A inizio novembre la finale tra Nigeria e Messico, vinta dalla squadra africana, ha rappresentato l'atto conclusivo del Mondiale Under-17 organizzato negli Emirati Arabi. Si tratta di una delle manifestazioni più interessanti a livello giovanile e ogni due anni è possibile avere un'anteprima di ciò che il calcio potrà presentare a livello globale in un futuro più o meno prossimo. Avendo seguito con grande curiosità l'intero evento, abbiamo deciso di contattare il giornalista Carlo Pizzigoni, esperto e appassionato di calcio giovanile e sudamericano.
Partiamo dalla nazionale italiana e dal caso Bonazzoli. L’attaccante dell’Inter è stato escluso a sorpresa dal CT Zoratto ed è difficile credere si tratti soltanto di una scelta tecnica.
No, non si tratta assolutamente di una scelta tecnica, ma di una decisione presa a livello federale. Ovviamente l’esclusione di Bonazzoli mi ha colpito molto, perché stiamo parlando di quello che a mio avviso è il miglior under-17 italiano: un talento che meriterebbe già di giocare qualche spezzone in prima squadra.
In questa competizione l’Italia ha espresso un gioco carente, improntato sulla solidità e sull’ordine tattico. Ritieni accettabile che una squadra giovanile punti innanzitutto al risultato, dimenticandosi della qualità del gioco?
No, soprattutto se questo va in aperto conflitto con quanto dichiarato dal coordinatore tecnico delle Nazionali giovanili Arrigo Sacchi, che nel suo “manifesto” parlava apertamente dell’importanza delle prestazioni rispetti al risultato.
In ogni caso, vorrei fare una premessa: il Mondiale U-17 è la prima competizione di un certo livello che questi ragazzi affrontano, quindi è impossibile quanto ingiusto nei loro confronti dare giudizi trancianti. Proprio per questo motivo tendo a preferire le competizioni under-20, perché i giocatori si conoscono, hanno già esperienze significative ed è possibile iniziare a giudicare e valutare.
Tuttavia l’Italia U-17 ha espresso un gioco insufficiente, mettendo in campo lo stesso modulo sia all’Europeo che al Mondiale, costringendo molti giocatori ad adattarsi a ruoli e compiti poco nelle loro corde. La mia idea è che a questo livello i ragazzi debbano innanzitutto essere liberi di giocare. Prendiamo la Nigeria: nel corso di tutto il torneo i ragazzi di Manu Garba hanno dato l’impressione di divertirsi, hanno espresso un calcio “felice” e propositivo, commettendo diversi errori, ma interpretando il gioco per ciò che dovrebbe essere a livello giovanile. L’Italia invece era una squadra bloccata, in cui ognuno giocava con il freno a mano tirato.
Gran parte dei media e degli addetti ai lavori erano d’accordo nell’indicare Alberto Cerri, centravanti del Parma, come la stella della squadra azzurra. Il capitano degli azzurrini secondo te ha deluso le aspettative?
Come dicevo prima, è sempre molto difficile valutare un giocatore di diciassette anni soltanto per quanto mostrato in occasione di alcuni tornei internazionali. A mio avviso Cerri ha giocato un Mondiale sotto tono, ma si tratta di un ottimo giocatore e di un prospetto di sicuro valore. Credo abbia futuro e sia necessario avere un po’ di pazienza prima di poterlo giudicare.
L’Argentina di Humberto Grondona si è presentata al Mondiale come squadra campione del Sudamerica, ma nel corso della manifestazione anche l’Albiceleste non ha brillato per il livello di gioco espresso. Questo è un problema che si registra ormai da tempo a livello giovanile, qual è il tuo punto di vista a riguardo?
L’aspetto che più mi ha deluso e indignato è l’attitudine della nazionale argentina. I ragazzi di Grondona nel corso del torneo hanno tenuto un atteggiamento intimidatorio nei confronti degli avversari e non si tratta di una casualità, perché anche in occasione del Sudamericano di categoria avevano dato questa impressione. È inaccettabile e la trovo una cosa disgustosa: la semifinale giocata contro il Messico rappresenta il punto di non ritorno. Tutto questo non può che partire dall’allenatore, Grondona, che anche sul piano del gioco non si è certo distinto. La Seleccion, non un concentrato memorabile di talento, è l’immagine del degrado del futbol albiceleste. La società argentina sta vivendo un brutto momento e questo si ripercuote inevitabilmente sul calcio. Ne è un chiaro esempio l’inarrestabile spirale di violenza che si registra dentro e fuori il calcio.
A livello di singoli talenti, chi ti ha impressionato oltre alla stellina Driussi?
Non si tratta di una delle migliori U-17 che io ricordi, ma qualche giocatore interessante si è sicuramente visto. Oltre a Driussi, a me è piaciuto molto anche il suo compagno di squadra al River Plate, Emanuel Mammana. Guardando le partite in televisione è molto più facile che balzi all’occhio il giocatore offensivo, perché non è possibile apprezzare a pieno i movimenti, le coperture, la leadership, ma Mammana mi ha dato l’impressione di essere un difensore tosto, rapido ed elegante. Lui e Driussi sono senza dubbio i giocatori di maggior prospettiva. Leonardo Suarez invece ha talento, però è troppo lezioso e fisicamente non c’è proprio.
