26 giu 2018
Perché la Roma ha ceduto Nainggolan?
Radja Nainggolan non è più un giocatore della Roma. Il trasferimento all'Inter è ormai (o finalmente, dipende dai gusti) ufficiale e quindi la domanda serpeggia libera tra i tifosi: perché la Roma ha ceduto il belga? Ovviamente la risposta è articolata, ed è impossibile non entrare nel campo delle ipotesi almeno per qualche aspetto.
Innanzitutto partiamo da un punto incontrovertibile: la Roma ha cambiato idea su Nainggolan. Anche abbastanza in fretta per quelli che sono i tempi del calcio per la verità.
Poco meno di un anno fa infatti il centrocampista rinnovava il suo contratto col club, con una mossa in gran parte dedicata proprio a Spalletti, ex tecnico giallorosso appena passato all'Inter e noto amante calcistico del Ninja, non a caso corteggiato a parole dalla dirigenza nerazzurra. La Roma lo blindava più o meno a vita dopo la sua miglior stagione in carriera, facendone di fatto un simbolo e un punto di riferimento. Da qui però le cose sono iniziate ad andare a sud.
Di Francesco non è Spalletti, e nel suo 4-3-3 è venuto meno il ruolo che il toscano aveva ritagliato su misura per il belga. Nainggolan è comunque rimasto un titolare come dimostrano le 42 presenze stagionali per 3580 minuti (quasi mai sostituito), ma la quadratura non ha funzionato così bene. Il rendimento è stato buono, specie nelle partite di cartello, l'impegno sempre presente, ma il calo numerico dei gol fa sempre notizia: da 14 a 6. Un giocatore importante, ma non l'elemento ideale per il nuovo corso. Ed avendo un profilo così alto questo tema sarebbe sempre rimasto sotterraneo e latente, pronto a eplodere.
Il vero spartiacque è l'episodio di capodanno. Con quel famosissimo video Nainggolan diventa ufficialmente un problema nell'ambiente Roma, o qualcosa del genere, per quanto la sua vita privata sopra le righe non sia mai stata un mistero. Una conferma arriva praticamente subito: in pochi giorni il numero 4 sembra a un passo dal trasferimento in Cina. Un fulmine a ciel sereno, un segnale chiaro a chiunque dell'intenzione della Roma di cambiare in qualche modo corso prendendo magari come scusa un video che in altri periodi sarebbe passato in secondo piano. Poi salta tutto e tra l'altro il belga continua a lavorare con ottima professionalità per la sua squadra, ma il dado è tratto.
La cessione finale all'Inter, insomma, parte chiaramente da un'idea societaria, che mischia motivazioni tecniche e comportamentali. E anche economiche, per le solite necessità di bilancio in epoca fpf.
Così si spiega anche la relativa rapidità di una trattativa condotta con una rivale diretta per i posti Champions e il prezzo finale, che per quanto tra cash e contropartite si avvicini ai 40 milioni è notevolmente inferiore ai 75 che si diceva servissero un anno fa. Monchi probabilmente ha visto nell'offerta dell'Inter l'ultima possibilità di monetizzare un giocatore indiscutibilmente forte, ma in calo, che per il suo stile di vita potrebbe anche calare ancora e che essendo del 1988 ha ormai trent'anni. Risolvendo al contempo un "problema" di spogliatoio e/o ambientale.
Nainggolan, dal lato suo, è sicuramente contento di ritrovare Spalletti, il tecnico che più lo ha valorizzato, e quindi le cose filano via veloci.
Ma tecnicamente, alla fine, la Roma ci perde?
Pensando ai soli Santon e Zaniolo, limitandosi quindi alla trattativa con l'Inter, la risposta è chiaramente sì. Il terzino sarà un jolly difensivo e il giovane è un talento, ma parliamo di elementi di complemento. Zaniolo, che sembra avere ottimi colpi e ha già esordito in B con l'Entella, è appunto un giovane tutto da sgrezzare e proiettare tra i grandi. Non è con loro che i giallorossi intendono colmare il vuoto di un loro titolare.
