25 dic 2010

Rafael Benitez vs. The World

Il 23 Dicembre è arrivata la risoluzione consensuale tra Rafa Benitez e l'Inter, dopo mesi pieni di tante, troppe cose tra cui, meglio non dimenticarlo, due trofei.

Per quello che probabilmente sarà in proporzione al tempo uno degli allenatori più vincenti della storia nerazzurra un addio amaro, duro, nato appena dopo la vittoria del Mondiale per Club. Benitez ha parlato chiaro, come mai prima, togliendosi tutti i macigni dalle scarpe.
"Il Mondiale per club era un appuntamento fondamentale, lo abbiamo centrato e adesso ci deve dare la spinta per il resto della stagione. Questo è un momento di felicità, ma non si può andare avanti così perché ho bisogno del supporto al 100% della società. Quando sono arrivato, la società mi aveva promesso tre acquisti per costruire una squadra ancora più forte, invece non è arrivato nessuno. Sono un professionista serio e merito rispetto per il mio lavoro. Adesso ci sono tre possibili strade: la società fa un progetto e compra 4 giocatori subito a gennaio; andiamo avanti così con l'allenatore come unico colpevole; oppure il presidente parla col mio procuratore e troviamo un'altra soluzione...".
Sappiamo tutti qual'è stata la scelta.

Senza entrare nel merito dei problemi della sua gestione (argomento troppo vasto, variegato e complesso) lo sfogo di Rafa contro il mondo indica a coloro che restano (società e giocatori in primis) degli errori fondamentali, da cui si deve imparare per non ricaderci con altri tecnici.

"[...]non si può andare avanti così perché ho bisogno del supporto al 100% della società.[...]Sono un professionista serio e merito rispetto per il mio lavoro"
Questo è il peccato capitale. Benitez all'Inter è stato un dead man walking dal giorno uno perchè non ha mai avuto la società totalmente dalla sua parte. Si dice che Moratti volesse Capello, fatto sta che il tecnico è stato ben presto delegittimato, e in quel momento ha iniziato a perdere di mano la squadra. Non si può dare un gruppo campione di tutto in mano a un allenatore visto come un suplente, nè rilasciare costantemente dichiarazioni se non proprio contro quantomeno non a favore, specie col fantasma di Mourinho dietro...la piccola crepa iniziale è diventata così un baratro incolmabile.

"Quando sono arrivato, la società mi aveva promesso tre acquisti per costruire una squadra ancora più forte, invece non è arrivato nessuno."
Tralasciando la veridicità o meno della promessa (e di conseguenza il trattamento riservato a Benitez), è importante capire il concetto. A ogni squadra, per quanto forte e vincente, serve rinnovarsi anche solo per portare nuove energie fisiche e mentali, nuova voglia di vincere, nuovi stimoli per un posto da titolare. Oltre a questo, dei nuovi elementi possono essere funzionali al lavoro del nuovo allenatore, sia per motivi tattici che di rapporto umano. Benitez è stato "abbandonato" con una squadra di sicuro sazia, disposta ad impegnarsi davvero solo per Mourinho e solo in certe occasioni, senza vie d'uscita se non i giovani, con tutti i pro e i contro.

Si è fatto di tutto per complicare al massimo una situazione già di suo non facile. Il nuovo allenatore (da ieri sera Leonardo) avrà assoluto bisogno di un nuovo inizio.

13 dic 2010

River Plate: Top&Flop Apertura 2010

Questa notte si conclude per il River Plate il travagliato torneo di Apertura 2010. Fra isolate luci e qualche ombra di troppo la squadra di Jota Jota Lopez proverà a chiudere con una vittoria un semestre per certi versi deludente e per altri di discreto conforto. Se la prima conclusione tratta dal bilancio dell'Apertura è che i Millonarios hanno completamente mancato l'utopistico traguardo scudetto, è altresì un dato di fatto che alla guida di Cappa e, soprattutto, Lopez la Banda ha ben iniziato la rincorsa al vero grande obiettivo dell'annata 2010/2011: la salvezza. Indipendentemente dalla sfida contro il Lanus, il River Plate si presenterà infatti ai nastri di partenza del Clausura fuori dalla zona retrocessione e con un promedio decisamente meno drammatico rispetto a pochi mesi fa.

TOP
Matias Almeyda: il capitano, l'anima e il cuore del River Plate. C'era chi invocava un suo pronto ritiro già a luglio e chi, come Cappa, lo aveva già espressamente messo ai margini della squadra per puntare su gente fresca. Sbagliato. Il Pelado ha messo tutti in riga conquistandosi il posto da titolare, zittendo le malelingue e godendosi la pubblica ammenda da parte di Don Angel.

JP Carrizo: c'è un oceano di mezzo fra Roma e Buenos Aires, come ce n'è uno fra le sue prestazioni in terra italica e quelle al Monumental. Juan Pablo lì si trasforma e torna ad essere il miglior portiere argentino, un mix di esuberanza, esplosività e personalità in grado di decidere qualsiasi partita (va detto, nel bene e qualche rara volta nel male).

Erik Lamela: la rivelazione del torneo di Apertura. Nonostante prodezze su prodezze fra le Riserve Cappa non lo vedeva pronto per la prima squadra e soltanto una fortunata serie di coincidenze lo ha proiettato in un viaggio di sola andata fra i grandi. Prima relegato sulla fascia sinistra, poi, con l'arrivo di JJ Lopez, è tornato nel ruolo di trequartista che più gli compete. Talento cristallino, su di lui si stanno già scatenando tutti i top club del vecchio continente.

Jonathan Maidana: arrivato come uno dei pezzi meno pregiati del mercato invernale (estivo, per noi europei), Johnny ha fatto dimenticare l'onta di aver giocato nel Boca nel migliore dei modi, segnando il gol decisivo proprio nel Superclasico contro gli Xeneizes. Questo è stato però soltanto l'apice dell'ottimo semestre di Maidana, fin da subito leader difensivo di una retroguardia che prima del suo arrivo era fra le più improponibili del panorama argentino.

Roberto Pereyra: il Tucu è con ogni probabilità uno dei talenti più sottovalutati del campionato argentino. Buonissima tecnica, dribbling fulminante, capacità aerobiche sopra la media e tanto spirito di sacrificio fanno di lui un esterno estremamente completo in grado di giocare sia a destra che a sinistra. Messo inspiegabilmente da parte sul finire dell'era Cappa, con l'arrivo di Juan José Lopez è tornato prepotentemente alla carica, riconquistandosi un ruolo da titolare e giocando un Superclasico sensazionale.

Manuel Lanzini: viste le premesse questo doveva essere il suo semestre, ma un problema muscolare lo ha tenuto ai margini per un lungo periodo e la Joya ha avuto occasione di mettere in mostra soltanto sprazzi del suo enorme talento. Ciò nonostante merita di essere fra i Top, perchè giocare nel River Plate con la sua personalità e qualità a soli 17 anni è da talento assoluto.

Mariano Pavone: grinta, tenacia, forza fisica e tanto tanto cuore. Sono mancati un po' di gol, ma l'Apertura del Tanque è di ottimo livello ed invita i dirigenti Millonarios a riscattare prontamente il suo cartellino, perchè al River mancava da tempo un giocatore in grado di reggere da solo il peso di un intero reparto.

JJ Lopez: doveva essere il tecnico ad-interim per il solo Superclasico, alla fine i buoni risultati gli hanno permesso di finire il torneo alla guida del suo River Plate. La vittoria contro il Boca Juniors potrebbe essere già sufficiente per spiegare la scelta di annoverarlo fra i migliori, ma Jota Jota ha fatto molto di più, portando il River ad un livello meno filosofico e decisamente più materialista: l'unica soluzione per accompagnare la squadra lontano dalla zona calda del promedio.

FLOP
Angel Cappa: il timore c'era e si è ben presto concretizzato. Il Filosofo ha bisogno di tempo e fiducia per plasmare una squadra con la sua stessa identità di gioco ed è un allenatore troppo idealista per un River che versa in queste condizioni. Purtroppo nei mesi trascorsi sulla panchina dei Millonarios Cappa sarà soprattutto ricordato per i tanti proclami, per i litigi con la classe arbitrale e per qualche mirabile intervento sul suo blog, mentre in molti preferiranno nascondere e fingere di dimenticare il ricordo della squadra senza anima, senza equilibrio e senza alcuna certezza vista negli ultimi tempi della sua gestione. Non v'è stata ombra del decantato tiki-tiki, vuoi per mancanza degli uomini giusti, vuoi per mancanza di tempo, ma in fin dei conti questo River di tempo non ne ha e lottare contro i mulini a vento con la convinzione che il solo aspirare a proporre un gioco formato Barcellona sia sufficiente a giustificare delle prestazioni alle volte imbarazzanti non sembra una scusante attualmente valida.