A differenza di Italia e Argentina, il Brasile, pur essendo stato eliminato in modo sorprendente ai quarti di finale, ha espresso un ottimo gioco, dando l’impressione di essere una squadra già matura.
Al Brasile manca solo un po’ di determinazione, perché a livello giovanile le squadre verdeoro non hanno mai raccolto i risultati meritati dal punto di vista della qualità di gioco espressa. La loro eliminazione è stata a dir poco sorprendente, considerati i talenti e l’organizzazione messa in mostra. È stupefacente vedere quanti giocatori di talento abbia potuto chiamare in ogni ruolo il CT Alexandre Gallo. In particolare sono stato felicissimo di vedere molti ragazzi provenienti dal Nordest, una terra straordinaria popolata da bravissima gente.
Come hai accennato, la Seleçao ha messo in mostra una quantità impressionante di talenti. Quali sono quelli che più ti hanno colpito?
In questo caso limitarsi a due o tre nomi è impossibile. Partendo dalla difesa, il portiere della Fluminense Marcos e il difensore Lucas mi piacciono molto, così come entrambi i terzini Abner e Auro. Il primo è già abbastanza conosciuto, un cavallo di razza finito sotto i riflettori dopo un Sudamericano giocato ad altissimi livelli, mentre il secondo è meno potente, ma più raffinato e tattico. Poi ci sono i due centrocampisti Danilo e Gustavo, più il pacchetto offensivo con i vari Nathan, Boschilia e Kenedy, che in questo momento preferisco a Thiago Mosquito.
A proposito di Nathan…
È spuntato dal nulla, quando l’ho visto in campo al Mondiale ho pensato: “E questo?! Da dove sbuca?!”. Fin dal primo pallone toccato ha dimostrato di essere un talento straordinario. Ho cercato di ottenere qualche informazione da fonti brasiliane e mi è stato riferito che il suo club, l’Atletico Paranaense, fino a poco tempo fa lo ha letteralmente tenuto nascosto per non perderlo a una cifra irrisoria, non facendolo giocare in nessuna competizione di categoria.
Indio: da stella dell’Under-15 a riserva, cosa ne pensi del suo percorso?
Indio purtroppo gioca nel Vasco da Gama, una società disastrata in mano a un folle, e questo sicuramente non ha contribuito a favorire la sua crescita. Mi sono innamorato di lui quando giocava nel Brasile U-15, ma in questo momento è ancora quello stesso identico giocatore: non è cresciuto, non è decisivo e inoltre sta iniziando a pagare dazio anche da un punto di vista fisico, non avendo particolari doti né sul breve né tantomeno sul lungo.
Un altro talento di scuola vascaina che non sta confermando le magnifiche doti messe in mostra due anni fa è Thiago Mosquito. Il Vasco, proprio a causa di questa gestione scellerata, lo ha perso per due lire, ma anche lui non è cresciuto molto fisicamente e non sembra più essere quella macchina da gol della Seleçao Under-15.
Auro, Lucas, Gustavo e Boschilia provengono invece tutti dalle giovanili del San Paolo.
Il Tricolor, nonostante problemi rilevanti al settore giovanile, si conferma una società in grado di produrre talenti di livello con grande continuità. A volte può capitare che qualcuno di questi goda di immeritata pubblicità e non rispetti le attese venutesi a creare, come ad esempio nel caso di Bruno Uvini, ma la loro capacità di costruire giocatori “veri” è indiscussa. Lucas, Gustavo e Boschilia -quello che più ha sorpreso, crescendo moltissimo- ritengo siano chiari esempi di giocatori da San Paolo: solidi e di grande qualità.
Nonostante il terzo posto della Svezia, le selezioni europee hanno faticato molto. Può aver pesato l’assenza di squadre come Spagna e Germania?
In generale si è trattato di un Mondiale molto povero da un punto di vista tecnico. La Svezia non ha messo in mostra nulla di clamoroso e lo stesso Messico finalista ha espresso un livello di gioco mediocre. Proprio per questo motivo il rammarico per il torneo disputato dagli azzurrini è notevole.
L’assenza della Spagna è stata sicuramente un brutto colpo per il livello medio, ma non è giusto togliere meriti alle squadre che si sono qualificate conquistando l’accesso agli Europei di categoria. Va invece fatto un discorso diverso per quanto riguarda la Germania, che recentemente non ha poi così brillato nella produzione di talenti nelle varie Under.
Ultima domanda: le squadre africane?
A mio avviso le due africane, Nigeria e Costa d’Avorio, hanno fatto molto bene. Le ho seguite in occasione della Coppa d’Africa Under-17 e il Mondiale ha confermato le mie impressioni: sono due gruppi che rappresentano alla perfezione gli stili di gioco storici delle due nazionali. Nella Nigeria meritano una menzione particolare Kelechi Ihaeanacho, votato Pallone d’Oro della competizione, e il terzino destro Musa, a mio avviso il miglior laterale del torneo. Tra gli ivoriani segnalo invece il potente difensore Kessie e Aboubakar Keita, centrocampista molto elegante.
In collaborazione con G.D.C.
Si ringrazia ancora Carlo Pizzigoni per la disponibilità e la cordialità. Trovare addetti ai lavori con la sua competenza e passione non è cosa facile né scontata.