani dal vizio attraverso il calcio. Tra le fila
dell'Independiente Framy, il piccolo club di Ramirez, Teo esprime
tutto il proprio viscerale amore per il pallone, che per fortuna è
reciproco: il figlio dei Gutierrez gioca splendidamente e all'età di
quindici anni, mentre il suo talento si fa sempre più nitido,
cerca una chance nelle inferiores del Junior, la squadra più
importante di Barranquilla.
Ad attenderlo sul campo d'allenamento
delle inferiores c'è William Eduardo Knight, ex giocatore della
Nazionale colombiana a metà degli anni Ottanta e tecnico giovanile
per l'equipo costeño. Teo viene presentato dal padre come un numero
dieci, ma l'ex Cafetero non gli dà retta, perchè non appena lo
vede giocare, riconosce in lui un attaccante potenzialmente
fenomenale. Lo cambia subito di ruolo e d'un tratto la sua mobilità,
il suo tocco educato e la sua grinta vengono espressi in funzione
della sua caratteristica principale, mai celata nemmeno da
trequartista: saper fare gol. A diciannove anni viene mandato al
Barranquilla FC, la succursale dei Tiburones in seconda divisione,
dove incontra un ancora anonimo Carlos Bacca e debutta da calciatore
professionista, mettendo a segno sedici reti in quaranta partite.
Il destino di Teo Gutierrez è la sua
Macondo, è il Junior, che l'anno seguente gli consegna sia la maglia
numero 38 che l'occasione di segnare il proprio primo gol nella
massima serie colombiana, freddando con una zampata da attaccante di
alta classe il portiere dell'Once Caldas. Nonostante questa gioia, i
primi tempi sono duri, seduto costantemente in panchina sognando di
avere le chance per diventare forte come Ibrahimovic e Valderrama.
Tutto questo fino all'arrivo di un uruguayo sulla panchina del
Junior: è Julio Avelino Comesaña, che su di lui piazza e vince la
propria scommessa.
Teo dimostra fin da subito che il
compromesso non è parte di lui: nelle partite in cui è in forma
rompe letteralmente le reti e mette a referto triplette con frequenza
sufficiente per guadagnarsi il soprannome di “Triofilo”, ma
quando scende in campo con la luna storta c'è solo il buio. Ciò su
cui è impossibile dibattere è un'altissima predisposizione per
caratteristiche ad essere un top: movimenti frutto di un cervello
calcisticamente finissimo e piedi ottimi (le due piacevolissime
sorprese che si riscontrano negli attaccanti con un passato da
fantasisti), accompagnati da un'attrazione magnetica per la porta.
Figlio di Barranquilla e figlio del gioco, due ingredienti che
portano tanta allegria all'Estadio Metropolitan. Il 2009 è il suo
anno, dentro e fuori dal campo: nel primo semestre segna sedici reti
e porta il Junior fino alla finale del campionato, persa contro
l'Once Caldas, mentre nel secondo semestre rischia di replicarsi
infilando altri quattordici palloni nel sacco. La sua gente lo ama
alla follia, complice il viscerale attaccamento alla maglia e alla
città, dove deciderà sempre di tornare prima di prendere una
decisione o dopo aver sfidato tutto ciò che ha intorno.
Barranquilla è nel cuore di Teo e,
dopo anni di calcio di vertice nazionale, chi è nel cuore di Teo è
a Barranquilla: finalmente, infatti, l'attaccante riesce a mantenere
la promessa fatta alla mamma diversi anni prima, quella di portare
lei e il resto della famiglia fuori dal barrio La Chinita. Si chiude
così il cerchio della prima fase della carriera di Teofilo
Gutierrez.
Locuras
L'anno successivo, la svolta: il
Trabzonspor decide di mettere sul piatto quattro milioni e mezzo di
dollari per portarselo a Trebisonda e godere dei suoi gol. Teo arriva
in Turchia e si presenta con la sua specialità: la tripletta, che
inflitta al Bursaspor è la chiave per sollevare il primo trofeo
della sua carriera, la Supercoppa Turca. Il bel tempo si vede dal
mattino? Neanche per sogno, perché Teo non riesce a integrarsi e nel
giro di poco realizza di volersene andare. Forse perché per un
colombiano parlare di “Antioquia” con un turco è la via più
breve per fraintendersi, forse perché le scintille iniziali non sono
state seguite dalla titolarità che pretendeva, forse perché le
sirene inglesi del Liverpool squillate dopo l'incontro europeo gli
hanno messo in testa altre prospettive, ma il dato di fatto è che
Teofilo Gutierrez non vuole perdere altro tempo in Turchia. Il fatto
che il contratto firmato, con l'inchiostro ancora fresco, sarebbe
valido per i successivi tre anni e mezzo non è certo un deterrente
per Teo, che mal si presta all'accondiscendenza: passano nove mesi, e
il ventre del puntero partorisce il primo frutto visibile del suo
animo sensibile e controverso. La Seleccion Cafetera lo convoca a
ottobre per una partita, lui risponde alla chiamata della patria e da
lì in avanti smette di rispondere alle chiamate di chi lo cerca
dall'altra parte dell'Oceano. Teo non pensa alle conseguenze, Teo
resta nella sua Barranquilla e motiva la fuga con dei problemi di
salute subentrati a causa della continua esposizione ad ansia e
stress. I delegati turchi lo fanno visitare e, stando a loro, l'unico
disturbo del costeño sarebbe quello recato alla dirigenza del club
con la sua fuga. Il Trabzonspor ingaggia col giocatore un duello
sotto gli occhi della FIFA, durante il quale Teo rimane a casa e
aiuta sua nonna Aura a preparare le empanadas che avrebbe venduto al
negozio di famiglia. Dopo quattro mesi di schermaglie, si profila
all'orizzonte una soluzione che avrebbe messo tutti d'accordo: il
Racing Club.