Paulo Ferrari: ha iniziato la stagione con gli occhi del DT della Seleccion Batista puntati su di lui e ha risposto con prestazioni piuttosto convincenti, ma nel lungo periodo il rendimento del Loncho è stato una delle cose più imbarazzanti proposte dalla Banda nel torneo di Apertura 2010. Da possibile candidato per un posto nell'Albiceleste, Ferrari si è ben presto rivelato uno dei veri anelli deboli della formazione titolare del River Plate. Per qualche inspiegabile ragione superiore o per mancanza di sostituti, è un intoccabile ed è difficile ricordare critiche pubbliche nei suoi confronti, tuttavia è impossibile dimenticare la fiera dell'orrore messa in mostra anche in questo semestre: diagonali inesistenti, marcature pressapochiste, incursioni offensive dalla totale inefficacia e soprattutto tremendi lapsus difensivi cui è tuttora difficile trovare una spiegazione.

Ariel Ortega: l'opposto di Matias Almeyda. Ha un'autonomia di mezz'ora eppure non accetta di essere sostituito, perde palloni e regala contropiedi agli avversari con una facilità disarmante, fatica sempre più a vedere la porta e soprattutto rallenta la manovra dell'intera squadra. Il problema di Ariel è che sembra non aver accettato l'età e il fisico che ormai si ritrova e insistendo in continuazione nella ricerca della giocata decisiva anzichè in quella utile, non fa che penalizzare la squadra. Il triste epilogo dell'Apertura, con il nuovo crollo nei suoi tristi quanto delicati problemi personali, non fa che suggerire un finale amaro.

Facundo Affranchino: tutti si aspettavano qualcosa di più dall'esterno nel mirino dell'Udinese. Dopo un buon inizio ha però perso di incisività e continuità, finendo relegato fra le fila della Reserva.

GR Funes Mori: lo avevamo lasciato con quattro reti nelle battute finali del Clausura, lo abbiamo ritrovato nuovamente a suon di gol ad inizio Apertura. Poi, purtroppo, il semestre di Funes Mori è stato una parabola discendente durante la quale il Melli ha perso fiducia, autostima e anche parecchia fortuna. A corto di gol ha faticato a trovare un posto in squadra e neanche l'arrivo di un tecnico attento ai giovani come Lopez gli ha permesso di rilanciarsi. L'interesse su di lui rimane altissimo e difficilmente Passarella resisterà a lungo alla corte dei numerosi club europei presentatisi a Nunez.

Diego Buonanotte: fa male inserirlo in questa parte della lista, ma il rendimento dell'Enano nell'Apertura 2010 ha presentato ben pochi aspetti positivi. Il feeling con Cappa non lo ha aiutato a riprendersi dai terribili problemi personali e quella che doveva essere la stagione del suo rilancio è per ora la continuazione di un brutto sogno da cui Diego dovrà cercare di svegliarsi con personalità, forza, coraggio e soprattutto con l'aiuto della gente che non ha mai smesso di sostenerlo.

Leandro Caruso: al suo arrivo si sono subito create la fazione che lo vedeva come nuovo Fabbiani e quella che invece lo riteneva un giocatore in grado di dare un importante contributo sul terreno di gioco. Chi ha vinto? Nessuno, perchè Leandro ha vissuto una stagione completamente ai margini, vittima di continui infortuni che non gli hanno mai permesso di trovare la giusta continuità di rendimento. Per ora la sua è una bocciatura, ma più avanti potrebbe regalare qualche soddisfazione al popolo del Monumental.

La Gata

Chi ha visto River Plate - Estudiantes avrà certamente impresso il ricordo di un biondino col numero 10 con la faccia tosta di battibeccare a lungo con Matias Almeyda. In più quel biondino qualche minuto prima aveva scagliato un destro terrificante da 25 metri che si era stampato sul palo nel silenzio del Monumental.

Il ragazzo attualmente dell'Estudiantes è Gaston Fernandez, detto la Gata, e calca da diversi anni il palcoscenico del calcio sudamericano. Classe '83 cresce nelle giovanili proprio del River Plate ed esordisce in prima squadra nel 2002-2003. Qui iniziano le sue peregrinazioni, che lo portano di fatto a cambiare una squadra all'anno, passando per Racing Club di Avellaneda, Monterrey in Messico, San Lorenzo, Tigres (sempre Messico), Estudiantes, ancora Tigres e ancora Estudiantes. Talento senza fissa dimora, riesce a vincere il Clausura 2003 col River (da esordiente, 8 presenze e 1 gol), il Clausura 2007 col San Lorenzo (da grande protagonista con 9 gol, insieme a Ezequiel Lavezzi), la Copa Libertadores 2009 con l'Estudiantes (con gol in finale), la Superliga col Tigres sempre nel 2009 e infine l'Apertura 2010 con l'Estudiantes.

A 27 anni sembra aver trovato la sua dimensione e un pò di continuità, come testimoniano i 7 gol in 10 partite.
Classica seconda punta agile con tecnica da vendere, abile a muoversi tra le linee e a saltare l'uomo ha pagato in carriera la discontinuità e un carattere un pò particolare (per questo Passarella nel 2003 decise di cederlo). Il talento è sempre stato evidente. Grande capacità di rifinire il gioco e valido nel tenere la palla, non è mai stato un grande goleador (tranne al San Lorenzo e al Tigres, dove ha segnato con buona continuità) anche per la sua tendenza a "uscire" mentalmente dalla partita in certi momenti, ma spesso ha segnato gol belli e importanti. La sua vittima preferita, manco a dirlo, il Boca Juniors a cui ha segnato con tutte le sue squadre in Argentina.

Cosa gli dirà la testa in futuro non è dato saperlo. Ma finchè gioca sarà un buon motivo per seguire l'Estudiantes.

7 dic 2010

Mi hanno sempre detto che...

Mi hanno sempre detto che il Pallone d'Oro lo vince un giocatore che ha disputato una grande stagione a livello personale e ha vinto con la sua squadra.
Nello specifico, mai è stato sufficiente vincere in generale, ma quasi un obbligo vincere trofei internazionali come la Champions League, massima competizione continentale per club, Europei o Mondiali con la nazionale. Questo genere di imprese ha sempre portato grandissima visibilità e anche vagonate di voti.

Per il Pallone d'Oro 2010, primo Pallone d'Oro Fifa, si sa che il vincitore sarà uno tra Andres Iniesta, Xavi Hernandez e Lionel Messi, cuore pulsante del Barcellona e quindi massima espressione di quel calcio moderno che ha nella Catalogna (e per estensione e "travaso" calcistico nella Spagna) la sua bandiera più alta.
Di sicuro tre grandissimi campioni, ma di fatto tre nomi a loro modo imperfetti.

Per tutti e tre ricordiamo un paio di cose: il Barcellona ha vinto la Liga e la Supercoppa di Spagna ed è stato eliminato in semifinale di Champions League. Il suo massimo splendore si è visto in campionato (compreso il recente 5-0 al Real) più che in Champions, dove ha sofferto anche in un girone sulla carta facilissimo.
Adres Iniesta ha "vinto" il suo Pallone d'Oro il giorno di Spagna-Olanda, segnando il gol decisivo nel supplementare. Quel singolo episodio lo ha di fatto elevato a candidato principe per il premio. Non importa che non abbia giocato praticamente mai da Maggio 2009 per i più vari problemi fisici, da cui ha recuperato in extremis proprio per la Coppa. Non si doveva premiare la stagione migliore? Evidentemente basta un gol nella partita giusta, ha più copertura mediatica.
Xavi, a causa dell'assenza del "gemello" Iniesta, ha tenuto in piedi da solo per tutto l'anno il centrocampo del Barcellona, ma non ha avuto un acuto pari al suo ai Mondiali. E' da sempre il motore (tremendamente vincente) di ogni squadra in cui gioca, il vicecapitano del Barcellona e il miglior giocatore di Euro 2008. Ma il Pallone d'Oro non è mai stato un riconoscimento alla carriera. Fino a oggi.
Messi è il Pallone d'Oro uscente, nonchè il miglior giocatore del mondo, faro assoluto di un Barcellona sempre più plasmato su di lui. 47 gol in 53 partite sono un bottino mostruoso, capocannoniere della Champions, pichichi della Liga e futura Scarpa d'Oro. Ma ai Mondiali? Uno dei più grossi flop della manifestazione, l'ombra del fratello di se stesso, come praticamente sempre quando indossa la camiseta albiceleste. E come, del resto, nella doppia sfida in semifinale di Champions League con l'Inter.

Si poteva scegliere meglio.
Wesley Sneijder, ma anche Diego Forlan, Thomas Muller o Bastian Schweinsteiger non meritano così poca considerazione per la sola colpa di non vestire blaugrana.
Non hanno vinto meno dei candidati, hanno solo meno pubblicità e nessun movimento alle spalle.
In particolare l'olandese era visto come il favorito assoluto, prima di Spagna-Olanda. Fresco tripletista con l'Inter (Champions League inclusa, ricordiamolo, con annessa eliminazione del Barcellona), miglior centrocampista e assistman della Champions League, trascinatore assoluto dell'Olanda ai Mondiali con 5 gol (co-capocannoniere con Villa, Muller e Forlan). Ma ha perso la finale, e tutto se n'è andato con la Coppa...
Non regge nemmeno la scusa degli ultimi mesi sottotono (contro presunte grandi prestazioni da Barcellona), perchè da quando esiste questo premio la seconda parte dell'anno non ha mai contato granchè nei voti.

