Giuseppe Rossi, di sicuro uno dei principali talenti espressi dal calcio italiano nelle recenti generazioni, è l'uomo simbolo del Villarreal e da sempre una forte attrazione di mercato per molti club. Da quando la sua squadra è retrocessa il suo nome ogni tanto fa capolino per via del prezzo favorevole.
Peccato però che nelle discussioni si marginalizzi il punto chiave della vicenda, cioè la situazione clinica di Pepito.
Il suo calvario, perchè di questo parliamo, inizia il 26 Ottobre 2011, con la rottura del legamento crociato e conseguente operazione che lo tiene fuori fino ad Aprile 2012. Poco meno dei canonici 6 mesi necessari per tornare ad allenarsi.
Però il 13 dello stesso mese, dopo nemmeno due settimane, lo stesso ginocchio ha nuovamente lo stesso problema, e questa volta richiede due operazioni sul legamento già ricostruito. Tempi più lunghi con una previsione di circa 9 mesi per la riabilitazione prima di tornare ad allenarsi. Parliamo di circa metà Febbraio 2013, magari Marzo.
A quella data Rossi però verrà sostanzialmente da due anni di inattività e tre operazioni allo stesso ginocchio. Una situazione che, come minimo, richiede tempo per ritrovare fiducia, condizione fisica e vincere la paura di un nuovo stop.
Prendere Rossi oggi è un investimento a lunghissimo termine (se tutto va bene, sarà in condizioni decenti per l'inizio della stagione 2013/2014) che richiede un anno di cure e attenzione massima nella gestione del rientro (con la possibilità concreta di non poterlo schierare in impegni ufficiali).
Senza nemmeno menzionare l'ipotesi che il nuovo legamento non regga più ritmi agonistici, qualcuno è veramente disposto a una scommessa simile o è più semplice lasciare la patata bollente al Villarreal?
Antonio Cassano è da sempre tanto famoso in positivo per il suo talento quanto in negativo per il suo carattere, che ha portato a coniare il termine cassanate per definire i suoi eccessi.
Viene praticamente da sola l'equazione Cassano all'Inter-cassanata che ha portato alla rottura col Milan, perchè nei suoi trasferimenti passati c'è sempre stato un elemento caratteriale decisivo.
A Roma, da giovane, successe di tutto malgrado il grande affetto che lo legava a Totti (fino a un certo punto, poi rapporto in caduta libera) e a Capello.
A Madrid praticamente Cassano non l'hanno mai visto, c'era solo il fratello fissato con le merendine e le cameriere che faceva le imitazioni del suo allenatore (sempre Capello, suo principale sponsor tra i galaticos che stavolta si è visto tradito).
La Samp lo aveva rigenerato e gli aveva dato l'amore della sua vita, conosciuta proprio a Genova e nonostante sembrasse aver raggiunto una certa maturità (anche per l'approssimarsi dei 30 anni) in un momento di follia per motivi nemmeno troppo importanti ha ricoperto di insulti Garrone distruggendo un equilibrio fantastico.
Quindi il Milan. Ma è proprio qui che manca qualcosa.
Manca la cassanata. Qualunque di qualunque gravità.
"Se sbaglio al Milan sono da rinchiudere in manicomio" diceva Antonio alla sua presentazione, ben consapevole del suo modo di essere, della sua carriera e dell'occasione che aveva davanti. E non ha sbagliato.
Antonio nell'altra squadra di Milano ha semplicemente giocato, venendo eletto da Ibrahimovic suo partner preferito regalando in cambio gol, ma soprattutto assist. Il problema al cuore l'ha tagliato fuori per gran parte dell'ultima stagione, questo fa sbiadire i ricordi e lascia spazio a dubbi.
Ma di Cassano al Milan non si ricordano polemiche, litigi con chiunque, espulsioni, gesti plateali. Di nessun genere. Solo un preciso sfogo durante gli Europei (che ha giocato da titolare, e anche qui nessun problema) riguardo la possibile cessione di Thiago Silva. Un pensiero comune a tutti gli osservatori del calcio a ogni livello, ma che nessuno osava dire ad alta voce. Come del resto gran parte delle cose che Cassano dice.
Tutto qui.
Lungi da me pensare che adesso, all'improvviso, sia cambiato e abbia raggiunto la pace interiore. Per Peter Pan è impossibile crescere veramente. Certe cose sono il suo istinto e gli rimarranno dentro per sempre. Del resto, sarebbe tanto normale e noioso senza.
Ma Cassano questa volta non è stato mandato via. Ha scelto con coscienza la sua strada. Per motivi personali e sportivi. Senza alzare la voce nè fare capricci che tutti potessero notare.
Ed è già un cambiamento.
