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1 apr 2014

La strana vita calcistica di Oscar de Marcos

La vita di un calciatore alla latitudine di Bilbao è di suo un'esperienza particolare. L'utopia zurigorri ha oneri e onori inscindibili dalla maglia che si indossa per i novanta minuti regolamentari, la quale se fosse ancora senza sponsor sarebbe il veicolo massimo di un certo messaggio di un popolo.
I tempi cambiano, i soldi devono girare, tuttavia il pubblico del (nuovo, a proposito di soldi) San Mames tende ancora a sviluppare un rapporto stretto con i propri giocatori, che sono veri e propri rappresentanti di un movimento. Per questo certe "fughe" da quella che può diventare una prigione nemmeno troppo dorata (in termini di stipendio e vittorie conseguibili) sono vissute sempre con un certo dolore. Vuol dire abiurare, ammainare una bandiera, rifiutare un ideale per smania di realizzazione personale, individuale, spesso concretizzata in assegni corposi. I dirigenti del club, che sanno come gira il mondo, non a caso fissano clausole rescissorie spesso impensabili per i propri gioielli. Comprare una parte di un ideale costa più della sua effettiva rappresentazione fisica.
In questo contesto unico e irripetibile crescono talenti calcistici di sicuro interesse. Vengono svezzati, aspettati e spesso coccolati anche oltre il rendimento effettivo in quanto figli di Bilbao e dell'Athletic. Non sempre messi nelle condizioni migliori, ma pronti a dare tutto.

Oscar de Marcos è esattamente questo: un prodotto dell'ultima generazione di talenti biancorossi pronto a fare quello che gli viene chiesto per la sua squadra.
Classe 1989, esordisce con il Deportivo Alaves nel 2008 prima di passare all'Athletic nella stagione successiva. Malgrado l'impegno fatica a trovare una sua dimensione finchè non incontra sul suo cammino Marcelo Bielsa. Il Loco capisce in fretta che in quella materia grezza c'è un giocatore che fa per lui. La maglia numero 10 vuole essere uno stimolo, ma non è un regalo. Il calcio di Don Marcelo è predicato sul dinamismo, sul movimento verticale degli uomini e della palla e sulla fiducia in un sistema collettivo in cui ognuno porta il suo mattoncino. Richieste esigenti, ma con una finalità collettiva superiore. Nella stagione 2011/2012 de Marcos passa da comparsa quasi dimenticata a titolare e motore della squadra. 57 presenze in una stagione infinita in cui mette in mostra il suo miglior calcio presentandosi di fatto al mondo.

Nel fluido dinamismo dell'allenatore di Rosario si forgia il de Marcos calciatore. Un marchio di fabbrica di qualità, ma che lo lega anche a un destino tecnico particolare. I problemi di ambientamento erano infatti dovuti alla sua dimensione indefinita. Giocatore offensivo di sicuro, ma difficile da inquadrare in un ruolo preciso. Inserito in un contesto di gioco si è trasformato in un jolly, capace di fare bene molte cose e quindi sempre utile.
Oscar nasce come attaccante e ha come caratteristiche distintive la facilità di corsa, la capacità di inserimento, un buon tiro e la tecnica individuale. Nel sistema di Bielsa uno così, se disposto al sacrificio e a seguire i dettami tattici, può sostanzialmente fare tutto. E infatti farà tutto, dall'attaccante esterno, al trequartista di inserimento, all'interno di centrocampo, al terzino sinistro (pur essendo destro di piede). L'imprinting sarà forte e la qualità dimostrata nelle varie situazioni notevole. Tanto che anche Valverde, a due anni di distanza, sfrutta il ragazzo a seconda delle necessità.
Nella stagione in corso de Marcos ha giocato terzino sinistro, terzino destro, trequartista, attaccante esterno e perfino falso nueve. Un giocatore che permette varianti tattiche notevoli, capace di portare qualità e impatto in molti modi diversi. Ha il limite di non essere specializzato e quindi non gioca sempre titolare, ma porta il suo mattoncino per il collettivo.

