28 set 2012

Il dilemma Boateng

Kevin Prince Boateng è stata una delle sorprese assolute dell'ultimo campionato vinto dal suo Milan.

Facciamo un passo indietro. Prince arriva al Milan a 23 anni dopo aver girato 4 squadre diverse tra Germania e Inghilterra. Poco considerato, valorizzato a tratti, retrocesso col Portsmouth, trova una vetrina importante ai Mondiali 2010.
Dopo aver scelto il Ghana abbandonando la Germania con cui aveva fatto tutta la trafila delle giovanili Boateng disputa una competizione di gran livello in una delle squadre protagoniste del torneo, la migliore delle africane. Gioca addirittura da mediano difensivo, snaturando tutte le sue caratteristiche migliori, dimostrando testa e applicazione in misura sorprendente, specie per uno da sempre noto per il suo carattere particolare.
In quel momento il giocatore sembrava pronto a un salto di qualità decisivo, che doveva forzatamente passare anche per una crescita tattica notevole.
L'approdo al Milan però l'ha portato in tutt'altra direzione.

Calciatore fisico, molto intenso, con singoli colpi straordinari, ha trovato la sua collocazione ideale con Allegri, che lo ha sempre mandato in campo facendogli assecondare il suo istinto. L'allenatore livornese ha ritagliato per lui un ruolo molto libero, da trequartista/incursore, in cui KPB può senza vincoli sfogare la sua fisicità e il suo temperamento. Compiti tattici pochi, di gioco ancora meno vista la presenza pochi metri pià avanti di un accentratore assoluto come Ibrahimovic.
Zlatan però è partito per Parigi, e oggi si vede drammaticamente quanto Boateng soffra senza di lui, anche in termini nervosi, al netto di un numero di infortuni eccessivo e di un certo appannamento fisico. Naturale quindi parlare di nuova collocazione tattica per aiutare lui e la squadra.
Ci si dimentica che Boateng è stato già l'anno scorso arretrato di qualche metro come interno di centrocampo, con risultati interlocutori. Giocando più indietro soffre la lontananza dalla porta, il dover portar palla per più campo e in generale la sua anarchia tattica.

Il punto è semplice: il ragazzo tre anni fa aveva bisogno di un allenatore che lo facesse crescere tatticamente per incanalare al meglio il suo talento da centrocampista. Per tre anni è stato lasciato libero di correre per il campo senza alcuna consegna, se non quella di fare casino.
Oggi è difficile tornare indietro.




25 set 2012

Il ritorno di Funes Mori

Parlando di campionato argentino, in ambito europeo l'attenzione è tornata a focalizzarsi su Rogelio Gabriel Funes Mori, il numero 9 del River Plate, che al netto della retrocessione resta una delle squadre più mediatiche del continente.
Chi segue la Primera sente il suo nome da tre anni abbondanti. La domanda quindi viene spontanea: perchè questo ritorno di fiamma?

Il primo motivo sono le recenti prestazioni di GFM (nell'abbreviazione si usa la G di Gabriel,per distinguerlo dal gemello Ramiro). Con le cessioni di Cavenaghi, Dominguez e Ocampos è diventato un titolare fisso dei millionarios. Giocare in coppia con un monumento come David Trezeguet di sicuro gli toglie di dosso pressione e responsabilità, non a caso sono arrivati gol e buone partite. Un giovane attaccante del River Plate che segna finisce diretto sui taccuini di tutti gli osservatori. Vedere Radamel Falcao, per dirne uno.

Il secondo motivo è la convocazione di Sabella nella nazionale locale, evento in se non così significativo, ma che garantisce ulteriore esposizione mediatica, specie essendo la prima volta per lui con la maglia albiceleste.

Il terzo motivo è sicuramente l'età, perchè parliamo di un attaccante classe '91. Chi nn l'ha mai sentito dopo un paio di gol si fa una ricerca e ci costruisce una notizia. In più il ragazzo ha una storia particolare che contribuisce a fare personaggio. 

Dall'esordio da neo-diciottenne a oggi Rogelio non ha avuto vita facilissima. E' stato chiesto subito troppo a un ragazzo troppo giovane. Tra troppi errori e una retrocessione sanguinosa lui è sempre rimasto a casa River, ha lavorato e ha cercato di rispondere sul campo.
Che sia pronto a diventare qualcuno?




24 set 2012

La crescita di Juan Jesus

Tre indizi di solito fanno una prova, e dopo tre buone prestazioni si può iniziare a parlare di una nuova dimensione per Juan Jesus. Senza arrivare a gridare al fenomeno, il giovane difensore brasiliano ha dimostrato di aver fatto un salto di qualità abbastanza inaspettato per tempistiche.

Parlo di salto di qualità perchè chi ha visto Juan Jesus nel Brasile olimpico e Under-20 non poteva che avere delle riserve sul ragazzo e sulle sue effettive capacità difensive (basta vedere i 2 gol del Portogallo nella finale del Mondiale U-20). Ottimo fisico, buoni piedi, tatticamente tutto da costruire.
Non a caso nell'Internacional giocava prevalentemente terzino sinistro, per sfruttare corsa e progressione e mascherare i limiti in marcatura, soprattutto nel seguire l'uomo sul movimento. In nazionale invece sempre centrale, con tanta fiducia accordatagli da Ney Franco prima e Mano Menezes poi.