Il Brasile di Menezes, favorito assoluto per l'oro, collassa sul peso di tutti i suoi limiti proprio nella finale contro il piccolo Messico, che si conferma realtà in crescita del calcio internazionale.
Il Brasile era la vera e propria corazzata di queste Olimpiadi.
Una struttura di giocatori under 23 fortissima, da nazionale maggiore, con 3 fuoriquota scelti accuratamente dal ct per dare ancora più spessore e personalità a una rosa che definire superiore alle altre è un eufemismo. Squadra completa negli 11 titolari e anche nelle riserve, per non farsi mancare nulla.
Ma per tutto il torneo c'era qualcosa che nn quadrava. Vittorie si, gol si, ma sempre con qualche errore di troppo, qualche sofferenza di troppo. Troppi gol subiti in particolare, anche dagli sconosciuti in inferiorità numerica (Honduras).
Un'impressione generale di mollezza e distrazione ben incarnata dalle prestazioni del capitano nonchè giocatore dal maggiore status, Thiago Silva. Lui che in Italia non può essere criticato per decreto ha disputato un torneo totalmente negativo, sotto ogni punto di vista. L'ombra del giocatore tanto voluto da Leonardo ed elogiato oltremisura a ogni controllo di palla.
Tanto tuonò che piovve.
In finale tutti si aspettavano che il Brasile avrebbe vinto nonostante i suoi limiti.
Magari anche facilmente, trascinato dai vari Neymar (50 milioni di valutazione), Oscar (30 e passa pagati dal Chelsea), Hulk (100 di clausola rescissoria), Leandro Damiao (35 facili), o dalle riserve Pato (24 milioni pagati 5 anni fa) e Lucas (44 milioni). Giocatori offensivi che tanto fanno sognare i tifosi e sono stati la vera forza del Brasile in questa Olimpiade, perchè capaci di segnare giocando da soli.
Invece ha prevalso l'organizzazione difensiva e la voglia di lottare del piccolo Messico. Privo, per di più, del suo giocatore più forte Giovani dos Santos. Sembrava la vittima sacrificale perfetta, ha condannato i verdeoro al loro terzo argento, dopo il bronzo di Pechino, regalando una pagina di storia del calcio.
Menezes è partito con una scelta che è sembrata subito azzardata. Alex Sandro (trezino sinistro del Porto) ala davanti a Marcelo, Hulk in panchina. Schieramento più fisico e di contenimento per favorire il possesso palla e bloccare il centrocampo tricolor.
Idea sconfessata al minuto 30, col Messico già in vantaggio e una sterilità offensiva rara.
Hulk, per quanto decisamente poco brillante in tutto il torneo, per la sua sola presenza impegna e allarga le difese, senza di lui Neymar e Damiao sono stati surclassati dai difensori messicani. Non a caso il Brasile ha iniziato a tirare fuori la testa, non trovando il gol per errori generali e la serata decisamente spenta sia di Neymar (raramente così impreciso nelle giocate) che di Oscar (incapace di accendere la luce). Damiao fondamentalmente non ha visto palla.
Il Messico si è difeso e ha organizzato le sue ripartenze verticali, trovando una traversa, un gol annullato per fuorigioco kilometrico e il calcio d'angolo del raddoppio. Il Brasile è andato avanti arruffando azioni, cercando dribbling e soluzioni troppo personali. Non a caso l'inutile gol del 2-1 è arrivato a tempo scaduto su una giocata verticale.
Azione simbolo della confusione dei brasiliani è il disimpegno difensivo in cui Rafael cerca uno scambio di tacco con Juan Jesus, regalando palla agli avversari. Poca presenza mentale, arroganza, scarsa comprensione del gioco del calcio. Che il suo compagno (pure più giovane) sia andato a parlargli a muso duro è il minimo (il capitano dov'era?).
Menezes trova la seconda grande delusione sul suo personale percorso verso i Mondiali di casa, mentre il Brasile ancora una volta vede sfuggirsi quell'oro che tanto manca.
Ancora più della Copa America, questa Olimpiade voleva essere l'anello di congiunzione tra le vittorie delle giovanili (Sud Americano Under 20, Mondiale Under 20) e la creazione definitiva della base per la nazionale futura.
Al di là dei nomi, il ct deve lavorare su tattica e gioco di squadra. Tutto troppo improvvisato in attacco, tutto troppo disorganizzato in difesa. Serve inoltre un'iniezione di carattere e voglia, perchè questa squadra tende a essere superficiale e a piacersi troppo.
Impensabile e ad alti livelli rischiosissimo. Come dimostra l'oro del Messico.
Uruguay e Spagna sono le prime grandi eliminate dall'Olimpiade.