Dopo Diego Milito, il secondo grande assente in questo premio dove certi parametri contano. Quando si vuole e per chi si vuole. Così mi hanno detto.

6 dic 2010

Erik Lamela

Ci provo, ma parlare del Coco in questi giorni non è particolarmente facile. Perchè? Perchè è semplicemente il giocatore del campionato argentino del momento, il crack su cui tutti hanno gli occhi, il nuovo Messi e il nuovo Pastore. E' la sensazione del River Plate e come purtroppo succede nella stragrande maggioranza dei casi si stanno già sprecando paragoni pesanti, tessendo lodi immeritate e predestinando futuri eccessivamente rosei. Tuttavia, senza la pretesa di erigermi a giudice supremo, credo sia ora di fare un po' di chiarezza su questo fantastico talento.

Non ho scelto casualmente la parola "talento", poichè è da questa che è necessario partire per parlare di Lamela, un giocatore ancora molto acerbo ma dalle qualità cristalline, con dei colpi da autentico fuoriclasse ed un sinistro già di categoria superiore; ma anche un ragazzo ancora discontinuo, con lacune evidenti e tanta inesperienza che lo porta spesso a commettere errori estremamemente banali. E' bastata una visita in Argentina da parte di Ariedo Braida per far passare questo campione potenziale in uno già affermato, quando neanche 48 ore fa stava segnando la sua prima rete da professionista grazie ad un delizioso pallonetto a scavalcare il portiere in uscita a coronamento di una splendida azione corale dei Millonarios. Lo bruceranno? Per fortuna se c'è una cosa certa riguardo ad Erik è che con questa pressione ci convive da anni, da quando il Barça fece esplodere un mezzo caso diplomatico per trasferire lui e la sua famiglia in Catalogna e di colpo si ritrovò catapultato fra apparizioni televisive ed interviste sulla carta stampata. Chi non si ricorda il biondino con la coda di cavallo? Chi non ha pensato che sarebbe ben presto finito nel dimenticatoio come molti altri baby-fenomeni prima di lui?

Dopo il tornado mediatico Lamela ha perso il posto da titolare nell'annata '92, scavalcato nelle gerarchie da Juan Montero e soltanto qualche anno fa, dopo una sorprendente crescita a livello fisico, è tornato prepotentemente in auge. Alla guida di una squadra incredibilmente ricca di talenti ha conquistato trofei in patria e all'estero, faticando tuttavia ad imporsi nel giro della prima squadra. Bou e Villalva gli sono stati spesso preferiti e il Coco si è ritrovato a dover affrontare un lungo apprendistato tra le Riserve: un male? Niente affatto, perchè in questo modo ha avuto la possibilità di non affrettare i tempi di maturazione, compiendo importantissimi progressi dal punto di vista caratteriale, fisico e della disposizione al sacrificio.

L'esordio è arrivato nel 2009, in occasione di un River-Tigre conclusosi tre a uno in favore della Banda -reti di Fabbiani, Falcao e dell'uomo partita Robert Flores, meteora uruguaiana in prestito dagli spagnoli del Villarreal-, ma soltanto da questo semestre Erik è entrato in pianta stabile nel giro della prima squadra. Mai tenuto in considerazione da Astrada, soltanto una fortunata serie di infortuni e squalifiche ha costretto Cappa a schierarlo in campo come esterno sinistro: nonostante le ottime prestazioni nel campionato delle riserve il Filosofo non lo riteneva infatti pronto per un impiego in prima squadra e si mormora che soltanto la costante pressione dei suoi collaboratori lo abbia convinto a riguardo. La momentanea consacrazione è arrivata tuttavia con Jota Jota Lopez, l'allenatore attuale del River Plate, nonchè coordinatore delle giovanili dei Millonarios. Chi meglio di lui può conoscere Lamela? Non è infatti un caso se all'esordio sulla panchina della Banda in occasione del Superclasico ha restituito ad Erik il suo ruolo naturale dietro alle punte, concedendogli totale libertà d'azione e fiducia incondizionata, ripagate da una partita di qualità e grande personalità.

Tuttavia è ancora presto per tessere lodi esagerate e azzardare qualche paragone un po' troppo forzato, poichè il trequartista nato nella Provincia di Buenos Aires, in questa decina di partite, ha evidenziato tante luci ed altrettante ombre. Le sue qualità sono ormai note: piede fatato, dribbling infallibile, calci da fermo magistrali, controllo di palla delicatissimo e doti tecniche fuori dal comune, abbinati ad un buon spirito di sacrificio ed una nuova discreta duttilità. Ma non ha ancora messo in mostra la sua visione di gioco, la capacità di fornire deliziosi assist ai compagni e finora ha evidenziato una certa tendenza a perdere qualche pallone di troppo in improbabili azioni solitarie. Può e deve pensare più velocemente, capire quando è il caso di cercare la giocata ad effetto o quando è meglio proporre un calcio semplice ed essenziale e soprattutto non deve farsi influenzare dall'ambiente esterno: qualche volta ha infatti dato l'impressione di abbattersi troppo facilmente per qualche mormorio seguito ad un suo errore.

La partita contro il Colon di Santa Fé è stato un chiaro esempio di ciò che in grado di fare e la rete messa segno contribuirà sicuramente ad allentare la pressione e a giocare con maggior tranquillità. Nel frattempo, dopo avergli fatto firmare un contratto che prevede una clausola di rescissione di venti milioni di Euro, il presidente Passarella dovrà resistere agli assalti di mezza Europa per lui e per Funes Mori, altro talento ricercatissimo nel vecchio continente.

30 nov 2010

La partita perfetta

BARCELLONA-REAL MADRID 5-0
10' Xavi (B), 18' Pedro (B), 55', 58' Villa (B), 90' Jeffren (B).

Il Barcellona ci teneva. Era secondo in campionato e aveva perso agli occhi di tutti lo status di squadra più forte del mondo. Potere di una sconfitta in semifinale di Champions League, potere delle alchimie di Josè Mourinho come allenatore dell'Inter tripletista prima e del Real Madrid poi.
Proprio quel Mourinho che qui è nato, e come figliol prodigo traditore odiato come nessun altro, portava al Camp Nou quella squadra blanca acerrima rivale sia sportiva, perchè parliamo di numeri uno e numeri due, sia politica in quanto squadra del Re e della Spagna per eccellenza.
Il Barcellona ci teneva perchè negli ultimi anni ha conquistato il campionato grazie a grandi vittorie sul Madrid, ma coi risultati più roboanti sempre fuori casa. Che danno certo gusto, ma godere in 100.000 è tutt'altra cosa.
Il Barcellona ci teneva per il suo allenatore Pep Guardiola, così giovane e così vincente, che doveva dimostrare di fronte al numero uno assoluto di poter dire la sua.
Il Barcellona ci teneva per Leo Messi nella sua eterna lotta con Cristiano Ronaldo per il trono di migliore al mondo.
Il Barcellona ci teneva per il suo calcio, la sua filosofia, il suo essere mes que un club.

E in campo ha messo tutto.
Poche partite come questa si prestano alla definizione di lezione di calcio.
Il Real neogalactico è rimasto in campo 18 minuti, il tempo di prendere i primi due gol. Da quel momento in poi monologo blaugrana. Decine e decine di passaggi consecutivi, movimenti ovunque, scambi in fazzoletti di campo in ogni modo consentito dal regolamento e altri tre gol, giusto per completare una storica manita.
Il Real in tutto questo non ha potuto fare altro che finire soffocato dalla marea blaugrana. Incapace di creare gioco per l'asfissiante pressing catalano, incapace di difendersi dai letali tagli in verticale delle punte avversarie, incapace di sfruttare i suoi talenti stretti nella morsa d'acciao di capitan Puyol hanno opposto la sola resistenza di molti falli di pura frustrazione, testimoniati dai sette ammoniti più l'espulso Sergio Ramos, che diventa suo malgrado massimo simbolo della mortificazione di casa Mourinho
Folle l'atteggiamento del ragazzo andaluso, che a fine partita perde completamente la testa rifilando un calcione da dietro a Messi (a quanti italiani è balenato in mente Totti? vedremo qui che squalifica troverà il giocatore) e mettendo le mani in faccia a Puyol e Xavi, suoi compagni di nazionale. Un episodio che di certo non si chiuderà qui...

"Dedico questo successo a Reixach e Cruyff che sono quelli che ci hanno mostrato la via. Questa è la vittoria di tutti coloro che in 15 anni hanno creduto a questo modo di giocare a calcio. In nessuna parte del mondo c'è una società che vince così tanto puntando sui ragazzi della terra da cui proviene. E' vero che si tratta solo di una partita e che sono solo tre punti in più in classifica, ma vincere in questo modo è qualcosa che ci porteremo dietro per parecchio tempo".
Le parole di Guardiola a fine partita sottolineano ancora che la filosofia-Barcellona ha un origine, uno svolgimento e un obiettivo ben preciso.

Saranno arroganti, ma questi sanno giocare a calcio.