Facilmente de Marcos è destinato a rimanere all'Athletic, anche per la sua clausola rescissoria attorno ai 30 milioni non trattabili, continuando a fare il jolly. Ma vista la sua storia e viste le idee del club probabilmente è giusto così. In nome di un'idea superiore.

24 lug 2013

Habemus Tata


Il Barcellona per qualche minuto ha deciso di sembrare un club normale. Invece di seguire l'amata autarchia assoluta in ogni ambito ha deciso per la prima volta dal 2008 di affidarsi a un tecnico esterno. Per di più facendo una scelta se non proprio imposta dal suo leader tecnico Messi quantomeno caldeggiata dalla pulce argentina. Gerardo el Tata Martino, argentino nato a Rosario nel 1962 è il nuovo allenatore del Futbol Club Barcelona.

Malgrado le malelingue, non parliamo di un raccomandato.
Il Tata inizia ad allenare nel 1998 e ha una solida carriera alle spalle. Il maestro è Marcelo Bielsa, la palestra il Paraguay. Dal 2002 al 2006 si impone come figura dominante del calcio albirojo vincendo 6 titoli (il campionato si divide in Apertura e Clausura) alla guida di Cerro Porteño e Libertad, con cui conquista anche una semifinale di Libertadores.
Visti i risultati la Federazione gli offre la panchina della nazionale. Dal 2007 al 2011 porta il Paraguay ai quarti della Copa America 2007 (appena insediato), ai quarti del Mondiale 2010 (eliminato dalla Spagna per 1-0) e alla finale persa contro l'Uruguay in Copa America 2011.
Nel 2012 arriva finalmente ad allenare in Argentina (escludendo una brevissima parentesi nel 2005), proprio nella sua Rosario. Resuscita il Newell's portandolo al secondo posto nell'Inicial 2012 e alla vittoria nel Final 2013, aggiungendo un'altra semifinale di Copa Libertadores.
Al Barcellona avrà il suo primo impatto col calcio europeo, col grande vantaggio di trovarsi a disposizione del materiale tecnico straordinario.

Ma che tecnico è Martino?
La grande fonte di ispirazione è ovviamente il lavoro di Marcelo Bielsa, suo allenatore ai tempi del Newell's e idolo assoluto del calcio rosarino. Non è però un integralista e nel corso degli anni ha dimostrato grande spirito di adattamento e capacità di sfruttare al meglio i punti di forza a sua disposizione. I due migliori nonchè più accessibili esempi rappresentativi del suo calcio sono il Paraguay della Copa America 2011 e il NOB 2012/2013.
La nazionale albiroja aveva un'evidente carenza di talento che rendeva inutile tentare di impostare alchimie di calcio spettacolo. Presentava invece una notevole fisicità e disposizione al sacrificio, che Martino ha saputo canalizzare ed esaltare. Spirito di gruppo, grande solidità, attenzione in copertura e corsa, tanta corsa, senza badare alle giocate raffinate. Un calcio molto pratico predicato sulla garra e sulle ripartenze improvvise.
Il Newell's 2012/2013 è al contrario chiaramente una squadra di stampo bielsista. Molto offensiva, con una manovra d'attacco organizzata e fluida. Palla a terra, tanti movimenti, un attacco "leggero" con un centravanti molto mobile come Nacho Scocco accompagnato da esterni rapidi e ficcanti, ma anche attenti a coprire. A centrocampo due interni con corsa verticale (con l'eccezione di Cruzado, più da possesso) e uno schermo davanti alla difesa come Diego Mateo, posizionale, fisico e fondamentale per ricevere il primo passaggio e far partire la manovra (dettaglio che in Spagna conoscono benissimo). Grande attenzione anche alla corsa dei terzini, fondamentali per allargare il gioco e molto coinvolti in zona gol. Possesso palla e controllo dei ritmi.
Due modelli di calcio quasi opposti, soprendentemente sviluppati dallo stesso allenatore. In comune troviamo la grande capacità di leggere gli spazi (esaltata da una parte difensivamente, dall'altra offensivamente), una certa attenzione sulla corsa e la valorizzazione dei talenti individuali.