Entrambe volevano vincere per dimostrarsi all'altezza di qualcosa: la Spagna under dei fratelloni bicampioni europei e mondiali in carica, l'Uruguay dei suoi due ori '24 e '28.
L'eliminazione è stata netta e decisamente dolorosa.
La roja è riuscita nell'impresa di non segnare nemmeno un gol in tre partite (Giappone-Honduras-Marocco), mettendo in luce tutti i limiti della loro idea di calcio e facendo intuire che, forse, il ricambio generazionale sarà traumatico anche per loro. Non che manchi il talento, come dimostrano altre vittorie a livello giovanile, ma non si vive di soli passaggi orizzontali.
Juan Mata, fresco campione d'Europa con club e nazionale, non è riuscito a dare alla squadra la leadership e il fosforo che avrebbe dovuto. Anche per lui un'occasione persa per imporsi nella Spagna.
La celeste voleva fare un'altra importante iniezione di fiducia in vista dei Mondiali in Brasile (dove vinse nel '50), dopo il quarto posto in Sudafrica e la vittoria in Copa America. Tanto più che aveva vinto le due edizioni dei giochi a cui aveva partecipato, entrambe disputate prima della creazione dei Mondiali di calcio e quindi a questi assimilate. Torna a casa con un risultato che deve far riflettere il maestro Tabarez sul suo modello di gioco, troppo povero dal centrocampo in giu, troppo affidato alla verve dei giocatori più offensivi. Senza Forlan si sente eccessivamente l'assenza di qualcuno in grado di impostare l'azione, e il biondo è tutt'altro che eterno. La garra non può sopperire a tutto e i giovani non hanno gli occhi della tigre visti tanto spesso ai giocatori uruguagi negli ultimi anni.
Edinson Cavani ha deluso ancora una volta, ma ancora una volta è sembrato tanto, troppo sacrificato, nemmeno lontanamente nelle condizioni ideale per esprimere il suo talento.
In controtendenza rispetto al luogo comune, il calcio di Agosto per l'Inter sarà decisamente calcio vero, con ben due turni a eliminazione diretta di Europa League da sostenere (terzo preliminare e play-off).
La partita di andata si gioca domani, e l'elenco dei convocati permette di fare una riflessione sulla rosa a un mese dalla chiusura del mercato.
Portieri: 1 Handanovic, 12 Castellazzi, 27 Belec;
Difensori: 4 Zanetti, 6 Silvestre, 23 Ranocchia, 25 Samuel, 26 Chivu, 33 Mbaye, 42 Jonathan, 55 Nagatomo;
Centrocampisti: 10 Sneijder, 14 Guarin, 16 Mudingayi, 19 Cambiasso, 24 Benassi;
Attaccanti: 7 Coutinho, 8 Palacio, 22 Milito, 88 Livaja.
-tra i giocatori di movimento i giovani in rosa sono pochi, tre promossi dalla Primavera (Mbaye, Livaja, Benassi) e Coutinho, 4 nomi su 17 (20 convocati meno i 3 portieri).
-7 nomi su 17 sono gli over 30.
-Ranocchia è l'unico giocatore in una fascia di età tra i 20 e i 24 anni.
-sono stati convocati tanti portieri quanti centrocampisti centrali, considerando che Benassi è un '94 con più esperienza in Berretti che in Primavera.
-considerando Coutinho un attaccante "esperto", ci sono anche tanti attaccanti quanti portieri visto che Livaja è un '93 che con l'Inter non ha ancora esordito.
-in compenso figurano tra i convocati 4 difensori centrali e 4 terzini (tutti destri).
Chiaramente siamo ai primi di Agosto e c'è un mese di mercato davanti, ma le lacune principali sono evidenti:
-i centrocampisti sono poco affidabili. Il reparto che in assoluto ha sofferto di più nella scorsa stagione è stato rimpolpato (rinforzato pare eccessivo) solo da Mudingayi, a fronte però della perdita di Poli. Obi, Alvarez (che centrocampista ad oggi non è), Duncan (altro Primavera promosso), Stankovic e Mariga sono fuori per infortunio. Cambiasso nelle amichevoli è sembrato in sofferenza come tutto l'anno scorso e la preparazione non regge per niente come alibi. In pratica bisogna accendere un cero a San Fredy Guarin e sperare che eventuali adattati (Jonathan, Zanetti) tirino fuori jolly a ripetizione.
-l'attacco ha solo Milito ('79) come punta centrale vera, e Palacio ('82) come unico altro attaccante con un minimo di esperienza in generale. Longo ('92) e Livaja ('93) per quanto talentuosi sono scommesse, talenti alla ricerca anche di un ruolo preciso.
-in tutta la rosa non si vede nemmeno un esterno offensivo di ruolo. Tanti sono stati adattati con risultati alterni.
Il campo ci darà qualche indicazione in più.