L'intero movimento calcistico italiano, a tutti i possibili livelli e per tutte le possibili estensioni, non ha ancora capito la dimensione in cui è entrato a partire dal 2010 (data spartiacque abbastanza comoda e precisa).
Si dicono mezze frasi, si parla di conti e bilanci, ma il punto non è ancora chiaro. Si continua a ragionare secondo canoni che ormai non appartengono più alla realtà italiana perchè abituati a ragionare così da troppi decenni e percepire il nuovo status quo è difficile e soprattutto doloroso.
I bilanci sono solo una parte del problema. Certo grave, perchè anche qui le società italiane hanno fatto più o meno come gli pareva per i suddetti decenni (Lazio, Roma, Parma, Fiorentina, Napoli e svariate decine di società minori ne sanno qualcosa) e crearsi di botto un nuovo marketing mix per società che fatturano (o dovrebbero fatturare) centinaia di milioni di euro non è facile nè immediato. Non a caso la tecnica più sfruttata è la stessa dello stato italiano, la spending rewiew. Si fa prima a tagliare certi costi che non a crare nuove entrate. Quindi si, c'è una generale arretratezza finanziaria rispetto alle società di calcio moderne, ma è solo un aspetto del problema.
L'indicatore preciso del ridimensionamento è dato dal ranking UEFA (di cui non a caso si parla dal 2010). L'italia occupa la quarta posizione, dietro Spagna, Inghilterra e Germania, ma è molto più vicina alla quinta e sesta posizione (Portogallo e Francia) che non alla terza.
Da questa graduatoria si capisce cosa non è più il calcio italiano, ma crede ancora di essere, e cosa si deve sforzare di diventare, scrollandosi di dosso snobbismo e pregiudizi.
I soldi li hanno le spagnole e le inglesi. Come li hanno avuti le italiane per vent'anni. Infatti li spendono più o meno a volontà e stanno indiscutibilmente al top, fallimenti di stati/banche permettendo. Possono avere problemi di debiti, ma come fatturato stanno a un altro livello.
La Germania piuttosto. Patria di quella Bundesliga guardata con scherno che invece ora è, a mio avviso, l'emblema assoluto del calcio moderno.
Il calcio tedesco è in forte crescita sia tecnica che economica. Partito dal basso ha colto in anticipo le direttive fondamentali per competere anche economicamente, col vantaggio rispetto alla Serie A di essere un campionato "povero", quindi con ingaggi generalmente limitati.
Stadi moderni a misura di tifoso, squadre con un'idea di gioco finalizzata a segnare e vincere più che a non perdere e soprattutto rose giovani, con giocatori pescati sia dai vivai che in giro per il mondo, senza paura di lanciarli nel calcio che conta. Il Borussia Dortmund è ovviamente la massima incarnazione di tutto questo, le sue recenti vittorie la conferma della bontà del progetto.
L'Italia si trova a metà del guado, prigioniera dei suoi fantasmi.
Per come sono andate le cose da sempre, ci si aspetta che i top club puntino a nomi altisonanti, spendendo in lungo e in largo. Ci si continua a stupire delle cessioni illustri e dei mancati arrivi, ma il calcio italiano sta pagando la sua arretratezza. Un campionato poco mediatico, poco pubblicizzato e poco visto all'estero, pochi risultati nelle coppe europee, stadi vecchi senza pubblico, campi disastrati, scandali a scadenze regolari, sistemi protezionistici di amicizie che chiudono molti margini di affari, assenza di protezione legale sui marchi e di possibilità di costruire. Una serie di problemi che una volta sarebbe stata coperta da assegni più generosi, che però ora non si possono più staccare.
In più si presenta la storica ritrosia del nostro calcio nel dar fiducia ai giovani. In Italia si considera giovane un calciatore di 25 anni, altrove ha già una carriera consolidata. Soprattutto nei top club (al netto dell'assenza delle squadre B, non da poco) è difficile vederli esordire, quando succede è spesso per eventi straordinari (vedi Marchisio che gioca nella Juve solo grazie alla retrocessione, come ammesso da lui stesso), e ci si scontra con lo scetticismo diffuso di tifosi e addetti ai lavori.
Inoltre c'è poca attenzione ai giovani dei campionati esteri meno pubblicizzati, che spesso finiscono altrove per cifre contenute. Occasioni perse per arricchire di talento una Serie A sempre più povera e con sempre meno prospettive.
La Serie A deve abbandonare il paradigma calcistico che l'ha accompagnata per decenni, facendo suo il modello tedesco, entrando nell'era moderna del calcio.
Bisogna puntare davvero sui giovani, essere intelligenti, avere idee, scovare i giocatori giusti ovunque, avere coraggio e convinzione. Togliersi di dosso l'arroganza, parlare di miglior campionato del mondo, guardare solo al nome dei giocatori, giocare nelle coppe anche quando non sono in ballo i grandi guadagni.