A Miguel Angel Russo, tecnico
dell'Academia, basta un colloquio per portarlo al Cilindro, carico
come non mai. Per la stampa argentina si tratta di un
semi-sconosciuto e per questo piovono critiche sulla scelta della
dirigenza, ma cinque gol nelle prime cinque partite basteranno a Teo
per zittire chiunque avesse dubitato di lui e per conquistarsi
l'amore del tifo academico. Il primo semestre lo chiude da
capocannoniere, ma il suo carattere fortemente emotivo esplode
nuovamente in una lite durante l'allenamento con Mauro Dobler,
portiere di riserva del Racing con cui arriva alle mani dopo uno
scontro di gioco in partitella. Da quel momento, l'atmosfera intorno
a Teo si surriscalda: il suo rendimento si fa sempre più discontinuo
e la forbice tra cartellini presi e gol fatti si restringe
pericolosamente. Nel 2012 il clima si corrompe definitivamente e in
un Clasico perso rovinosamente contro l'Independiente, Teo dà
all'arbitro del “carón”, equivalente colombiano per “sfacciato”,
ma ovviamente il direttore di gara argentino capisce “cagón” e lo
manda negli spogliatoi. Alla fine del match, Sebastian Saja, portiere
del Racing e senatore del gruppo, ormai esasperato dal comportamento
di Teo, lo attacca verbalmente. La scintilla della lite scoppia e i
due arrivano alle mani in un attimo, finché i compagni non li
separano a forza. A quel punto, Teofilo Gutierrez estrae dal borsone
una pistola giocattolo e minaccia il compagno, lasciando di stucco
tutti i presenti. In quel rovente spogliatoio entra anche la polizia
e nei giorni seguenti la parabola di Teo Gutierrez al Racing si
interrompe definitivamente, nella maniera più illogica. Diventa un
“tutti-contro-Teo”, perchè in pochi hanno intenzione di
tollerare le follie che la sua spiccata emotività lo porta a
compiere quando le situazioni si fanno dure.
Siempre Barranquilla
La legge non scritta di Teofilo
Gutierrez è la seguente: se non sei a tuo agio, cerca la felicità
altrove, perchè Dio ti segue ovunque vai. La sua fede è
incrollabile ed è l'unica certezza insieme alla famiglia, in una
vita che, come per ogni sudamericano del barrio, è stata densa
quanto dieci delle nostre. La fede in Dio è lo specchio attraverso
cui percepisce di essere dalla parte del giusto nonostante le
critiche, e mescolata a una discreta dose di follia, a una'altra
altrettanto buona di sicurezza nei propri mezzi e a un'emotività
esplosiva, ci dà Teo Gutierrez. Ci dà l'uomo che viene riempito di
lodi e massacrato di critiche, ma che continua a cercare la felicità.
Poco dopo l'alterco col Chino, Teo
prende le valigie e abbandona il Cilindro, ma riceve subito una
seconda chance argentina, perché il Lanús ha bisogno di un
attaccante di livello per avanzare nella fase a eliminazione diretta
della Copa Libertadores. Arriva in prestito e segna un gol contro il
Vasco da Gama, che però non basta ai Granate per evitare
l'eliminazione. Un mese dopo la
sconfitta, Teo non si presenta a un allenamento e prende un aereo per
Barranquilla, formalmente per rispondere alla convocazione per
un'amichevole della sua Nazionale. Unico dettaglio: quando José
Pekerman dirama la lista dei convocati, il nome dell'attaccante non è
pervenuto. La dirigenza del Lanús monta su tutte le furie e rescinde
il contratto con un mese d'anticipo, chiudendo al più presto
possibile il breve capitolo con l'ingestibile Teo.
Per la seconda
volta in carriera, l'attaccante manda all'aria un contesto a
beneficio di un aereo per Barranquilla, la panacea al male
esistenziale che lo affligge quando si sente costretto a stare nel posto
sbagliato.
