25 lug 2013

Galo campione


La Copa Libertadores è una competizione con un fascino particolare, legato indissolubilmente all'alone di magia del calcio sudamericano. Il Brasile è il grande dominatore della competizione negli ultimi anni: bisogna risalire al 2004 per trovare una finale senza squadre verdeoro e al 2009 per l'ultimo vincitore non brasiliano (l'Estudiantes).
La finale 2012 aveva visto la sfida tra una squadra con tradizione e mistica, il Boca Juniors,  e una "vergine" desiderosa di imporsi, il Corinthians. La finale 2013 si è presentata con la stessa struttura (la tradizione dell' Olimpia contro la voglia dell'Atletico Mineiro), considerando le nette differenze tecniche, ed è finita allo stesso modo con l'imposizione del nuovo che avanza.

Il Galo è riuscito a sfatare la tradizione che vuole la dominatrice della fase a gironi incapace di vincere la Copa. Di gran lunga la squadra più spettacolare della competizione, l'allenatore Cuca ha messo insieme un 4-2-3-1 tutto talento e gioco offensivo. Il motore non poteva che essere Ronaldinho, colui che ha messo il Mineiro nell'elenco delle grandissime del continente e settimo giocatore capace di vincere Champions e Libertadores con Dida, Cafu, Roque Junior, Sorin, Tevez e Samuel. Attorno a lui un insieme di giocatori reduci da esperienze europee (Rever, Jo, Josuè, Diego Tardelli) e talenti in ascesa (Bernard, Luan), tutti con in testa l'idea di tenere il pallone e segnare più degli avversari. Non a caso Jo, letteralmente rinato, ha chiuso da capocannoniere a 7 gol davanti a Diego Tardelli con 6, cui si aggiungono i 4 di Dinho, conditi da 7 assist. Altro punto di forza l'inespugnabilità del Mineirão, in cui la squadra vanta 53 risultati utili consecutivi, comprese le due rimonte sotto 2-0 contro il Newell's in semifinale e contro l'Olimpia in finale.
L'Olimpia dal canto suo è stata la finalista a sorpresa, sottovalutata da tutti, ma capace di dettare legge nel girone e di eliminare la Fluminense ai quarti. Difesa dura, tanta corsa e ripartenze esplosive guidate da Salgueiro e Barreiro. Giovane interessante Alejandro Silva, buon piede e attenzione tattica. Collettività, sacrificio e anche per loro la fortezza casalinga del Defensores del Chaco di Asuncion. Guidati da Ever Almeida (ex portiere del club già vincitore della Copa) nel corso della doppia sfida hanno avuto le occasioni più nitide per vincere, fallendole però clamorosamente (si ricorderanno a lungo della scivolata di Ferreyra a porta vuota).

Decisiva è stata l'attitudine mentale. L'Olimpia al ritorno è stata troppo rinunciataria, troppo arroccata, troppo poco cattiva nelle tante occasioni avute. Anche nelle sortite offensive sembrava più preoccupata di perdere tempo che non di trovare un gol. L'Atletico si è giocato le sue carte e i suoi rischi, ben consapevole di essere permeabile in difesa, ma di poter segnare molto. 2 gol sono arrivati, ci sono state anche 2 traverse e diverse altre occasioni. Ronaldinho non è stato decisivo, ma ha risposto presente (mentre all'andata era scomparso dal campo), Bernard si è sacrificato pure troppo e ha gestito con sapienza la palla, però su tutti svetta Jo, che appena ha trovato un minimo di spazio è stato letale sotto porta e preziosissimo nello sviluppo del gioco. Cuca ha vinto la sua partita a scacchi con Almeida togliendo un mediano puro a inizio secondo tempo per schierare un centrocampista incursore. Rosinei ha scombinato le sicurezze difensive dei paraguaiani in fretta, dando inizio alla rimonta. Il cambio di Almeida invece, Ferreyra per Barreiro, doveva aiutare la squadra a prendere campo, ma ha finito per azzerare ogni tentativo di ripartenza per la lentezza del tanque.

Ronaldinho ha vinto la sua personale scommessa e può godersi il dolce sapore della vittoria, che tutti attribuiranno a lui.

24 lug 2013

Habemus Tata


Il Barcellona per qualche minuto ha deciso di sembrare un club normale. Invece di seguire l'amata autarchia assoluta in ogni ambito ha deciso per la prima volta dal 2008 di affidarsi a un tecnico esterno. Per di più facendo una scelta se non proprio imposta dal suo leader tecnico Messi quantomeno caldeggiata dalla pulce argentina. Gerardo el Tata Martino, argentino nato a Rosario nel 1962 è il nuovo allenatore del Futbol Club Barcelona.

