Come corollario al precedente post, due eventi di mercato recentissimi che esemplificano come l'Italia abbia perso il suo posto calcistico nel mondo e che via dovrebbe intraprendere.
- Ibrahimovic e Thiago Silva al Paris Saint Germain
Difficile trovare un trasferimento più mediatico di questo. Un pò (anzi tanto) per il teatrino messo su da mesi da tutto l'establishment rossonero, un pò per lo spessore dei nomi coinvolti. Ancora una volta a prescindere da soldi, bilanci e numeri vari, è il concetto che conta.
Il Milan, club più titolato al mondo secondo i loro calcoli, 7 Champions, ricchi premi e cotillon vende il numero uno e il numero due della rosa (e praticamente gli unici due che contavano qualcosa) a una squadra che sostanzialmente fino all'anno scorso è vissuta nell'anonimato (due campionati vinti, un Intertoto, una Coppa Coppe) e gioca pure in uno dei pochi campionati europei considerati ancora inferiori alla Serie A. Segno totale di resa economica, massimo indicatore possibile della necessità di cambio immediato di forma mentis.
Un giorno o l'altro poi Leonardo ci spiegherà come mai sia capace solo di venire a comprare in Italia gonfiando a dismisura le cifre (c'è da ringraziarlo perchè è uno dei pochi a portarci soldi, ma fossi quello che gli paga lo stipendio due domande le avrei), ma è un altro discorso.
- Luuk de Jong al Borussia Mönchengladbach
Luuk de Jong è uno dei principali talenti messi in mostra dal calcio olandese negli ultimi due anni. Col Twente ha vinto un campionato e messo a segno nell'ultima stagione 25 gol giocando (finalmente) da terminale offensivo della squadra. Talento vero, interessante per completezza tecnica, ceduto per 15 milioni di euro al Borussia bianco, quello meno famoso, arrivato quarto nell'ultima Bundesliga e quindi ai preliminari di Champions League.
Sul prezzo si può discutere (per un classe '90 con 119 presenze e 59 gol nel Twente mi pare cifra onestissima), ma importante è ancora il concetto.
La quarta forza del campionato (che già di suo conta su dei talenti fatti in casa) per rinforzarsi punta su un elemento giovane già rodato in un campionato "minore", senza paura e con la prospettiva di impiegarlo realmente. Quante volte succede in Italia? A mio avviso troppo poche.
Note a parte su Ibrahimovic:
- Maxwell a Gennaio scorso si è trasferito al PSG. A questo punto non può essere un caso. Due anni lontani sembravano decisamente già troppi
- per la seconda volta dopo l'Inter 2009/2010 si parla di dargli la maglia numero 10 e lui se ne va senza nemmeno vederla
L'intero movimento calcistico italiano, a tutti i possibili livelli e per tutte le possibili estensioni, non ha ancora capito la dimensione in cui è entrato a partire dal 2010 (data spartiacque abbastanza comoda e precisa).
Si dicono mezze frasi, si parla di conti e bilanci, ma il punto non è ancora chiaro. Si continua a ragionare secondo canoni che ormai non appartengono più alla realtà italiana perchè abituati a ragionare così da troppi decenni e percepire il nuovo status quo è difficile e soprattutto doloroso.
I bilanci sono solo una parte del problema. Certo grave, perchè anche qui le società italiane hanno fatto più o meno come gli pareva per i suddetti decenni (Lazio, Roma, Parma, Fiorentina, Napoli e svariate decine di società minori ne sanno qualcosa) e crearsi di botto un nuovo marketing mix per società che fatturano (o dovrebbero fatturare) centinaia di milioni di euro non è facile nè immediato. Non a caso la tecnica più sfruttata è la stessa dello stato italiano, la spending rewiew. Si fa prima a tagliare certi costi che non a crare nuove entrate. Quindi si, c'è una generale arretratezza finanziaria rispetto alle società di calcio moderne, ma è solo un aspetto del problema.
L'indicatore preciso del ridimensionamento è dato dal ranking UEFA (di cui non a caso si parla dal 2010). L'italia occupa la quarta posizione, dietro Spagna, Inghilterra e Germania, ma è molto più vicina alla quinta e sesta posizione (Portogallo e Francia) che non alla terza.
Da questa graduatoria si capisce cosa non è più il calcio italiano, ma crede ancora di essere, e cosa si deve sforzare di diventare, scrollandosi di dosso snobbismo e pregiudizi.
I soldi li hanno le spagnole e le inglesi. Come li hanno avuti le italiane per vent'anni. Infatti li spendono più o meno a volontà e stanno indiscutibilmente al top, fallimenti di stati/banche permettendo. Possono avere problemi di debiti, ma come fatturato stanno a un altro livello.
La Germania piuttosto. Patria di quella Bundesliga guardata con scherno che invece ora è, a mio avviso, l'emblema assoluto del calcio moderno.
Il calcio tedesco è in forte crescita sia tecnica che economica. Partito dal basso ha colto in anticipo le direttive fondamentali per competere anche economicamente, col vantaggio rispetto alla Serie A di essere un campionato "povero", quindi con ingaggi generalmente limitati.