Restano da citare le parole di Bielsa circa la leadership del suo allievo (che fisicamente gli somiglia sempre di più col passare degli anni):
"Destaco 4 cosas de Gerardo Martino como líder: 1. Siempre que decía hablaba, tenía algo para decir, algo que valiera la pena; 2. Cuando hablaba, nunca levantaba la voz; 3. Él entraba al vestuario y aunque no hablara, bajaba el nivel del murmullo; 4. Cuando él contaba un chiste, todos nos reíamos. Cuando yo me iba a casa y lo contaba, nadie se reía. Y eso que jugaba de local."

Il suo calcio ovviamente non è il tiki-taka di Guardiola, ma nemmeno la verticalità esasperata del Loco. Per capacità tattiche e spirito abbiamo una figura interessantissima, su una panchina meno facile di quel che sembra.

11 lug 2013

Il Tata Martino a un passo dalla leggenda


Gerardo Martino ci credeva. Probabilmente nemmeno lui si aspettava di poter riportare così in alto il suo Newell's Old Boys in un solo anno e proprio per questo il repentino crollo sul più bello gli farà più male.
Sembrava un copione perfetto, da film. Lui, uno dei migliori giocatori della storia del Newell's, che riporta la sua squadra del cuore in finale di Copa Libertadores seguendo le orme del maestro (suo e di mezzo Sudamerica che parla spagnolo) Marcelo Bielsa.

La Copa Libertadores non è una competizione facile, richiede grandi sforzi sia fisici che mentali, oltre a viaggi lunghi e scomodi. Il NOB l'ha pagata nell'ultimo periodo, in termini di brillantezza e risultati. Il Torneo Final è stato vinto ugualmente, ma ci sono state l'eliminazione dalla Copa d'Argentina e la sconfitta col Velez nella Superfinal (il nuovo trofeo inaugurato quest'anno, partita secca tra vincitrice dell'Inicial e vincitrice del Final che assegna il terzo titolo dell'anno). La squadra aveva la testa a questa semifinale, e dopo l'andata sembrava anche aver tratto grandi insegnamenti dai tentennamenti nel difficile quarto di finale contro il Boca.
Il turno era duro, ma dopo l'andata le prospettive erano ottime. Un 2-0 addirittura stretto, una partita dominata, il campionato argentino finito, l'eventualità di una finale da favoriti. La possibilità di superare addirittura il monumento Bielsa, colui a cui è intitolato lo stadio di Rosario, che nel 1992 perse la finale con Martino in campo.

Purtroppo non è bastato per superare lo scoglio del ritorno a Minas Gerais, infatti dopo i rigori in finale vanno Ronaldinho e soci. Un'eliminazione dura che fa sorgere qualche parallelo con l'epopea del primo Athletic Bilbao del Loco, arrivato a un passo da vincere qualcosa di importante.
Lo stile di gioco prodotto dalla squadra del Tata Martino ha infatti chiarissima l'impronta di Bielsa, sia nel modulo (4-3-3) che nei movimenti che nella gestione della sfera. Non a caso il NOB ha dato spesso spettacolo e segnato molto (chiedere a Nacho Scocco e ai suoi 30 gol stagionali), mettendo in mostra idee moderne di movimenti e spaziature. Ma come le squadre di Bielsa ha il limite di dover andare al massimo per produrre risultati e di soffrire spazi molto intasati.
Una tattica spettacolare e produttiva (anche per la valorizzazione dei singoli), ma logorante e difficile da riproporre con continuità.

Con un pò più di fortuna Martino avrebbe potuto centrare un risultato eccezionale. Un immenso regalo per tutta la città di Rosario, prima di salutare per venire forse in Europa.
Si è fermato a un passo, portando lo stesso un titolo.
Suerte Tata.