Malgrado le malelingue, non parliamo di un raccomandato.
Il Tata inizia ad allenare nel 1998 e ha una solida carriera alle spalle. Il maestro è Marcelo Bielsa, la palestra il Paraguay. Dal 2002 al 2006 si impone come figura dominante del calcio albirojo vincendo 6 titoli (il campionato si divide in Apertura e Clausura) alla guida di Cerro Porteño e Libertad, con cui conquista anche una semifinale di Libertadores.
Visti i risultati la Federazione gli offre la panchina della nazionale. Dal 2007 al 2011 porta il Paraguay ai quarti della Copa America 2007 (appena insediato), ai quarti del Mondiale 2010 (eliminato dalla Spagna per 1-0) e alla finale persa contro l'Uruguay in Copa America 2011.
Nel 2012 arriva finalmente ad allenare in Argentina (escludendo una brevissima parentesi nel 2005), proprio nella sua Rosario. Resuscita il Newell's portandolo al secondo posto nell'Inicial 2012 e alla vittoria nel Final 2013, aggiungendo un'altra semifinale di Copa Libertadores.
Al Barcellona avrà il suo primo impatto col calcio europeo, col grande vantaggio di trovarsi a disposizione del materiale tecnico straordinario.

Ma che tecnico è Martino?
La grande fonte di ispirazione è ovviamente il lavoro di Marcelo Bielsa, suo allenatore ai tempi del Newell's e idolo assoluto del calcio rosarino. Non è però un integralista e nel corso degli anni ha dimostrato grande spirito di adattamento e capacità di sfruttare al meglio i punti di forza a sua disposizione. I due migliori nonchè più accessibili esempi rappresentativi del suo calcio sono il Paraguay della Copa America 2011 e il NOB 2012/2013.
La nazionale albiroja aveva un'evidente carenza di talento che rendeva inutile tentare di impostare alchimie di calcio spettacolo. Presentava invece una notevole fisicità e disposizione al sacrificio, che Martino ha saputo canalizzare ed esaltare. Spirito di gruppo, grande solidità, attenzione in copertura e corsa, tanta corsa, senza badare alle giocate raffinate. Un calcio molto pratico predicato sulla garra e sulle ripartenze improvvise.
Il Newell's 2012/2013 è al contrario chiaramente una squadra di stampo bielsista. Molto offensiva, con una manovra d'attacco organizzata e fluida. Palla a terra, tanti movimenti, un attacco "leggero" con un centravanti molto mobile come Nacho Scocco accompagnato da esterni rapidi e ficcanti, ma anche attenti a coprire. A centrocampo due interni con corsa verticale (con l'eccezione di Cruzado, più da possesso) e uno schermo davanti alla difesa come Diego Mateo, posizionale, fisico e fondamentale per ricevere il primo passaggio e far partire la manovra (dettaglio che in Spagna conoscono benissimo). Grande attenzione anche alla corsa dei terzini, fondamentali per allargare il gioco e molto coinvolti in zona gol. Possesso palla e controllo dei ritmi.
Due modelli di calcio quasi opposti, soprendentemente sviluppati dallo stesso allenatore. In comune troviamo la grande capacità di leggere gli spazi (esaltata da una parte difensivamente, dall'altra offensivamente), una certa attenzione sulla corsa e la valorizzazione dei talenti individuali.

Restano da citare le parole di Bielsa circa la leadership del suo allievo (che fisicamente gli somiglia sempre di più col passare degli anni):
"Destaco 4 cosas de Gerardo Martino como líder: 1. Siempre que decía hablaba, tenía algo para decir, algo que valiera la pena; 2. Cuando hablaba, nunca levantaba la voz; 3. Él entraba al vestuario y aunque no hablara, bajaba el nivel del murmullo; 4. Cuando él contaba un chiste, todos nos reíamos. Cuando yo me iba a casa y lo contaba, nadie se reía. Y eso que jugaba de local."

Il suo calcio ovviamente non è il tiki-taka di Guardiola, ma nemmeno la verticalità esasperata del Loco. Per capacità tattiche e spirito abbiamo una figura interessantissima, su una panchina meno facile di quel che sembra.

22 lug 2013

Suerte Tito


Tito Vilanova si congeda dalla panchina del Barcellona per concentrarsi su una battaglia ben più importante. Chiude momentaneamente la sua esperienza da primo allenatore con un campionato vinto e stradominato che ci regala qualche spunto di analisi.