Anche José
Arcadio ha girovagato per il mondo, ma ha deciso di tornare a
Macondo, nella casa dei Buendìa, tra i deliri del padre e le
ossessioni delle sorelle. Quell'anno, il Junior gli offre un
contratto importante per convincerlo a non comprare il biglietto di
ritorno, almeno per quel semestre: Teo non ci pensa due volte e torna
al Metropolitan, dove tutti lo adorano e lo accolgono con il calore
che ha sempre cercato nelle sue fughe. Indossare ancora rojiblanco
gli scalda il cuore, perché non ha mai dimenticato da dove viene e
cosa lo ha reso ciò che è: Barranquilla gli ha lasciato addosso i
segni del passato, come la tendenza a sudare molto dalle mani, che è
il risultato delle notti a lavorare duramente in pescheria.
Sembra un
idillio già scritto ma Teo non riesce a convertire questa allegria
in reti: ne infila cinque in tutto il semestre, deludendo le
aspettative della stampa colombiana, che torna a criticarlo
duramente. Destino che tocca a chi non cerca mai di compiacere le
penne. Al termine del semestre se ne va senza aver convinto, così
come José Arcadio, cacciato di casa poco dopo il suo ritorno a
Macondo per la sua scandalosa relazione con la sorellastra Rebeca.
Redenzione?
La carriera di
Teo sembra essere giunta a un punto morto, nel quale si rende conto
che la possibilità di redenzione può passare solo per la croce. Non
quella di Cristo, ma quella di Città del Messico, perché il Cruz
Azul gli offre la possibilità di rilanciarsi dopo un anno
disastroso. I messicani scommettono su Teo e Teo scommette su sé
stesso, promettendo grandi cose alla tifoseria della Maquina. Il
campo lo premia con nove reti in 28 partite, ma la redenzione del barranquilleno è ancora molto lontana dal compiersi, perché qualcosa si rompe ugualmente. Teofilo Gutierrez inizia a puntare i
piedi per andarsene dopo soli sei mesi, fiutando l'opportunità che
sognava da una vita: il River Plate.
Teo è
tifosissimo della Banda, fin da bambino, quando faceva compagnia al
padre davanti alla televisione mentre giocavano i discendenti di un'altra Maquina, il River di
Francescoli. La possibilità di vestire la camiseta dei Millonarios
gli fa perdere completamente la testa, iniziando a rendere sempre più
esplicito il proprio desiderio di partire. Con le spalle al muro, il
Cruz Azul accetta l'offerta del River Plate e concede a Teofilo
Gutierrez il suo sogno più grande.
Con indosso la
maglia del suo amore, il colombiano infiamma il Monumental diventando
l'uomo fondamentale del rivoluzionario scacchiere di Marcelo
Gallardo, che conduce il River alla vittoria della Copa Sudamericana.
E' il momento più alto della carriera di Teo, cullato dalla
consapevolezza di essere indispensabile e dalle vittorie che sognava
fin da piccolo, con la sua squadra del cuore. Nella sua esperienza al
River Teofilo Gutierrez è semplicemente devastante e la notte di
Copa Libertadores in cui i Millonarios riescono a schiacciare fuori
casa il Cruzeiro per tre reti a zero, rimontando lo svantaggio
dell'andata, se ne ha la prova definitiva: Teo gioca un match di
un'altra categoria, da trascinatore tecnico, e insacca il gol che chiude i giochi. Tutto questo
nel turno successivo al Superclasico col Boca, in cui si era fatto
espellere: tutto Teofilo Gutierrez, folle e incontenibile. Talmente
folle e incontenibile che nemmeno la prospettiva concreta di vincere
la prima Libertadores della sua carriera lo trattiene al River. Con
qualche credito nei confronti di Millonarios, decide di chiudere il
conto in sospeso con l'Europa accettando l'offerta dello Sporting
Club: a trent'anni compiuti, segna tanto, dimostra al Portogallo e al
vecchio continente di essere una delle più grandi bombe inesplose
del suo calcio e che il resto della sua carriera sarebbe stato un'incognita
per lui, prima che per tutti gli altri. Infatti oggi, nell'estate
2016, tutto sembra apparecchiato perché torni in Argentina, nella
piazza che più di tutte si presta ad amare visceralmente un
giocatore come Teo Gutierrez, il Rosario Central. Tradizionalmente,
quelli che a Rosario hanno un braciere al posto del cuore. Loro
potranno capire fino in fondo un uomo che ha sempre espresso le
proprie emozioni in maniera mastodontica, come quando ha preso a
calci e pugni la bara di nonna Aura il giorno del suo funerale, prima
di svenire per il dolore, ma sapranno anche amare un giocatore che ha
sempre onorato il calcio con interpretazioni da campione, al netto dei
suoi black-out. Per tornare in Argentina, mondo che lo ha amato ma
mai risparmiato, ha scelto il giro largo, passando per i Giochi
Olimpici di Rio, dove cercherà di cancellare il ricordo più recente
di Teofilo Gutierrez in una grande competizione internazionale: i
primi venti minuti di Argentina-Colombia, quarti di finale di Copa
América 2015, in cui ha steccato ogni tocco prima di essere
sostituito. Nel momento decisivo potrebbe farsi espellere o segnare
una tripletta, ma qualsiasi cosa farà, la farà nello stile di Teo
Gutierrez: seguendo il cuore e calciando forte in rete, sempre una spanna sopra la solitudine.
Immagine da: terceraplana.com