28 nov 2010

Un club esclusivo, parte seconda

O "corollario a http://aguantefutbol.blogspot.com/2010/09/questione-di-ruolo-parte-seconda.html".

Manchester United - Blackburn Rovers 7 - 1

Marcatori: 2' D. Berbatov, 23' J. Park, 27' D. Berbatov, 47' D. Berbatov, 48' Nani, 62' D. Berbatov, 70' D. Berbatov, 84' C. Samba

Dimitar Berbatov realizza 5 gol in una sola partita, raggiungendo Jermaine Defoe, Andy Cole e Alan Shearer nel'esclusivissimo olimpo dei bomber in grado di realizzare un simile exploit in Premier League. A conferma che, quando vuole, il 9 che porta sulle spalle non è li per caso.

25 nov 2010

Denis Alibec

La perenne situazione d'emergenza in cui vive l'Inter ha portato domenica scorsa all'esordio un ragazzo nato in Romania il 5 Gennaio 1991 che, c'è da scommettere, con la squalifica di Samuel Eto'o troverà ulteriore spazio nelle prossime partite.

Denis Alibec è arrivato un anno fa nelle giovanili nerazzurre come acquisto di alto profilo, alla luce di una spesa di quasi un milione di euro per strapparlo al Farul Costanza (tanto per capirci, Balotelli costò 350.000 euro). Procuratori importanti (quei fratelli Becali che hanno in mano tutto il calcio rumeno che conta), aspettative di livello, talento sicuro.
La sua prima stagione in Primavera si rivela di ambientamento. Non riesce a imporsi come titolare fisso anche per la presenza di un tridente collaudato comandato da Stevanovic e Destro proprio nei ruoli più congeniali per lui, riesce tuttavia a lasciare il segno con presenze e gol. Il momento più alto è rappresentato di sicuro alla doppietta al Bayern Monaco nella partita organizzata tra giovani dal '91 in giu il giorno prima della finale di Champions League.
Nella stagione in corso le cose cambiano. La Primavera nerazzurra subisce un rinnovamento corposo, e Alibec rimane uno degli unici tre giocatori classe '91 (uno per ruolo) in rosa. Con anche la fascia di capitano, diventa il punto di riferimento offensivo della squadra, e anche l'uomo più atteso. L'inizio è lento fin dal ritiro con la prima squadra, e il giocatore sembra faticare a carburare e mettere in campo tutto il suo talento. Dopo qualche partita arriva la condizione fisica e il ragazzo risponde con una presenza costante nelle azioni da gol e nel gioco, fino alla convocazione forzata dall'emergenza in panchina contro il Cagliari. Da quel giorno si ha un'ulteriore evoluzione per qualità delle giocate, numero di gol e carisma sul campo.

Alibec è un giocatore atipico, il paragone più pertinente è forse col primo Adriano visto all'Inter. Fisico già pronto per la Serie A, gran mancino in un'unione esplosiva di tecnica e potenza. Capace di giocare prima punta o esterno (principalmente a sinistra) nel tridente, prima o seconda punta in un attacco a due, ha caratteristiche un pò per tutti i ruoli, pur non risultando perfetto in nessuno. Preferisce giocare fronte alla porta e sfrutta poco il fisico nel difendere la palla (anche se all'esordio col Chievo si è mosso bene da prima punta pura, segnando forse un'ulteriore passo avanti), ma grazie alla sua grande tecnica e capacità di leggere il gioco risulta spesso letale sia nell'uno contro uno coi difensori, sia nel servire gli inserimenti dei compagni. Bravo a muoversi nel dettare i passaggi e ad aprire gli spazi, dice la sua nel gioco aereo ed è pronto a smarcarsi in area e finalizzare. Tende a essere un pò egoista e a credere un pò troppo nel suo tiro quando gioca da esterno, ma del resto è una punta.

Un anno fa il suo procuratore disse che si sarebbe preso un posto da titolare nell'Inter. Benitez non si è fatto problemi a schierarlo in una situazione difficile a Verona. Quanto giocherà adesso?

22 nov 2010

I 5 casi di imputazione a carico di Rafa Benitez

1-Preparazione atletica inadeguata, mezza squadra è ai box per problemi muscolari, gli altri hanno una condizione altetica ridotta ai minimi termini. Anche chi non è stato infortunato, come Sneijder, non ha mai trovato la condizione migliore.

2-Squadra molle e senza carattere, anche negli anni bui la capacità dell'Inter era quella di recuperare e ribaltare partite che sembravano ormai perse. Oggi questo non accade più.

3-Filosofia di gioco troppo rigida, è venuto per portare i suoi diktak (possesso palla, pressing alto e squadra molto aggressiva) ma una volta che ci si è accorti del fallimento del suo progetto, probabilmente anche per giocatori poco utili per una filosofia del genere, si doveva cambiare e non lo si è fatto. Remember Mourinho e il 4-3-3?

4-Poca capacità di leggere le partite, non è quasi mai riuscito a dare la svolta alla gara con un cambio, a livello tattico o di giocatori (quante volte è successo l'anno scorso?)

5-Un carattere forse troppo accondiscendente che lo ha portato giorno dopo giorno a incrinare i rapporti con il gruppo. Ha sbagliato in principio, quando di fronte alle richieste di Eto'o e Sneijder ha cercato per prima cosa di accontentarli, non facendo il bene del gruppo.

17 nov 2010

Superclasico: le pagelle

River Plate 8

JP Carrizo 7,5
Nessuna parata difficile, ma da tanta importante sicurezza alla retroguardia bloccando palloni insidiosi e non concedendo nulla sugli spioventi in area.

Maidana 8
Gol vittoria e marcatura implacabile sul pericolo numero uno Martin Palermo. Conferma ancora una volta la regola dell'ex.

Ferrero 6,5
Ordinato e senza sbavature, non concede nulla agli avversari trasmettendo la solita carica ai compagni.

Roman 6
Il meno positivo della linea difensiva. Ha qualche incertezza ed è poco preciso nel far ripartire la manovra.

Almeyda 8
Rientro dopo un lungo stop e partita sontuosa. E' un leone, è il River Plate. Anima e cuore di questa squadra, è tutto ciò che un tifoso vorrebbe vedere su un campo di calcio.

Acevedo 8
Diga insuperabile e polmoni d'acciaio, assieme a capitan Almeyda domina la sfida a centrocampo. La partita della svolta nella sua avventura con i Millonarios?

Ferrari 5,5
Il peggiore fra i titolari del River, si lascia alle spalle un po' troppi spazi e per sua fortuna i giocatori del Boca non ne approfittano a dovere. Inconcludente anche in fase offensiva.

Pereyra 8
Una costante spina nel fianco per la retroguardia Xeneizes, salta l'uomo con facilità e forza fisica impressionanti. Il lavoro in copertura è fondamentale e diventa lecito chiedersi il perchè della sua esclusione ai margini ad opera di Cappa.

Lamela 7
Primo Superclasico ed inevitabili errori quasi banali dovuti all'enorme pressione. Nonostante ciò dispensa giocate d'alta scuola rendendosi pericoloso in più occasioni.

Ortega 6
Lotta e cerca di inventarsi alcune delle sue magie, ma è troppo incostante e i difensori del Boca riescono a prendergli in fretta le misure. Finisce presto la benzina.

Pavone 7,5
Partita di sacrificio, ma che partita. Inscena una battaglia campale con i centrali di Borghi e esce, claudicante, da grande vincitore. Non si ferma un secondo, non regala un pallone e conquista tanti preziosissimi falli.

Arano 6
Ordinato, entra al posto di uno sfinito Pereyra per dare ancora più copertura sulla fascia sinistra.

Buonanotte 5
Non entra mai in partita, perdendo troppi palloni e lasciandosi vincere troppo in fretta dal nervosismo.

Funes Mori 4,5
Sbaglia tutto sprecando alcuni contropiedi clamorosi. Non un bel modo per ripresentarsi in un Superclasico sei mesi dopo aver sbagliato l'impossibile alla Bombonera.

All. J.J.Lopez 9
Formazione perfetta, cambi puntuali e logici. Carica l'ambiente già nel settimana trasmettendo sicurezza e grande voglia di vincere. Merita ancora molte chance.




Boca Juniors 4

J.Garcia 6,5
L'ultimo baluardo, si arrende soltanto all'imprendibile incornata di Maidana. Compie qualche grande intervento e quantomeno non fa rimpiangere la decisione di Borghi di non convocare il titolare Lucchetti.

Cellay 5
Il Samurai soffre fin da subito le avanzate di Pereyra e non riesce a prendergli le misure neanche con l'aiuto di Mendez.

Caruzzo 5,5
Il migliore della retroguardia del Boca Juniors fino al vantaggio del River Plate. E' lui infatti che dovrebbe marcare Maidana.

Insaurralde 5
Come Cellay e gli altri compagni della difesa è per novanta minuti in difficoltà. Il solo Pavone tiene lui e Caruzzo in costante allarme.

C.Rodriguez 5,5
Parte bene sfruttando gli spazi lasciati alle spalle degli esterni di centrocampo dei Millonarios per poi spegnersi lentamente quando il River Plate sale di tono.