In una parola puntare sul calcio, quello vero
Si dicono mezze frasi, si parla di conti e bilanci, ma il punto non è ancora chiaro. Si continua a ragionare secondo canoni che ormai non appartengono più alla realtà italiana perchè abituati a ragionare così da troppi decenni e percepire il nuovo status quo è difficile e soprattutto doloroso.
I bilanci sono solo una parte del problema. Certo grave, perchè anche qui le società italiane hanno fatto più o meno come gli pareva per i suddetti decenni (Lazio, Roma, Parma, Fiorentina, Napoli e svariate decine di società minori ne sanno qualcosa) e crearsi di botto un nuovo marketing mix per società che fatturano (o dovrebbero fatturare) centinaia di milioni di euro non è facile nè immediato. Non a caso la tecnica più sfruttata è la stessa dello stato italiano, la spending rewiew. Si fa prima a tagliare certi costi che non a crare nuove entrate. Quindi si, c'è una generale arretratezza finanziaria rispetto alle società di calcio moderne, ma è solo un aspetto del problema.
L'indicatore preciso del ridimensionamento è dato dal ranking UEFA (di cui non a caso si parla dal 2010). L'italia occupa la quarta posizione, dietro Spagna, Inghilterra e Germania, ma è molto più vicina alla quinta e sesta posizione (Portogallo e Francia) che non alla terza.
Da questa graduatoria si capisce cosa non è più il calcio italiano, ma crede ancora di essere, e cosa si deve sforzare di diventare, scrollandosi di dosso snobbismo e pregiudizi.
I soldi li hanno le spagnole e le inglesi. Come li hanno avuti le italiane per vent'anni. Infatti li spendono più o meno a volontà e stanno indiscutibilmente al top, fallimenti di stati/banche permettendo. Possono avere problemi di debiti, ma come fatturato stanno a un altro livello.
La Germania piuttosto. Patria di quella Bundesliga guardata con scherno che invece ora è, a mio avviso, l'emblema assoluto del calcio moderno.
Il calcio tedesco è in forte crescita sia tecnica che economica. Partito dal basso ha colto in anticipo le direttive fondamentali per competere anche economicamente, col vantaggio rispetto alla Serie A di essere un campionato "povero", quindi con ingaggi generalmente limitati.
Stadi moderni a misura di tifoso, squadre con un'idea di gioco finalizzata a segnare e vincere più che a non perdere e soprattutto rose giovani, con giocatori pescati sia dai vivai che in giro per il mondo, senza paura di lanciarli nel calcio che conta. Il Borussia Dortmund è ovviamente la massima incarnazione di tutto questo, le sue recenti vittorie la conferma della bontà del progetto.
L'Italia si trova a metà del guado, prigioniera dei suoi fantasmi.
Per come sono andate le cose da sempre, ci si aspetta che i top club puntino a nomi altisonanti, spendendo in lungo e in largo. Ci si continua a stupire delle cessioni illustri e dei mancati arrivi, ma il calcio italiano sta pagando la sua arretratezza. Un campionato poco mediatico, poco pubblicizzato e poco visto all'estero, pochi risultati nelle coppe europee, stadi vecchi senza pubblico, campi disastrati, scandali a scadenze regolari, sistemi protezionistici di amicizie che chiudono molti margini di affari, assenza di protezione legale sui marchi e di possibilità di costruire. Una serie di problemi che una volta sarebbe stata coperta da assegni più generosi, che però ora non si possono più staccare.
In più si presenta la storica ritrosia del nostro calcio nel dar fiducia ai giovani. In Italia si considera giovane un calciatore di 25 anni, altrove ha già una carriera consolidata. Soprattutto nei top club (al netto dell'assenza delle squadre B, non da poco) è difficile vederli esordire, quando succede è spesso per eventi straordinari (vedi Marchisio che gioca nella Juve solo grazie alla retrocessione, come ammesso da lui stesso), e ci si scontra con lo scetticismo diffuso di tifosi e addetti ai lavori.
Inoltre c'è poca attenzione ai giovani dei campionati esteri meno pubblicizzati, che spesso finiscono altrove per cifre contenute. Occasioni perse per arricchire di talento una Serie A sempre più povera e con sempre meno prospettive.
La Serie A deve abbandonare il paradigma calcistico che l'ha accompagnata per decenni, facendo suo il modello tedesco, entrando nell'era moderna del calcio.
Bisogna puntare davvero sui giovani, essere intelligenti, avere idee, scovare i giocatori giusti ovunque, avere coraggio e convinzione. Togliersi di dosso l'arroganza, parlare di miglior campionato del mondo, guardare solo al nome dei giocatori, giocare nelle coppe anche quando non sono in ballo i grandi guadagni.
In una parola puntare sul calcio, quello vero
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