Giocare alle Olimpiadi è stato fondamentale sia per riprendere confidenza col campo (tra bisticci vari in Brasile e arrivo all'Inter aveva giocato veramente poco in stagione) sia per costruirsi personalità e credibilità. Malgrado un torneo non scintillante il ragazzo è di sicuro cresciuto, ed è tornato in nerazzurro rigenerato.
Stramaccioni, che in Primavera dopo 45 minuti lo spostò da centrale a terzino per evitare altri danni, deve averlo visto bene in allenamento e gli ha dato subito fiducia in Europa League. Partito terzino è passato centrale nel secondo tempo, sfoderando una perstazione tutta grinta, fisico e personalità sostituendo al meglio niente meno che Walter Samuel. Ha stupito tutti, per primo il suo allenatore.

Marca l'uomo soprattutto in uno contro uno, non ha paura di tentare anticipi e contrasti, è concentrato, riesce a gestire la palla in modo pulito senza eccessi. Ed è un '91.
Non è diventato il difensore perfetto, ma oggi è il difensore mancino più affidabile nella rosa.

21 set 2012

Rosa corta

Una rosa può rivelarsi corta anche quando a livello puramente numerico le alternative ci sono.
E' il caso dell'Inter di Stramaccioni, che per l'ennesima volta si trova a leccarsi le ferite perchè in crisi nel settore nervalgico della squadra, il centrocampo.

A inizio Agosto la situazione era chiaramente critica, e c'è stato un mese di mercato.
Ma i convocati di Inter-Rubin parlano chiaro.
Centrocampisti: 10 Sneijder, 14 Guarin, 19 Cambiasso, 21 Gargano, 31 Pereira;
Tradotto: un trequartista,tre centrocampisti di ruolo (in teoria tutti titolari in una mediana appunto a tre) e un jolly che fa un pò il ruolo in cui si trova, alla Zanetti (che completa questo elenco)

Almeno in Europa League, dove non figurano Alvarez e Duncan, la rosa a centrocampo è corta, se non cortissima (titolari contati, riserve solo giocatori adattati). Specie se tra gli assenti figurano ancora Obi e Mudingayi, gli unici due in grado di rimpolpare questa lista.

Non è un caso che al primo accenno di turnover le fragili fondamenta di una nuova Inter scricchiolino.

17 set 2012

L'Argentina e il problema Messi

Capisco che la cosa possa risultare paradossale. Uno dei migliori giocatori del mondo, tanto prolifico, decisivo e vincente da scomodare nomi storici per i paragoni, un problema per la sua nazionale.
Eppure è evidente che gli ultimi commissari tecnici (Batista prima e Sabella ora) le stanno provando tutte per ritagliare un ruolo in campo a Lionel Messi.

Il problema, come accade spesso, è a monte. Per la precisione nel fatto che il Messi del Barcellona con la camiseta albiceleste si è visto solo a livello giovanile (cioè quando era tutt'altro giocatore). In nazionale maggiore non è quasi mai riuscito a replicare le gesta a cui ha abituato gli osservatori in maglia balugrana, fatta eccezione per qualche isolato exploit.
Per dare due numeri, con l'Argentina è a 28 gol in 73 partite. Numeri anche buoni per un 10, non fosse che nel Barcellona ha un curriculum da 261 in 335, per una media quasi doppia ottenuta includendo anche gli anni in cui era più giovane e segnava meno (altrimenti sono 219 in 225).
Di conseguenza da quando Messi ha acquisito lo status di top assoluto (approssimativamente dal 2008/2009) il principale problema dei suoi allenatori di casa è stato quello di portarlo ai vertici di rendimento che ha nel club. Con risultati più o meno scarsi.

Questo dilemma è diventato evidente a tutti in Copa America, quando Batista provò a schierare Messi da falso 9, cioè unica punta, cercando di replicare il 4-3-3 del Barcellona con risultati a essere buoni interlocutori. Fu massacrato dalla critica e per macinare qualche risultato fu necessario tornare a un 9 vero, Gonzalo Higuain, con Messi a destra. Ma, sempre a causa dei gol che continuavano ad arrivare col club, era evidente che la cosa non andasse bene.

Sabella oggi ha cambiato l'identità tattica dell'Argentina, schierando un 4-2-3-1 in cui il riferimento offensivo è Higuain e dietro di lui si muovono tre mezzepunte.
Messi agisce dietro il numero 9, più o meno da rifinitore/incursore, per cercare di trovare un compromesso tra la sua esigenza, o meglio volontà, di fare la punta vera e l'impossibilità di replicare l'impianto unico del Barcellona.
I risultati? Ad oggi così così, con qualche gol in più da Leo, ma anche dell'evidente insofferenza per l'impossibilità di mettere in campo il suo vero gioco. Si trova infatti più lontano dalla porta e senza i grandi architetti catalani è più dura muovere il pallone.