J.Mendez 4,5
Dopo pochi minuti affronta faccia a faccia Almeyda, ma il suo miagolio può ben poco contro il ruggito di Matias. In compenso riesce a farsi odiare ancora di più da uno stadio che già di suo non la adora particolarmente. Innervosito e frustrato commette errori elementari.

Battaglia 5
Seba può ben poco da solo contro il centrocampo del River Plate. Lamela e Ortega sono bravi a muoversi tra le linea e l'azione è ben supportata centralmente anche da Almeyda e Acevedo. In clamorosa inferiorità numerica deve arrendersi presto anche lui.

Gimenez 5,5
Fa poco, ma sufficiente per meritarsi un voto leggermente superiore ai compagni.

Riquelme 4
Era l'uomo su cui faceva affidamento tutto il popolo Xeneizes, ma dopo pochi minuti deve arrendersi ad un infortunio. Decide di rimanere in campo per un tempo intero, condannando la sua squadra a giocare praticamente con un uomo in meno.

Mouche 5
Come sempre mostra sprazzi delle sue qualità, risultando però inconsistente ed eccessivamente incostante. Non giocava da tempo e l'infortunio di Viatri gli ha concesso una grande opportunità che non ha saputo sfruttare.

Palermo 5
Abbandonato fra i tre centrali del River cerca di lottare sui continui lanci lunghi provenienti dalle retrovie, ma può ben poco.

Chavez 6
Il migliore del Boca, quando entra in campo cerca di proporsi e di inventare qualcosa, ma alla lunga perde fiducia e si arrende assieme ai suoi compagni. Pericoloso sul finale con un tiro dal limite che fa tremare i tifosi di casa.

Monzon 5
Parte benino, si spegne troppo in fretta.

Viatri 5
Non sta bene e si sapeva, è la mossa della disperazione di Borghi che purtroppo non funziona.

All. Borghi 4
Era appeso ad un filo prima della partita, inutile dire che la sua breve esperienza alla Bombonera sia praticamente conclusa. Difficile trovare un modo peggiore per salutare: sconfitta nel Superclasico senza praticamente lottare.

Super-River, finalmente

Alla fine è arrivato anche il momento del River Plate: dopo troppo tempo senza battere i rivali di una vita, nel momento peggiore possibile la Banda batte il Boca Juniors 1 a 0 e può dare una svolta decisiva ad una stagione in cui l'obiettivo fondamentale è la salvezza. Una vittoria strameritata quella ottenuta dai Millonarios, una vittoria di cuore, carattere ed orgoglio il cui principale artefice è senza ombra di dubbio Juan José Lopez.

Jota Jota ha avuto l'occasione che attende da una vita e non l'ha buttata via. Doveva essere il tecnico ad-interim in attesa di Gallego o del sogno proibito Marcelo Bielsa, poi, sfumati entrambi, doveva essere il tecnico ad-interim "soltanto" per il Superclasico e nonostante il trionfo contro gli Xeneizes continua a ripetere con umiltà: "Sono al River per essere il direttore del Settore Giovanile e quello è il mio compito". Ma chi crede a JJ Lopez? Adesso c'è un altro Clasico contro il San Lorenzo del grande ex Ramon Diaz e se il River dovesse ottenere un risultato positivo il tecnico di Buenos Aires rimarrà sulla panchina almeno fino alla fine del torneo.

L'addio di Angel Cappa ha lasciato il River in una situazione a dir poco problematica. Squadra priva di certezze, di stabilità e di personalità, Lopez, in settimana, ha dovuto svolgere un enorme lavoro su tutta la linea. Aiutato dal rientro del sempre più sensazionale Almeyda, Jota Jota si è tuttavia limitato a schierare un unidici ordinato ed equilibrato, optando per un ritorno alla difesa a tre ripudiata da Cappa e affiancando al Pelado Walter Acevedo. E' probabilmente questa la scelta che ha consegnato le chiavi della partita al River Plate, perchè i due centrali di centrocampo hanno dominato l'incontro, sovrastando i rivali Azul y Oro sotto ogni punto di vista. Grinta, potenza, dinamismo ed eccezionale acume tattico hanno permesso ad Almeyda e all'ex-Independiente di proteggere la difesa e di supportare costantemente la manovra offensiva, aiutati sulla sinistra da un Roberto Pereyra in brillantissima forma. Il Tucumano ha fatto il bello e il cattivo tempo sulla sua fascia di competenza, saltando gli avversari con disarmante facilità e sfiancandosi in un preziosissimo lavoro di copertura: l'ennesima conferma di quanto sia sottovalutato in ottica europea.

Davanti prove maiuscole anche per Pavone e Lamela. Il Tanque ha giocato un'ammirevole partita di sacrificio, lavorando per la squadra quanto un mediano, battagliando con i centrali del Boca e guadagnando preziosissimi falli; mentre il Coco ha dato ancora una volta dimostrazione di una classe nettamente sopra la media. Ecco un altro merito di JJ Lopez: conosce le giovanili, conosce meglio di chiunque altro i tanti talenti aggregati alla prima squadra del River Plate e quindi non ha pensato mezzo secondo a riportare Lamela sulla trequarti, libero di agire e lontano da limitanti vincoli tattici.

In panchina Juan José è uno spettacolo nello spettacolo. Sguardo concentrato, teso, ma comunque fiducioso. Si agita, continua a camminare, non smette per un secondo di dare indicazioni e soprattutto di caricare i suoi. A tratti sembra un bambino di fronte all'albero di Natale che continua a sorridere e non vede l'ora di poter aprire i suoi regali, altre volte sembra un padre che da consigli ai figli. Parla con i collaboratori, richiama il direttore di gara, si rivolge spesso ai ragazzi in panchina caricando anche loro. Insomma, l'esatto contrario del dirimpettaio Borghi, rassegnato al quasi certo esonero dopo un torneo ben lontano dalle aspettative di inizio stagione.

Risultato stretto dunque per la Banda, già con la testa al San Lorenzo e consapevole che la vittoria del Superclasico è solo il primo passo di una lunga quanto difficile rincorsa alla salvezza.

10 nov 2010

O incrivel

Nel Porto gioca col numero 12 un giocatore che ha avuto uno sviluppo molto particolare, di sicuro lento rispetto al talento che sta mettendo in campo. E per questo in Europa il suo nome è ancora conosciuto per riferimenti fumettistici più che per motivi calcistici.

Givanildo Vieria de Souza, meglio noto come Hulk, è un attaccante esterno brasiliano nato il 25 Luglio 1986.
Arriva tra i dragoes nella stagione 2008-2009 per sostituire in rosa il vuoto lasciato dalla cessione di Ricardo Quaresma (che in Portogallo, ricordiamolo, fece grandissime cose) come giovane di talento pescato addirittura nel campionato giapponese, dov'è cresciuto calcisticamente fin dal 2005 e si è fatto un nome a suo di gol (111 presenze divise in tre squadre, 74 gol). Nella sua prima stagione a Oporto dopo un iniziale periodo di ambientamento si impone come titolare e con 9 gol inizia a mostrare i suoi numeri. L'anno successivo, nelle previsioni, doveva essere quello della consacrazione. A parte le difficoltà della squadra, il giocatore paga cara una poco chiara rissa nel tunnel degli spogliatoi al termine di un tesissimo Porto- Benfica. Quattro mesi di squalifica, successivamente e parecchio tardivamente ridotte a quattro giornate. Da Dicembre a Marzo lontano dai campi, stagione compromessa proprio quando si iniziava a vociferare di un interessamento del Manchester United a testimoniare la crescita del ragazzo.
Arriviamo così al 2010-2011, stagione in cui tutta la squadra deve riscattare un'annata opaca e tornare a dettare legge in campionato dopo il successo degli odiati rivali del Benfica. Hulk parte col botto, 15 gol in 15 partite, assoluta punta di diamante di un collettivo che dimostra una superiorità imbarazzante su tutti gli avversari (è recente il 5-0 rifilato al Benfica, in totale dieci punti di vantaggio sulla seconda in dieci giornate).

Fisico straripante da prima punta, tecnica e velocità da esterno puro. Mancino, sa giocare sia a sinistra (posizione coperta più negli anni passati) che a destra, dove è abilissimo a crearsi lo spazio per il tiro sfruttando grande tecnica, dribbling e velocità, ma letale anche negli assist, grazie a un capacità di andare sul destro rara in un mancino puro. Spaventoso il suo cambio di passo come la potenza del suo sinistro. Aggiunge grande corsa, ottima capacità di giocare con scambi stretti e il giusto spirito di sacrificio, per un quadro di talento assolutamente top.
I limiti sono nella tendenza a prendersi delle pause nel corso della partita, nel poco movimento senza palla (preferisce riceverla sui piedi per giocarsi l'uno contro uno, anche se sa attaccare la fascia in profondità) e nel tentare un pò troppo conclusioni da distanze siderali e numeri fini a se stessi.

Dopo una crescita frenata da vari motivi, Hulk vuole dimostrare cosa vuol dire incrivel all'Europa intera.