La risposta tecnica, insomma, è negli altri colpi a centrocampo: sta a Cristante e Pastore, oltre che a Pellegrini a meno di una sua cessione, fare un passo avanti e raccogliere il testimone lasciato da Nainggolan. Tutti elementi più giovani del belga, sicuramente più gestibili e più adatti alle idee di Di Francesco, che tra l'altro è abituato a lavorare e valorizzare il materiale grezzo dall'esperienza Sassuolo. L'eccezione è Pastore, ma qui la scommessa è tutta sul talento, e anche questo unito agli acquisti in attacco è un segnale di cambiamento: una Roma più tecnica, malleabile per il suo allenatore, e meno di lotta.
In cui, comunque, servirà trovare un nuovo leader. Perché Nainggolan avrà mille difetti, ma in campo ha sempre fatto la differenza senza alcuna paura di trovarsi al centro dei riflettori.
25 giu 2018
Il Mondiale, le barricate e il problema di attaccarle
Il Mondiale 2018 ha un tratto caratteristico tecnico-tattico ben chiaro: le squadre, che siano grandi o medio-piccole, hanno imparato a giocare in difesa. Le notizie parlano di pochi gol, di big in crisi, di grandi giocatori assenti, ma tutto deriva da questo semplice fatto. Le squadre scarse, o quantomeno più deboli nel contesto, non sono più scarse a 360°, ma hanno imparato a fare una cosa. Difendersi. Magari solo quella, ma intanto.
La conseguenza è che la "big" di turno (tra virgolette perché, ripeto, può anche solo essere la più forte nel contesto) si trova davanti sempre la stessa situazione. Sulla carta il modulo della formazione che sceglie di difendersi (sempre per capirci, lo ha fatto anche la Croazia contro l'Argentina) è sempre con la difesa a tre, poi nei fatti si vede una linea a cinque se non a sei, bassa il più possibile, con tre centrocampisti davanti e uno o due uomini più avanzati, dove per più avanzati si intende al massimo sulla propria trequarti, che sarebbero nominalmente gli attaccanti. Spazi centrali intasatissimi, area piena di corpi che praticamente fanno il ruolo dei dissuasori mobili. Detto in breve, le barricate. Una caratteristica singolarmente beffarda per un'edizione senza l'Italia.
Ordine, compattezza, disciplina, copertura degli spazi: questa cosa la stanno mettendo in campo praticamente tutti (con eccezioni notevoli tipo l'Arabia Saudita e la Tunisia). E questo fatto sta mandando in crisi un po' tutte le favorite.
Una simile organizzazione difensiva infatti porta il chiarissimo dilemma su come trovare spiragli in questa muraglia. Spesso chi ha il possesso finisce per far girare palla in modo sterile e lento, magari tra difensori e mediani circumnavigando il blocco avversario, per poi allargarla verso gli esterni per cercare l'uno contro uno. Che però tende a produrre solo cross pronti ad essere preda dei cento difensori annidiati in ogni metro quadrato dell'area. Uno spartito abbastanza ripetitivo e noioso, che può essere interrotto solo da giocate individuali o collettive di alta qualità o da eventi più occasionali quali ripartenze o giocate fortunate (vedi Diego Costa contro l'Iran). Da qui possiamo dedurre un paio di cose.
Innanzitutto questo non è un segno di impoverimento, anzi. Il calcio è cresciuto nel livello medio ragionando su scala mondiale, e questo ha portato a sviluppare almeno una fase in modo organizzato. Chiaramente la difesa ha il vantaggio di poter essere messa insieme anche se entro i tuoi confini non nascono Iniesta e Cristiano Ronaldo. Le grandi però non si sono fatte trovare esattamente pronte a questa cosa, tradendo una certa pigrizia nell'idea offensiva grazie alla superiorità che da sempre garantiscono i singoli talenti.
Lavorare con le selezioni nazionali è sempre difficile per modi e tempi, ma ugualmente la mancanza di soluzioni, schemi, idee è abbastanza disarmante. Non basta abbassare un mediano per cercare più circolazione o schierare qualche giocatore più offensivo sugli esterni sperando peschi il jolly di giornata. O meglio, può bastare, ma sono soluzioni estemporanee che non portano a vantaggi reali nel medio periodo, perché non è detto si possano replicare. Vedremo una crescita futura in questo senso? Ci sentiamo in Qatar per gli aggiornamenti.
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