9 mag 2012

Bielsa a Bilbao, un'analisi

L'Athletic Bilbao di Marcelo Bielsa.
Troppa la curiosità suscitata fin dall'inizio da un binomio simile. Allenatore geniale, maestro dai tratti mistici con squadra unica per tradizione, fascino e gestione. Insieme sono stati la sorpresa dell'anno.
Per Bielsa il ritorno in Europa, ma forse sarebbe il caso di tralasciare la troppo breve esperienza all'Espanyol del 1998, ha visto delle difficoltà soprattutto a inizio anno e nella Liga, ma ha portato il suo Athletic a un risultato storico. A prescindere dall'esito due finali, di Copa del Rey e di Europa League, ottenute attraverso un calcio moderno, offensivo, giovane e organizzato. In particolare per la squadra è la prima finale europea dopo la Coppa UEFA persa nel 1976-1977.

Perchè allora si leggono spesso critiche a Bielsa e alla sua squadra come se non avesse fatto abbastanza?
Il vero spartiacque nella stagione e nei giudizi si trova nella doppia sfida col Manchester United. Indubbiamente il punto più alto della stagione, col 2-3 all'Old Trafford e il 2-1 in casa. Quella partita ha acceso più che mai i riflettori sul Bilbao, sul calcio del Loco, sui talenti baschi, creando tante aspettative.
Parliamo di aspettative nate ex post sulla scia emotiva di un doppio turno straordinario. Fino a quel momento nessuno si sognava di chiedere a una realtà come l'Athletic Bilbao chissà quali imprese nella Liga. Dopo si è cominciato a pretendere, lasciando però da parte dei presupposti fondamentali

Innanzi tutto la dimensione dell'Athletic Bilbao. Negli ultimi due anni la squadra si è posizionata ottava (fuori dalle coppe) e sesta (qualificata in Europa League) nella Liga. Un andamento medio, da basso piazzamento europeo se tutto va bene. Oggi la squadra è nona (peggiorata, ma qualificata ai preliminari di Europa League), ma ha dovuto affrontare per tutto l'anno tre competizioni, normale pagare qualcosa.
Direttamente collegata è l'analisi della rosa. 28 giocatori, tutti baschi, molti giovani, mediamente poco conosciuti, hanno portato avanti come si diceva tre competizioni fino alla fine, giocando qualcosa come 60 partite in stagione. Faticano a mantenere standard elevati in simili condizioni rose qualitativamente molto più attrezzate in club con ben altra esperienza e prestigio internazionale.
Una rosa giovane che vede davanti a se un risultato storico e inaspettato come una finale europea è normale che perda concentrazione sul campionato. La squadra non aveva e non ha l'esperienza e l'abitudine per gestire situazioni simili, ben al di la delle ambizioni di inizio stagione. In più c'è dell'ovvio logorio fisico. Per eliminare Manchester United, Schalke 04 e Sporting Lisbona (che a sua volta aveva eliminato il Manchester City) serve più del massimo.
I periodi di "crisi" in campionato si sono visti a inizio stagione, quando la squadra doveva ancora assimilare i dettami di Bielsa notoriamente particolari, dopo l'eliminazione dello United, a testimoniare un calo di concentrazione o motivazionale in campionato, e nelle ultime partite, con la finale di Europa League a una settimana. C'è davvero da stupirsi?

Altra critica che si sente riguarda i gol segnati. Se Bielsa è questo maestro di calcio offensivo, perchè soli 49 gol segnati? Meno del solo Messi?
Anche qui, basta dare un'occhiata alla rosa a disposizione del tecnico. L'unico attaccante vero a disposizione è Fernando Llorente, non a caso consacratosi definitivamente come centravanti di spessore europeo migliorando anche nella gestione del gioco. Per il resto solo rifinitori tecnici, ma con pochi gol nei piedi, o l'esperto Toquero, attaccante di gran corsa e sacrificio.