9 nov 2010

L'esigenza di puntare sui giovani

Come già detto (http://aguantefutbol.blogspot.com/2010/09/uno-strano-immobilismo.html) l'Inter nell'annata in corso si trova in una situazione particolare a livello di rosa fin dall'inizio della stagione. Da qui l'importanza di tener d'occhio i giovani (http://aguantefutbol.blogspot.com/2010/10/baby-nerazzurri-puo-esistere-un-altro.html) per andare a colmare eventuali lacune.
Ma nessuno poteva immaginarsi una situazione tanto delicata. Una quantità abnorme di infortuni dovuta ai motivi più vari ha decimato una rosa già ridotta all'osso, e l'unica possibile via d'uscita sono loro, i baby talenti nerazzurri.

Analizziamo la situazione. La difesa dopo gli infortuni di Walter Samuel (gravissimo) e Maicon (che si trascinava un problema a un ginocchio) può contare solo su cinque elementi sani, Chivu, Cordoba, Materazzi, Lucio e Santon, cioè un solo terzino di ruolo e quattro centrali di cui due adattabili in fascia. Posto che Zanetti, tanto per semplificare il tutto, serve assolutamente come mediano a causa di un'epidemia ben più grave tra i centrocampisti, si può solo attingere dalla Primavera per completare il reparto (tradotto, anche solo per avere un difensore di fascia in panchina). I principali candidati sono Felice Natalino (classe '92) e Simone Benedetti (anche lui '92), che anche solo per avere due squadre nelle partitelle saranno promossi di sicuro. A quanto si dice il primo avrebbe dovuto in ogni caso aggregarsi ai grandi entro breve e si è già visto in panchina, a testimonianza di grande talento, ma anche di essere preferito al nuovo acquisto Davide Faraoni, e rappresenta l'unica risposta per un terzino destro di ruolo. Il secondo diventa forzatamente il quarto centrale della rosa (escludendo adattamenti di Chivu che costringerebbero in ogni caso a schierare Santon o Biraghi sulla sinistra), grossa responsabilità per un ragazzo di appena 18 anni che ha dalla sua però grandissimo potenziale e esperienza in B con la sua ex squadra, il Torino. Senza dimenticare che Davide Santon è pur sempre un classe '91 anche se se ne parla come fosse un veterano.

A centrocampo, come dicevo, l'emergenza è addirittura più marcata. Sono infatti indisponibili Motta (cronicamente), Stankovic, Cambiasso, Mariga, Muntari e probabilmente per mercoledì anche Wesley Sneijder vittima di un malore nella sfortunatissima partita di sabato. Il reparto vede quindi convocabili, a meno di recuperi dell'ultim giorno, unicamente Zanetti (sempre sia lodato) come mediano adattato e i giovani Nwankwo e Obi, i quali anche se figurano nella rosa della prima squadra sono pur sempre dei classe '91. Il primo ha avuto un esordio traumatizzante appena una settimana fa nella sconfitta di Londra col Tottenham, il secondo ha già qualche minuto di "calcio dei grandi" in più nelle gambe e rischia di giocare titolare col Lecce sulla scia della buona prestazione offerta contro il Brescia. Più fisico e posizionale il primo, più dinamico e tecnico il secondo.

In attacco in realtà la situazione è meno da allarme rosso. Sono infatti rientrati dai rispettivi acciacchi Pandev e Milito(ancora le ombre delle ombre dei fantasmi di loro stessi), ma qui il problema sta nella costruzione del reparto, dove le prime e uniche alternative ai titolari sono Biabiany (classe '88, un veterano) e Coutinho ('92), chiamati spesso nelle ultime partite all'improba impresa di trascinare l'intera squadra potendo contare sull'aiuto, fenomenale, del solo Samuel Eto'o. Proprio per questa particolare condizione, meriterebbe almeno di essere considerato Denis Alibec ('91), capitano della formazione Primavera che nelle ultime partite sembra aver fatto un importante salto di qualità, ma ne riparleremo.

L'Inter, in quanto squadra più vecchia della Serie A, aveva di sicuro bisogno di rinnovarsi.
Un salto generazionale simile pare un pò troppo traumatico.

8 nov 2010

Chau Cappa

Bomba sul mondo River a una settimana dalla sfida contro il Boca Juniors: la dirigenza dei Millonarios ha infatti deciso di terminare anticipatamente il rapporto con Miguel Angel Cappa dopo appena 208 giorni di lavoro al Monumental. Una scelta azzardata? Legittima? Si può chiamare come si vuole, ma in fin dei conti è l'effetto Superclasico e l'inevitabile conseguenza del vortice negativo in cui la squadra sta tristemente facendo ritorno. Sette partite senza vittoria, fra pareggi letteralmente regalati agli avversari e sconfitte pesantissime in ottica retrocessione. All'orizzonte la sfida contro gli Xeneizes, l'ultimo appiglio per far rifiatare l'ambiente in vista di una lunghissima quanto sfiancante volata salvezza.

Sono ormai lontane le vittorie di inizio torneo e la prematura convinzione di poter lottare per il titolo ha ben presto fatto spazio nell'ambiente ad un senso di frustrazione ed impotenza. Nessuna certezza, se non a parole. Parole, le stesse che hanno con ogni probabilità condannato Cappa agli occhi della gente della Banda, stanca di vedere sul terreno di gioco l'esatto contrario di quanto dichiarato ai microfoni dal Filosofo. Nessuna traccia del bel calcio, del possesso palla, dei movimenti armoniosi e costanti promessi dall'ex tecnico dell'Huracan: sono bastate infatti poche partite perchè i primi segnali incoraggianti lasciassero spazio al caos, alla disorganizzazione e all'incertezza. Mai gli stessi uomini, mai un modulo preciso e ben definito, mai la parvenza di un certo equilibrio all'interno del sistema di gioco. Nella tempesta l'unico in grado di mantere la rotta è stato per un periodo capitan Almeyda, ma alla fine anche lui ha dovuto arrendersi a causa di un infortunio.

Cappa paga la mancanza di tempo per lavorare su una squadra ereditata completamente allo sbando, la fretta di un ambiente che non si può permettere di aspettare e programmare esclusivamente nel lungo periodo. Non ha mai veramente legato con il Monumental e nelle ultime settimane la gente di Nunez ha più volte manifestato il suo disappunto nei confronti delle scelte del tecnico di Bahia Blanca. Gli esempi più eclatanti? L'incomprensibile sostituzione del giovanissimo Erik Lamela nell'intervallo della partita pareggiata contro il Gimnasia La Plata che ha scatenato l'indignazione di tifosi e addetti ai lavori e soprattutto l'accantonamento di Alexis Ferrero. Il Patron non è certamente un difensore di livello mondiale, anzi, dal suo recente arrivo gli errori piuttosto gravi non sono stati rari, ma assieme ad Almeyda ed Ortega è uno dei leader dello spogliatoio del River Plate e la sua assenza dal campo si è fatta sentire in termini di carattere e personalità. Il suo ingresso nella ripresa del Clasico contro il Racing ha fatto vibrare le tribune del Monumental in un boato che ha sorpreso chiunque: non una splendida ovazione per uno degi idoli della tifoseria riverplatense, ma un autentico grido di battaglia per un giocatore che agli occhi dei tifosi, seppur fra alti e bassi, ha sempre dato il massimo.

Abbandonata dunque l'idea del tiki-tiki, la dirigenza dei Millonarios dovrà ora trovare al più presto il sostituto ideale per riuscire laddove hanno fallito Gorosito, Astrada e lo stesso Cappa. Il favorito in questo momento sembra il Tolo Gallego, ex-vice di Passarella, già allenatore del River Plate in passato ed attualmente libero dopo l'incomprensibile licenziamento da parte dell'Independiente. Un altro nome che stuzzica i palati dei tifosi del River Plate è quello del Loco Marcelo Bielsa, fresco di dimissioni dalla panchina della nazionale cilena per motivazioni politiche. Questa volta Passarella cosa sceglierà? Il materialismo del Tolo, già autore di un mezzo miracolo sulla panchina del Rojo di Avellaneda, oppure opterà ancora una volta per un allenatore votato ad un calcio altamente spettacolare come Don Marcelo?

28 ott 2010

Risultato bugiardo

Psv Eindhoven - Feyenoord 10 - 0

Reis 24’, 47’, 59’; Afellay 39’; Toivonen 49’; Lens 55’, 87’; Dzsudzsák 62’, 77’ (rig.); Engelaar 69’

Titolo ovviamente ironico per una delle più sonore scoppole che io ricordi a livello europeo, specie se pensiamo che si confrontavano rispettivamente la seconda e la terza squadra più titolate d'Olanda.

Paradossalmente, c'è stata una partita.

Il Psv ci ha messo una ventina di minuti a prendere in mano il gioco, e il primo tempo si è chiuso sul 2-0 malgrado l'inferiorità numerica del Feyenoord (seconda ammonizione per Leerdam al 34esimo).