Innanzi tutto, Vilanova non è Guardiola, nemmeno come origine. Pep prese in mano una squadra da rinnovare nello spirito e negli uomini, Tito ha più che altro dovuto lavorare sulle motivazioni di campioni ormai stravincenti e stracollaudati. Lo stesso Guardiola nella stagione 2011-2012 aveva affrontato derive tattiche al limite dell'inquietante per cercare di trovare nuovi stimoli, Vilanova ha cercato di portare qualche idea nuova. In particolare una più insistita spinta offensiva (di cui Jordi Alba è un pò il simbolo) e qualche verticalizzazione in più.
Il Barcellona ha dominato la Liga, con un girone d'andata storico da 18 vitttorie e 1 pareggio. Alla fine 100 punti, solo 2 sconfitte, 115 gol fatti.
Rispetto al passato ha palesato un netto aumento dei gol subiti (40, una cifra che non si vedeva dal 2007-2008) frutto di una difficoltà generale a mantenere l'equilibrio e organizzare la transizione difensiva, oltre che magari un minimo di presunzione. Problemi evidenziati dalle gare a eliminazione diretta sia in Copa del Rey che in Champions League, dove comunque la squadra è arrivata alle semifinali (eliminata da Bayern Monaco e Real Madrid).
La centralità assoluta di Messi invece è stata un'evoluzione praticamente ineludibile del lavoro del suo predecessore. Nel corso degli anni la pulce è diventato sempre più simbolo, leader e bomber, accentrando attenzioni e gioco. Con Vilanova gran parte delle azioni venivano orchestrate da lui, piazzato nel suo ufficio sulla mezzaluna dell'area. Tremendamente efficace come sempre (46 gol in 32 partite in campionato, con solo 4 rigori), forse un filo troppo prevedibile in Champions League dove ha reso un pò meno che nelle precedenti edizioni. Concentrarsi su un solo giocatore, per quanto fenomenale, porta sempre dei rischi.

Va però sottolineato che l'esperienza di Vilanova è stata segnata dalla sua malattia, che l'ha costretto a ritirarsi a New York per delle cure da Dicembre ad Aprile. In quel periodo la panchina è stata affidata al suo vice Roura. Pur senza avere risultati disastrosi, la differenza di atteggiamento della squadra era percepibile. Probabilmente era solo un fatto inconscio, ma tutti facevano qualcosa di meno e in generale l'impressione era che Roura non avesse il carisma per decidere veramente qualcosa (mentre, com'è ovvio, Tito in videoconferenza da New York non poteva risultare incisivo).
Senza alcuna pretesa di ottenere certezze, è un bell'indizio per tutti i famosi discorsi del Barcellona che si allena da solo grazie ai propri fenomenali fuoriclasse e al gioco collaudato.

Suerte Tito, porta a casa anche questa vittoria.

11 lug 2013

Il Tata Martino a un passo dalla leggenda


Gerardo Martino ci credeva. Probabilmente nemmeno lui si aspettava di poter riportare così in alto il suo Newell's Old Boys in un solo anno e proprio per questo il repentino crollo sul più bello gli farà più male.
Sembrava un copione perfetto, da film. Lui, uno dei migliori giocatori della storia del Newell's, che riporta la sua squadra del cuore in finale di Copa Libertadores seguendo le orme del maestro (suo e di mezzo Sudamerica che parla spagnolo) Marcelo Bielsa.

La Copa Libertadores non è una competizione facile, richiede grandi sforzi sia fisici che mentali, oltre a viaggi lunghi e scomodi. Il NOB l'ha pagata nell'ultimo periodo, in termini di brillantezza e risultati. Il Torneo Final è stato vinto ugualmente, ma ci sono state l'eliminazione dalla Copa d'Argentina e la sconfitta col Velez nella Superfinal (il nuovo trofeo inaugurato quest'anno, partita secca tra vincitrice dell'Inicial e vincitrice del Final che assegna il terzo titolo dell'anno). La squadra aveva la testa a questa semifinale, e dopo l'andata sembrava anche aver tratto grandi insegnamenti dai tentennamenti nel difficile quarto di finale contro il Boca.
Il turno era duro, ma dopo l'andata le prospettive erano ottime. Un 2-0 addirittura stretto, una partita dominata, il campionato argentino finito, l'eventualità di una finale da favoriti. La possibilità di superare addirittura il monumento Bielsa, colui a cui è intitolato lo stadio di Rosario, che nel 1992 perse la finale con Martino in campo.

Purtroppo non è bastato per superare lo scoglio del ritorno a Minas Gerais, infatti dopo i rigori in finale vanno Ronaldinho e soci. Un'eliminazione dura che fa sorgere qualche parallelo con l'epopea del primo Athletic Bilbao del Loco, arrivato a un passo da vincere qualcosa di importante.
Lo stile di gioco prodotto dalla squadra del Tata Martino ha infatti chiarissima l'impronta di Bielsa, sia nel modulo (4-3-3) che nei movimenti che nella gestione della sfera. Non a caso il NOB ha dato spesso spettacolo e segnato molto (chiedere a Nacho Scocco e ai suoi 30 gol stagionali), mettendo in mostra idee moderne di movimenti e spaziature. Ma come le squadre di Bielsa ha il limite di dover andare al massimo per produrre risultati e di soffrire spazi molto intasati.
Una tattica spettacolare e produttiva (anche per la valorizzazione dei singoli), ma logorante e difficile da riproporre con continuità.

Con un pò più di fortuna Martino avrebbe potuto centrare un risultato eccezionale. Un immenso regalo per tutta la città di Rosario, prima di salutare per venire forse in Europa.
Si è fermato a un passo, portando lo stesso un titolo.
Suerte Tata.