Grazie all'uomo di Rosario hanno lucidato il proprio talento in diversi. Muniain e il suddetto 9 stanno vivendo qualcosa di molto vicino alla consacrazione. De Marcos e Ander Herrera sono totalmente creature del Loco. Gomez e Itaurraspe erano appena delle comparse prima di inserirsi nei suoi schemi. Tutta la squadra ha dato più di quanto poteva, chiedere di più è pura utopia. E i tifosi di Bilbao, vicini alla squadra quest'anno come non mai, hanno recepito perfettamente il tocco empatico del loro allenatore, capace come nessuno di compattare attorno a lui realtà magari giovani con ambizione di arrivare nel calcio che conta.

Il vero limite dell'Athletic è che difficilmente potrà migliorare una stagione simile.
Bielsa ha ottenuto tanto, molto più del preventivato soprattutto in Europa. Per quanto la posizione in campionato sia ampiamente migliorabile, per pensare a un exploit da Champions League serve tanto, forse troppo ottimismo, specie considerando le politiche societarie sul mercato.
Per quanto la rosa sia composta da giovani con ampi margini di miglioramento, la partenza di Llorente (classe'85, ora o mai più) priverebbe l'intera fase offensiva di un suo cardine fondamentale difficilmente rimpiazzabile.


Accetterà l'allenatore una nuova sfida resa più ardua da aspettative decisamente innalzate?

10 gen 2011

el Niño Maravilla

Come testimonia il suo soprannome, Alexis Sanchez è da sempre un giocatore con un talento ben sopra la media. L'Udinese, squadra da anni attenta ai giovani emergenti in giro per il mondo, lo ha scovato in Cile a soli 17 anni, investendo su di lui ben tre milioni di dollari.
Allora Sanchez era un progetto, un concentrato di doti raro, che doveva svilupparsi fisicamente, tecnicamente e mentalmente fino a diventare un calciatore da Serie A. Impressionanti il dribbling e la velocità palla al piede.
Oggi, a cinque anni di distanza, il ragazzo sembra a un passo dall'esplodere.

I Mondiali 2010, in cui il suo Cile è stato una delle sorprese, hanno restituito all'Udinese un giocatore trasformato. Non più solo lo splendido funambolo palla al piede visto al Colo Colo, al River Plate e in Italia, ma un giocatore tosto, fisico e di carattere, pronto a correre con e per la squadra grazie ai dettami di Marcelo el loco Bielsa (ricordato da uno come Javier Zanetti come il miglior tecnico che abbia mai avuto). Su questo nuovo spirito del ragazzo, si è innestato il lavoro tattico di Guidolin, che da ala fissa lo ha spostato a supporto di Antonio Di Natale in un attacco a due con tonnellate di tecnica e fantasia.
La risposta di Sanchez? Un crescendo continuo in rendimento. Ha imparato a svariare su tutto il fronte offensivo, risultando pericoloso non più solo da destra, ma migliorando da sinistra e imparando a giocare trequartista. Ha progressivamente perso la sua attitudine al gioco "solo contro tutti" con annessi numeri su numeri per mettere la sua grande tecnica, l'ottima velocità, la progressione e soprattutto il dribbling fulminante al servizio di un gioco semplice e terribilmente produttivo. Controllo, dribbling per aprire lo spazio, palla giocata pulita e precisa per il compagno possibilmente in verticale.
Nei suoi già cospicui mezzi sono emersi margini di miglioramento evidenti. Inoltre Alexis ha iniziato a limare il suo più grande difetto, la freddezza sotto porta (e conseguentemente i pochi gol segnati). Quattro gol in metà campionato contro un record precedente di cinque, di cui due addirittura di testa (non la sua specialità essendo alto poco meno di 170cm, pur avendo un grande stacco) sono un segnale di sicuro importante.

Se continua così, magari migliorando anche la sensibilità del piede sinistro, del niño rimarrà solo la maravilla.