La squadra di Rotterdam tuttavia si è completamente sgretolata nei primi minuti del secondo tempo col letale uno-due firmato Lens e Toivonen, e da quel momento in campo si è visto solo bianco-rosso. Una superiorità fisica, tattica (pressing devastante) e tecnica senza alcuno scampo. La squadra di Eindhoven sfondava a piacimento sia sulle fasce che centralmente sulla profondità, guidata dai suoi giocatori offensivi (Toivonen, Lens, Afellay, Dzsudzsak e Reis non a caso andati tutti a segno) capaci di svariare su tutto il fronte d'attacco e di trovare la porta con facilità irrisoria. Il gol del 5-0 (il più bello del match) ne fornisce ampia dimostrazione, transizione da manuale da un'area all'altra con movimenti e passaggi semplicemente letali. In una prestazione collettiva di altissimo livello, con un Engelaar monumentale, è da segnalare Jonathan Reis. Questo brasiliano classe '89 è da anni nell'orbita del Psv, ma la sua crescita è stata frenata da una positività all'antidoping a Gennaio, che lo ha fatto finire senza contratto. A Luglio la squadra lo ha riaccolto tra le sue fila, e sembra puntarci forte.

Il Feyenoord? Semplicemente abominevole. Disunito, fragilissimo, incapace di reagire, senza una guida nè in campo nè in panchina, tecnicamente inidoneo a mettere in fila due passaggi...si salva solo il talentino classe '90 Georgino Wijnaldum, l'unico a lottare (contro i mulini a vento, ma almeno...), muoversi ovunque, proporsi, provare qualcosa. Purtroppo totalmente da solo. Quando troverà la giusta collocazione tattica e crescerà nel fisico ne sentiremo parlare.

26 ott 2010

Se questa è una lista...

Con l'approssimarsi di Dicembre, Fifa e France Football hanno diramato la lista dei 23 candidati al "nuovo" Pallone d'Oro Fifa (premio che da quest'anno unifica il vecchio Pallone d'Oro e il Fifa World Player in un unico riconoscimento).

Questo l'elenco dei 23 candidati: Xabi Alonso (Spagna), Daniel Alves (Brasile), Iker Casillas (Spagna), Cristiano Ronaldo (Portogallo), Didier Drogba (Costa d'Avorio), Samuel Eto'o (Camerun), Cesc Fabregas (Spagna), Diego Forlán (Uruguay), Asamoah Gyan (Ghana), Andrès Iniesta (Spagna), Jùlio Cèsar (Brasile), Miroslav Klose (Germania), Philipp Lahm (Germania), Maicon (Brasile), Lionel Messi (Argentina), Thomas Muller (Germania), Mesut Ozil (Germania), Carles Puyol (Spagna), Arjen Robben (Olanda), Bastian Schweinsteiger (Germania), Wesley Sneijder (Olanda), David Villa (Spagna), Xavi (Spagna).

Andiamo con ordine.
Il premio mira a dare un riconoscimento simbolico al miglior giocatore della stagione. Da sempre è determinante il rendimento nelle competizioni internazionali (Champions League, Mondiali ed Europei) al pari delle vittorie del club di appartenzenza.
Per questo questa specifica lista suscita più di una perplessità. Il peso dei Mondiali è chiaro ed evidente. Anzi, decisamente eccessivo. Miroslav Klose ha fatto di sicuro un grande Mondiale, ma nonostante le vittorie del suo Bayern la sua stagione non è stata per nulla da protagonista (6 gol in tutta la stagione...). Mesut Ozil è stato una delle rivelazioni dei Mondiali, ma la stagione del Werder Brema non è stata tale da giustificare un riconoscimento simile (soprattutto considerate certe esclusioni negli anni passati). Tanto per dire, perchè lui si e Lukas Podolski no a questo punto? Cesc Fabregas è di sicuro uno dei centrocampisti con più talento al mondo, ma oltre a non aver vinto nulla col suo Arsenal ha visto il campo poco o nulla pure ai Mondiali. Cristiano Ronaldo è uno dei migliori giocatori al mondo ed è di sicuro il trascinatore assoluto del Real Madrid, ma vittorie col club e rendimento con la nazionale?
Fin qui scelte opinabili, ma per lo meno nomi noti. Parliamo di Asamoah Gyan. Giocatore che un tifoso medio nemmeno sa dove gioca. Sfavillante stagione da 13 gol al Rennes, con le coppe europee viste giuste in tv, che l'ha portato ad approdare all'ambitissimo Sunderland (picco massimo della sua carriera, sia chiaro). Unica vaga motivazione della sua presenza il rendimento in nazionale, con l'argento in Coppa d'Africa e 3 gol ai Mondiali (2 su rigore). Ovviamente non considerando l'errore decisivo dal dischetto contro l'Uruguay...

L'assenza che grida vendetta è presto detta. Diego Alberto Milito anche solo come capocannoniere dell'Inter tripletista (30 gol di cui 6 in Champions, doppietta in finale), miglior attaccante e giocatore assoluto dell'ultima Champions League (e gli altri premiati Julio Cesar, Maicon e Sneijder ci sono tutti) doveva essere in questa lista, malgrado abbia giocato solo una partita ai Mondiali grazie a Maradona. Era il favorito di Sir Alex Ferguson...

Sembra di giocare a "trova l'intruso".

20 ott 2010

Mourinho è come Maradona

5 Luglio 1984: Diego Armando Maradona viene presentato al San Paolo di fronte a 70000 persone completamente impazzite.
31 Maggio 2010: Josè Mourinho viene presentato dal Real Madrid. Non allo stadio, non di fronte ad una folla festante, anche perchè non può certo intrattenere i tifosi palleggiando con delle arance.
Eppure, anche solo sentendolo parlare, lo si percepisce: Mourinho è un fenomeno. Fenomeno della dialettica innanzitutto. Ma fenomeno anche in campo, senza aver bisogno di intrattenere il pubblico con una serpentina o con una bordata da 50 metri. O con delle arance, appunto.
Maradona aveva tutto per fare la differenza: fantasia, velocità, tecnica, grinta. Mourinho raduna tutte le migliori caratteristiche dei migliori allenatori del passato unendoli in una sola persona, la sua. Estro, mentalità vincente, carattere da leader ma sopratutto un innata conoscenza di questo sport: sì, perchè prima di essere un grande comunicatore, Josè Mourinho è un grande stratega.
C'è un detto popolare lanciato dagli "Anti-Mourinhani": "Troppo facile vincere con squadre così potenti". Eppure, di squadre fortissime sulla carta, ma non sul campo, abbiamo esempi a bizzeffe. Quello più clamoroso è proprio quello del Real Madrid, l'attuale squadra del tecnico portoghese. Una squadra clamorosa, suggellata da colpi di mercato a ripetizione negli ultimi 10 anni. Ma poi in Champions da 6 anni non si va oltre agli ottavi, mentre ci si è dovuti "accontentare" soltanto di due campionati. Mourinho passerà alla storia come "il colpo dell'Estate 2010". Non è una premonizione, ce lo dice la sua storia. L'allenatore Galattico, messo fra i Galattici, può fare solo cose straordinarie, perchè lui è abituato così. Non sarà la consacrazione definitiva. Quella arriverà più tardi, quando avrà portato a termine l'ultima missione, la vittoria del Mondiale. L'ennesima certezza. Ma qualche domanda rimane: un nuovo Maradona, per il momento, non ci è ancora capitato.
In futuro avremo un nuovo Mourinho, o il fenomeno è destinato a rimanere tale?

17 ott 2010

Questione di ruolo, parte terza

Samuel Eto'o arriva all'Inter nell'estate 2009 nell'ormai celeberrimo scambio con Zlatan Ibrahimovic. Un'eredità pesante anche per un giocatore simile visto quanto lo svedese aveva dato alla sua squadra in termini di gioco, assist e gol, ma soprattutto perchè parliamo di giocatori totalmente diversi per caratteristiche.
L'Inter ha dovuto adattarsi a lui, e lui all'Inter.
Costretto a un terribile lavoro di sacrificio per il bene della squadra, il ragazzo si trovava a giocare da ala, ma sarebbe meglio dire terzino, coprendo chilometri e chilometri a inseguire gli avversari, per garantire un difficile equilibrio tattico. Tanto, troppo lavoro oscuro, poco visibile e comprensibile dagli esigenti spettatori. La stagione per la squadra è stata trionfale, i freddi numeri del camerunense molto meno. "Solo" 16 gol uniti a tanti errori sotto porta che lo hanno portato a perdere molta della considerazione pregressa agli occhi dei tifosi.
Buon giocatore (con ingaggio faraonico), ma le superstar sono altro.

Nell'estate 2010, Eto'o ha parlato chiaro. "Voglio giocare più vicino alla porta" il messaggio con destinatario il suo nuovo allenatore Rafa Benitez, che ha fatto in modo di accontentarlo.
Il risultato? 12 gol in 11 partite, con una pericolosità costante in ogni zona del campo e colpi da autentico fuoriclasse.
Del resto, qualcuno davvero credeva che il miglior marcatore del Mallorca nella Liga, uno dei migliori goleador della storia del Barcellona con 130 gol, nonchè capocannoniere della storia del Camerun e della Coppa d'Africa si fosse all'improvviso scordato come si segna?