Stadi moderni a misura di tifoso, squadre con un'idea di gioco finalizzata a segnare e vincere più che a non perdere e soprattutto rose giovani, con giocatori pescati sia dai vivai che in giro per il mondo, senza paura di lanciarli nel calcio che conta. Il Borussia Dortmund è ovviamente la massima incarnazione di tutto questo, le sue recenti vittorie la conferma della bontà del progetto.
L'Italia si trova a metà del guado, prigioniera dei suoi fantasmi.
Per come sono andate le cose da sempre, ci si aspetta che i top club puntino a nomi altisonanti, spendendo in lungo e in largo. Ci si continua a stupire delle cessioni illustri e dei mancati arrivi, ma il calcio italiano sta pagando la sua arretratezza. Un campionato poco mediatico, poco pubblicizzato e poco visto all'estero, pochi risultati nelle coppe europee, stadi vecchi senza pubblico, campi disastrati, scandali a scadenze regolari, sistemi protezionistici di amicizie che chiudono molti margini di affari, assenza di protezione legale sui marchi e di possibilità di costruire. Una serie di problemi che una volta sarebbe stata coperta da assegni più generosi, che però ora non si possono più staccare.
In più si presenta la storica ritrosia del nostro calcio nel dar fiducia ai giovani. In Italia si considera giovane un calciatore di 25 anni, altrove ha già una carriera consolidata. Soprattutto nei top club (al netto dell'assenza delle squadre B, non da poco) è difficile vederli esordire, quando succede è spesso per eventi straordinari (vedi Marchisio che gioca nella Juve solo grazie alla retrocessione, come ammesso da lui stesso), e ci si scontra con lo scetticismo diffuso di tifosi e addetti ai lavori.
Inoltre c'è poca attenzione ai giovani dei campionati esteri meno pubblicizzati, che spesso finiscono altrove per cifre contenute. Occasioni perse per arricchire di talento una Serie A sempre più povera e con sempre meno prospettive.
La Serie A deve abbandonare il paradigma calcistico che l'ha accompagnata per decenni, facendo suo il modello tedesco, entrando nell'era moderna del calcio.
Bisogna puntare davvero sui giovani, essere intelligenti, avere idee, scovare i giocatori giusti ovunque, avere coraggio e convinzione. Togliersi di dosso l'arroganza, parlare di miglior campionato del mondo, guardare solo al nome dei giocatori, giocare nelle coppe anche quando non sono in ballo i grandi guadagni.
In una parola puntare sul calcio, quello vero
Il Corinthians ce l'ha fatta.
Non è più la squadra incapace di vincere fuori dal suo cortile, è diventata grande e lo ha fatto nel migliore dei modi.
Il Timao ha disputato una Copa che lo proietta direttamente nell'Olimpo. Imbattuto, con solo 4 gol subiti (2 nei gironi, 1 dal Santos, 1 dal Boca), ha eliminato in semifinale i campioni in carica nonchè squadra più mediatica e pubblicizzata del Brasile, il Santos, dopo averli già messi in riga nell'ultimo Brasileirao, e ha battuto il Boca in finale, la squadra più titolata al mondo con ben 6 edizioni della Copa in bacheca.
La vittoria per 2-0 al Pacaembù è stata il capolavoro di Tite e la conseguenza diretta della dimostrazione di forza tecnica e mentale dell'andata. Non è servito niente di straordinario, solo tanta attenzione e applicazione.
Il Boca si è perso nei suoi limiti, nella sua frenesia, nelle sue paure. La grande favorita, la squadra più forte di questo semestre sudamericano, è finita in pieno nella rete tattica preparata dai brasiliani, senza trovare risposte. Anzi annaspando sempre più, arrivando ad alzare bandiera bianca proprio coi suoi leader storici. Riquelme non ha mai trovato il modo di abbattere il muro alzato da Tite, forse logorato dalle troppe partite e dalla perenne lotta col suo allenatore, il totem Rolando Schiavi di colpo ha mostrato tutti i suoi 39 anni. Persa la loro leadership la squadra non ha potuto aggrapparsi a nessuno. Gli altri giocatori si sono dimostrati semplicemente inconsistenti.
Falcioni ha puntato su una squadra logora, senza averla del tutto in mano.
L'infortunio di Orion dopo uno scontro col suo compagno Somoza è stato il sintomo più chiaro di una gara nata male. I continui errori di Erviti e Ledesma, sia di posizione che nelle giocate, la corsa totalmente improdittiva di tanque Silva, Mouche fumoso e isolato, il nervosismo palpabile, le imprecisioni continue sia nelle giocate semplici che in quelle potenzialmente pericolose sono lo specchio di una serata totalmente storta per gli xeneizes. La rinuncia totale a Juan Sánchez Miño, tra i principali protagonisti della Libertadores del Boca, è sembrata una scelta inspiegabile.
Alla Bombonera il Boca era vivo. Stordito, ma vivo. In questa partita nessuno, in campo o in panchina, è stato in grado di svegliare la squadra dal torpore.
