La vita di un calciatore alla latitudine di Bilbao è di suo un'esperienza particolare. L'utopia zurigorri ha oneri e onori inscindibili dalla maglia che si indossa per i novanta minuti regolamentari, la quale se fosse ancora senza sponsor sarebbe il veicolo massimo di un certo messaggio di un popolo.
I tempi cambiano, i soldi devono girare, tuttavia il pubblico del (nuovo, a proposito di soldi) San Mames tende ancora a sviluppare un rapporto stretto con i propri giocatori, che sono veri e propri rappresentanti di un movimento. Per questo certe "fughe" da quella che può diventare una prigione nemmeno troppo dorata (in termini di stipendio e vittorie conseguibili) sono vissute sempre con un certo dolore. Vuol dire abiurare, ammainare una bandiera, rifiutare un ideale per smania di realizzazione personale, individuale, spesso concretizzata in assegni corposi. I dirigenti del club, che sanno come gira il mondo, non a caso fissano clausole rescissorie spesso impensabili per i propri gioielli. Comprare una parte di un ideale costa più della sua effettiva rappresentazione fisica.
In questo contesto unico e irripetibile crescono talenti calcistici di sicuro interesse. Vengono svezzati, aspettati e spesso coccolati anche oltre il rendimento effettivo in quanto figli di Bilbao e dell'Athletic. Non sempre messi nelle condizioni migliori, ma pronti a dare tutto.
Oscar de Marcos è esattamente questo: un prodotto dell'ultima generazione di talenti biancorossi pronto a fare quello che gli viene chiesto per la sua squadra.
Classe 1989, esordisce con il Deportivo Alaves nel 2008 prima di passare all'Athletic nella stagione successiva. Malgrado l'impegno fatica a trovare una sua dimensione finchè non incontra sul suo cammino Marcelo Bielsa. Il Loco capisce in fretta che in quella materia grezza c'è un giocatore che fa per lui. La maglia numero 10 vuole essere uno stimolo, ma non è un regalo. Il calcio di Don Marcelo è predicato sul dinamismo, sul movimento verticale degli uomini e della palla e sulla fiducia in un sistema collettivo in cui ognuno porta il suo mattoncino. Richieste esigenti, ma con una finalità collettiva superiore. Nella stagione 2011/2012 de Marcos passa da comparsa quasi dimenticata a titolare e motore della squadra. 57 presenze in una stagione infinita in cui mette in mostra il suo miglior calcio presentandosi di fatto al mondo.
Nel fluido dinamismo dell'allenatore di Rosario si forgia il de Marcos calciatore. Un marchio di fabbrica di qualità, ma che lo lega anche a un destino tecnico particolare. I problemi di ambientamento erano infatti dovuti alla sua dimensione indefinita. Giocatore offensivo di sicuro, ma difficile da inquadrare in un ruolo preciso. Inserito in un contesto di gioco si è trasformato in un jolly, capace di fare bene molte cose e quindi sempre utile.
Oscar nasce come attaccante e ha come caratteristiche distintive la facilità
di corsa, la capacità di inserimento, un buon tiro e la tecnica
individuale. Nel sistema di Bielsa uno così, se disposto al sacrificio e a seguire i dettami tattici, può sostanzialmente fare tutto. E infatti farà tutto, dall'attaccante esterno, al trequartista di inserimento, all'interno di centrocampo, al terzino sinistro (pur essendo destro di piede). L'imprinting sarà forte e la qualità dimostrata nelle varie situazioni notevole. Tanto che anche Valverde, a due anni di distanza, sfrutta il ragazzo a seconda delle necessità.
Nella stagione in corso de Marcos ha giocato terzino sinistro, terzino destro, trequartista, attaccante esterno e perfino falso nueve. Un giocatore che permette varianti tattiche notevoli, capace di portare qualità e impatto in molti modi diversi. Ha il limite di non essere specializzato e quindi non gioca sempre titolare, ma porta il suo mattoncino per il collettivo.
Facilmente de Marcos è destinato a rimanere all'Athletic, anche per la sua clausola rescissoria attorno ai 30 milioni non trattabili, continuando a fare il jolly. Ma vista la sua storia e viste le idee del club probabilmente è giusto così. In nome di un'idea superiore.
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