8 nov 2010

Chau Cappa

Bomba sul mondo River a una settimana dalla sfida contro il Boca Juniors: la dirigenza dei Millonarios ha infatti deciso di terminare anticipatamente il rapporto con Miguel Angel Cappa dopo appena 208 giorni di lavoro al Monumental. Una scelta azzardata? Legittima? Si può chiamare come si vuole, ma in fin dei conti è l'effetto Superclasico e l'inevitabile conseguenza del vortice negativo in cui la squadra sta tristemente facendo ritorno. Sette partite senza vittoria, fra pareggi letteralmente regalati agli avversari e sconfitte pesantissime in ottica retrocessione. All'orizzonte la sfida contro gli Xeneizes, l'ultimo appiglio per far rifiatare l'ambiente in vista di una lunghissima quanto sfiancante volata salvezza.

Sono ormai lontane le vittorie di inizio torneo e la prematura convinzione di poter lottare per il titolo ha ben presto fatto spazio nell'ambiente ad un senso di frustrazione ed impotenza. Nessuna certezza, se non a parole. Parole, le stesse che hanno con ogni probabilità condannato Cappa agli occhi della gente della Banda, stanca di vedere sul terreno di gioco l'esatto contrario di quanto dichiarato ai microfoni dal Filosofo. Nessuna traccia del bel calcio, del possesso palla, dei movimenti armoniosi e costanti promessi dall'ex tecnico dell'Huracan: sono bastate infatti poche partite perchè i primi segnali incoraggianti lasciassero spazio al caos, alla disorganizzazione e all'incertezza. Mai gli stessi uomini, mai un modulo preciso e ben definito, mai la parvenza di un certo equilibrio all'interno del sistema di gioco. Nella tempesta l'unico in grado di mantere la rotta è stato per un periodo capitan Almeyda, ma alla fine anche lui ha dovuto arrendersi a causa di un infortunio.

Cappa paga la mancanza di tempo per lavorare su una squadra ereditata completamente allo sbando, la fretta di un ambiente che non si può permettere di aspettare e programmare esclusivamente nel lungo periodo. Non ha mai veramente legato con il Monumental e nelle ultime settimane la gente di Nunez ha più volte manifestato il suo disappunto nei confronti delle scelte del tecnico di Bahia Blanca. Gli esempi più eclatanti? L'incomprensibile sostituzione del giovanissimo Erik Lamela nell'intervallo della partita pareggiata contro il Gimnasia La Plata che ha scatenato l'indignazione di tifosi e addetti ai lavori e soprattutto l'accantonamento di Alexis Ferrero. Il Patron non è certamente un difensore di livello mondiale, anzi, dal suo recente arrivo gli errori piuttosto gravi non sono stati rari, ma assieme ad Almeyda ed Ortega è uno dei leader dello spogliatoio del River Plate e la sua assenza dal campo si è fatta sentire in termini di carattere e personalità. Il suo ingresso nella ripresa del Clasico contro il Racing ha fatto vibrare le tribune del Monumental in un boato che ha sorpreso chiunque: non una splendida ovazione per uno degi idoli della tifoseria riverplatense, ma un autentico grido di battaglia per un giocatore che agli occhi dei tifosi, seppur fra alti e bassi, ha sempre dato il massimo.

Abbandonata dunque l'idea del tiki-tiki, la dirigenza dei Millonarios dovrà ora trovare al più presto il sostituto ideale per riuscire laddove hanno fallito Gorosito, Astrada e lo stesso Cappa. Il favorito in questo momento sembra il Tolo Gallego, ex-vice di Passarella, già allenatore del River Plate in passato ed attualmente libero dopo l'incomprensibile licenziamento da parte dell'Independiente. Un altro nome che stuzzica i palati dei tifosi del River Plate è quello del Loco Marcelo Bielsa, fresco di dimissioni dalla panchina della nazionale cilena per motivazioni politiche. Questa volta Passarella cosa sceglierà? Il materialismo del Tolo, già autore di un mezzo miracolo sulla panchina del Rojo di Avellaneda, oppure opterà ancora una volta per un allenatore votato ad un calcio altamente spettacolare come Don Marcelo?