Ha vinto la squadra più solida, col gruppo più compatto e i leader più affamati. Ralf, per distacco il miglior mediano del Brasile, e Paulinho hanno dominato la mediana, Alex e Emerson (nazionale del Qatar) hanno tenuto in costante apprensione la difesa, infine Tite dalla panchina ha guidato magistralmente tutti i suoi uomini. Uno per tutti, tutti per uno.
Il Corinthians ha fatto il salto di qualità che aspettava da 102 anni. Il Boca ha chiuso nel peggiore dei modi il ciclo di Falcioni iniziato un anno fa, puntando a tre titoli per ritrovarsi con un pugno di mosche.
Il mercato cosa lascerà?
-Pirlo: non è certamente aiutato dalla squadra, ma alla luce la campagna nazionale per candidarlo al Pallone d'Oro il confronto con Xavi e Iniesta è sembrato impietoso.
-Chiellini: apparizione tanto fugace quanto dannosa. In ritardo su Fabregas, ha perso ogni pallone passato tra i suoi piedi.
-Marchisio: incomprensibile la scelta di Prandelli di non rinunciare mai a lui, soprattutto considerato l'evidente calo fisico nelle ultime partite.
-Balotelli: l'eroe della sfida con la Germania di Loew può poco contro una Spagna troppo superiore. Non è aiutato dalla squadra e fa quello che po'. Difficile pretendere di più.
-Cassano: in affanno fisico dalla prima partita, dire che ha finito la benzina è poco. E come al solito in carriera non è mai decisivo quando conta.
-Xabi Alonso: quando avrà il suo momento di gloria? Fa legna e mette ordine, ma la luminosità dei due astri Iniesta e Xavi è troppa per permettergli di farsi notare. Noi apprezziamo comunque.
-Jordi Alba: il volto nuovo della Spagna. Un motorino inarrestabile, ha saputo adattarsi alla perfezione al gioco di stampo blaugrana della squadra di Del Bosque, concedendo poco anche in fase difensiva.
In collaborazione con G.D.C.
E' chiaro ed evidente che ci sia una connessione tra i risultati del Barcellona e quelli della Spagna.
Ma due giocatori, Xavi Hernandez e Andres Iniesta, rappresentano semplicemente il top del calcio mondiale da 6 anni.
Basta guardare il palmares (ovviamente condiviso dai due) per capire cosa intendo.
Champions League 2006, Europeo 2008, Champions league 2009, Mondiale 2010, Champions League 2011, Europeo 2012.
In mezzo i trofei indotti, Mondiale per club e Supercoppa Europea 2009 e 2011.
Una regolarità impressionante nel vincere trofei internazionali.
Con la chicca di Xavi (6 del Barcellona, 8 della Spagna) miglior giocatore di Euro 2008 e Iniesta (8 del Barcellona, 6 della Spagna) miglior giocatore di Euro 2012.
Leggere alla voce fenomeni, o se preferite dominatori.
Fu così che la Spagna portò avanti il suo ciclo epico di vittorie.
Euro 2008, Mondiali 2010, Euro 2012, nel segno di uno strapotere assoluto evidenziato spietatamente dal 4-0 rifilato all'Italia.
Una finale dominata, per davvero e nei termini calcistici canonici, senza esasperazioni. La Spagna ha giocato a calcio, mostrando una superiorità assoluta sulla squadra sorpresa della manifestazione, capace di eliminare senza appello la Germania, e di costringere gli stessi spagnoli al pareggio nella partita d'esordio.
Questa Spagna è una macchina, sia chiaro.
Un insieme di giocatori eccezionali totalmente coscienti e sicuri delle proprie qualità, in un sistema di gioco in cui si trovano a memoria. Non fanno spettacolo, spesso gestiscono nascondendo il pallone. In tutti gli Europei un solo gol subito (da Di Natale), e da Euro 2008 nessuna rete al passivo nelle fasi a eliminazione. Una difesa impenetrabile, un punto di forza devastante quanto perennemente sottovalutato. Anche per questo sono così sicuri nel giocare il pallone. Il gol prima o poi arriverà.
E l'Italia?
La squadra di Prandelli ha dato tutto per arrivare in finale. Le forze per scalare la muraglia roja non c'erano proprio. Un pò per l'inesistente turnover, un pò per gli acciacchi diffusi, un pò perchè ai miracoli c'è un limite. Non si può andare sempre oltre.
In più il ct ha condensato in questa partita tutti gli errori e le sfortune evitate fino a oggi. Infortuni, scelte sbagliate, limiti fino a oggi mascherati brutalmente denudati, il carattere mancante. Perchè Prandelli per primo, con tutto l'affetto, è un perdente di successo, uno che non ha mai vinto e si è sempre sciolto al momento decisivo. Con lui il suo numero 10 Cassano, autore di una prestazione anonima e in perenne affanno fisico. Altri (Pirlo, De Rossi, persino Montolivo) hanno lottato, ma gli avversari erano troppo forti stavolta.
Resta un risultato inaspettato, accompagnato da buone idee e gioco, cosa che ha permesso a tutti i delusi del Mondiale di ritornare a seguire la nazionale.
Magari in futuro si eviti lo zerbinamento totale verso la Juventus, se possibile.