Avesse scelto la nazionalità spagnola staremmo parlando di tutt'altro.

9 set 2012

Lucas come Ronaldo?

La voce di Roberto Calenda si aggiunge a tante altre sentite nel corso dell'estate secondo cui l'Inter per Lucas aveva un progetto che andava ben oltre il mero lato tecnico/sportivo. Un'operazione di marketing a 360°grazie al coinvolgimento della Pirelli per mettere il ragazzo sotto i riflettori come si deve, sulla scia di quanto già realizzato nel lontano 1998 con Ronaldo.
 Un'idea meritoria in un periodo difficile per il calcio italiano, un buon modo per coinvolgere un giovane talento al di là dei soliti zeri sugli assegni.

Resta un però grande come una casa.
Il Ronaldo del 1998 aveva in comune col Lucas del 2012 giusto il fatto di essere brasiliano.
Il Fenomeno in carriera vantava 47 presenze e 44 gol col Cruzeiro, 57 e 54 col PSV, 49 e 47 col Barcellona. Arrivava all'Inter come miglior giocatore del mondo a soli 21 anni e la forza dei numeri dalla sua. Anche in nazionale brasiliana (parliamo di nazionale maggiore, niente giovani) aveva già segnato 24 gol in 34 presenze. Uno score a dire poco impressionante.
Lucas oggi si presenta con 27 gol in 105 presenze al San Paolo e 1 in 17 di nazionale maggiore.
Per forza di cose, un profilo nettamente più basso. Confermato dal suo futuro approdo in Ligue 1.

Andiamoci piano con certi accostamenti. 

4 set 2012

Super Atletico Madrid, parte seconda

Nemmeno i più accaniti tifosi colchoneros avrebbero immaginato di ripetere lo storico doblete europeo del 2010.
Invece nel 2012, dopo solo due anni, la seconda squadra di Madrid ha demolito Athletic Bilbao e Chelsea con un doppio 3-0 portandosi ancora a casa Europa League e Supercoppa Europea, confermando la tradizione che vede la vincitrice del secondo trofeo europeo trionfare anche a Montecarlo negli anni pari.

Curiosamente anche questa impresa è partita col cambio di allenatore. Diego Pablo Simeone è infatti arrivato a Dicembre per risollevare una squadra in crisi di risultati.
Nel corso del tempo è riuscito a plasmare una formazione organizzata ed equilibrata, il cui gioco è sublimato dalle fenomenali prestazioni del suo bomber, uomo simbolo e trascinatore Radamel Falcao (non a caso autore di 5 gol nelle due partite), perfettamente supportato da Adrian Lopez e Arda Turan, talento del calcio turco diventato giocatore di intelligenza rara, per il gioco offensivo, protetti difensivamente da un centrocampo tatticamente abile a coprire gli spazi, ma anche a palleggiare una volta in fase offensiva.

Squadra solida e pericolosa per chiunque, come ha ben scoperto il Chelsea del povero Di Matteo, che in soli 45 minuti si è trovato a concedere più palle gol a Falcao che al Barcellona in tutti i 180 più recupero.
Con questa doppia conferma a Madrid inizia anche a brillare la stella dell'Atletico.

Il collezionista

Ogni tanto ci si dimentica che Josè Mourinho è uno straordinario vincente.
Non un vincente, uno straordinario vincente. Ed è per questo che è diventato famoso, non per il teatro.

Con la vittoria della Supercoppa di Spagna ha completato un altro pezzo della sua collezione.
Tra Porto, Chelsea, Inter e Real Madrid ha vinto tutti i titoli nazionali (coppe, supercoppe e campionati) di Liga portoghese, Premier League, Serie A e Liga spagnola, per un totale di 17 trofei in 10 stagioni.

Un curriculum da conquistatore.

3 set 2012

La fine dell'Inter del triplete

Ma sarebbe meglio dire la pietra tombale sul ciclo Inter post Calciopoli, quindi uno status quo durato circa 7 stagioni.
La sconfitta con la Roma ha decretato, definitivamente, lo scollamento dell'Inter del presente e del futuro, cioè l'Inter che spera di avere Stramaccioni, da tutti i più grandi simboli delle recenti vittorie. Certamente le basi sono state gettate nella scorsa disastrosa stagione, ma ora si può chiaramente vedere che qualcosa è finito per sempre.

Il passaggio è semplice quanto doloroso.
Se l'anno scorso le prestazioni di certi giocatori passavano più o meno inosservate perchè senza picchi di sorta, nè positivi nè negativi, in una specie di gioco a nascondersi, oggi le debolezze e i limiti sono sotto la luce del sole. Sbugiardati praticamente da ogni giocatore che passa, sia uno sconosciuto rumeno o una vecchia volpe come Francesco Totti. La costante sono i risultati negativi, tremendo monito ricorrente e logorante.

Si può far ostinatamente finta di non vedere, ma il campo ha già emesso il suo verdetto.
Per rivedere la luce è imprescindibile voltare pagina.
Con tutta la gratitudine del mondo per il passato, ma una nuova speranza per il futuro.