13 ott 2010

Controlli disfuzionali

Non è nel mio interesse commentare nello specifico la totalità dei fatti avvenuti prima, dopo e durante la terribile partita Italia-Serbia.
Argomento troppo complesso, stratificato e con radici troppo lontane perchè si possa capire appieno senza esservi dentro.

Però, nel mio piccolo, so come funziona uno stadio, e in particolare il servizio di sicurezza all'ingresso. Superato il prefiltraggio e prima dei tornelli che portano alle scalinate si trovano vari addetti al controllo degli spettatori, a seconda della partita solo steward o anche forze dell'ordine. Una delle loro mansioni è controllare gli oggetti che entrano nello stadio, anche attraverso la perquisizione degli spettatori. A me personalmente sono stati fatti buttare ombrelli (di quelli piccoli pieghevoli), accendini e tappi di bottiglie di plastica, e ho visto perquisite persone di ogni sesso o età.

Com'è possibile che 1.600 tifosi serbi, evidentemente facinorosi visto quanto già successo in giornata (senza entrare nell'ambito del look e dell'aspetto fisico), siano stati fatti entrare al Ferraris senza il minimo controllo? Perchè è evidente che per entrare con tronchesi, fumogeni a profusione e bombe carta un'impercettibile falla nel sistema di controllo all'ingresso deve esserci stata per forza.
All'uscita in compenso sono stati tutti perquisiti uno per uno con metal detector.
Che fosse tardi non è venuto in mente a nessuno?

11 ott 2010

Josè Mourinho vs Rafa Benitez: ecco cosa cambia

Sono passati ormai 4 mesi e mezzo dall'addio di Josè Mourinho alla panchina dell'Inter e qualche giorno in meno dall'arrivo di Rafa Benitez sulla panchina nerazzurra. E' tempo di primi bilanci per il tecnico spagnolo, analizzando le principali differenze fra il tecnico ex Liverpool e l'attuale tecnico protagonista dell'ultima Champions ed ora al Real Madrid. Partiamo con qualche premessa molto importante: sono due persone che utilizzano metodologie di allenamento abbastanza differenti, che hanno una filosofia di calcio opposta e un approccio psicologico sul gruppo totalmente diverso.

Partiamo dalla filosofia calcistica dei due allenatori. Rafa Benitez è uno che impone il suo gioco e la sua filosofia. Può fare qualche piccolo aggiustamento (es. Eto'o con meno compiti difensivi) al suo sistema di gioco originario, ma di solito pretende che siano i calciatori ad adattarsi alle sue direttive e non il contrario. Josè Mourinho ha invece dimostrato, nella prima stagione all'Inter, di appartenere alla fazione opposta: dopo il fallimento del suo iniziale progetto tattico, ha cambiato il modo di giocare dell'Inter facendo in modo che tutti rendessero al meglio delle proprie caratteristiche (difesa solida + totale sfruttamento di Ibrahimovic, per sintetizzare), andando contro al suo pensiero iniziale, dimostrando di essere un allenatore più versatile. Il secondo anno ha potuto svolgere il gioco da lui preferito dopo che sono arrivati i giocatori giusti per la sua filosofia.

La seconda differenza è quella sulla metodologia di allenamento. Mourinho in questo caso è quasi unico al mondo, nel senso che i suoi metodi basati sulla periodizzazione tattica li utilizzano soltanto lui e pochi altri, quindi il cambiamento sotto questo punto di vista sarebbe stato inevitabile, anche con un altro tecnico. Benitez, nonostante sia spagnolo, è un tecnico che ha studiato molto la preparazione classica all'italiana e in questo senso è forse uno dei più "italiani" fra i tecnici stranieri. Vedendo infortuni e condizione atletica delle nostre squadre nei momenti topici della stagione, questa cosa non dovrebbe lasciare tranquilli.

La terza differenza sono i metodi nella gestione del gruppo. Mourinho fa continuamente da impermeabile fra la squadra e il mondo esterno, un vero e proprio psicologo. Benitez ha un aspetto più classico e sobrio che ha portato già nei primi mesi di stagione a qualche problemino.

Enormi differenze dal punto di vista tattico, anche se il modulo rimane lo stesso della passata stagione. A Benitez va dato atto, con gli stessi giocatori e lo stesso schieramento, di aver già dato un impronta nuova all'Inter in pochi mesi, anche se alcuni automatismi (che stanno migliorando partita dopo partita) mancano ancora. L'Inter dello Special One (prendiamo come riferimento quella degli ultimi mesi, già forgiata dopo il lavoro dei precedenti mesi) era una squadra che aspettava ed era letale nelle ripartenze. A San Siro, contro squadre che si chiudevano, andava un pò in difficoltà perchè poco abituata a fare la partita.
Con Benitez i cambiamenti sono tanti: il dettaglio che salta all'occhio per primo è il tentativo di alzare il baricentro della squadra. Il pressing, e di conseguenza la linea difensiva, sono molto più alti rispetto a qualche mese fa. Questo ha portato ad alcune situazioni di contropiede, abbastanza imbarazzanti, concesse agli avversari, ma sono cose destinate a migliorare nel giro di poche giornate.

Sono cambiate anche altre cose: Eto'o meno coinvolto nella fase di non possesso della squadra, con conseguente doppio lavoro del terzino e dell'interno sinistro (oltre a quello dell'esterno dall'altra parte) costretti a coprire la mancanza di un uomo in fase difensiva; la posizione di Sneijder è variata, con il tentativo di impostare l'olandese come incursore, a tratti quasi da seconda punta, più che come regista avanzato; c'è più libertà per i due mediani di provare l'inserimento senza palla.
Tutte cose che andranno ancora automatizzate ma in cui si vede chiaramente la mano del tecnico spagnolo, a cui va dato atto di avere delle idee chiare (su cui poi si può essere d'accordo o meno) e di aver dato un impronta alla squadra, ancora molto migliorabile, ma con margini di miglioramento molto buoni.
L'Inter di Mourinho è ormai storia, ma i tifosi nerazzurri possono stare tranquilli perchè l'Inter di Benitez ha un potenziale importante.

5 ott 2010

The next Iniesta

Col numero 8 nel centrocampo del Real Saragozza gioca un ragazzo che ha suscitato un paragone quantomeno scomodo. Sarà il numero, sarà un pò l'aspetto fisico, sarà il ruolo, sarà soprattutto il destro raffinato e la capacità di creare gioco, ma si dice che nella città aragonese, da Bilbao, stia sbocciando l'erede di Andres Iniesta.

Ander Herrera nasce il 14 Agosto 1989 appunto a Bilbao, ma calcisticamente la sua casa è il Real Saragozza, squadra in cui milita fin dalle giovanili.
Nel 4-2-3-1 gioca trequartista dietro l'unica punta, libero di dare qualità all'intero reparto offensivo. Perfetto continuatore della grande tradizione di centrocampisti spagnoli, possiede tecnica in quantità industriale e una grande visione di gioco abbinata a una capacità rara di servire i compagni con passaggi rasoterra. Molto veloce nelle giocate, sa gestire la palla specialmente negli scambi stretti, anche se l'impianto di gioco del Saragozza (diciamo non esattamente trascendentale) non lo valorizza. Buon fisico (182 cm), gran dribbling e buona progressione, deve crescere nel tiro in porta e nel lancio lungo, che sfrutta molto poco. Decisamente da educare in fase di non possesso, in cui si limita a un discreto pressing, pur mostrando spirito di sacrificio quando l'allenatore gli chiede di giocare più arretrato quasi da mediano.

Dietro la faccia da bambino, si nasconde un grande talento.

4 ott 2010

Il berbero olandese

Chiunque abbia seguito il PSV negli ultimi 6 anni non può non aver notato Ibrahim Afellay.
Il centrocampista olandese/marocchino classe 1986 entra in pianta stabile nella squadra di Eindhoven nel 2005/2006, per non uscirne più. E la sua maglia numero 20 (corredata anche dalla fascia di capitano) non passa certo inosservata.

Talento puro e giocatore tremendamente eclettico, si mette da subito in mostra per le sue grandi doti tecniche. Destro educatissimo, visione di gioco, ma anche ottimo dribbling, progressione e capacità di difendere palla. Non molto prolifico (esclusa una stagione da 13 gol), ma abile a inserirsi e con un gran tiro dalla distanza.
Forse, oggi come all'esordio, un pò magro per il calcio europeo ai massimi livelli, comincia la carriera da centrocampista. Interno del rombo, ma principalmente playmaker davanti alla difesa. Solo in seguito viene spostato più avanti il suo raggio d'azione, per sfruttare il grande dribbling e il tiro, da ala (sia a destra che a sinistra, ruolo ricoperto spesso anche in nazionale) o da centrocampista offensivo. Nell'ultimo anno il ritorno (forse definitivo) all'antico come centrale di centrocampo libero di impostare e inserirsi, con risultati ancora una volta pregevoli. Da questo tourbillon di ruoli si capisce il grande acume tattico di chiaro stampo oranje, ulteriore pregio di questo talento ormai pronto a lasciare casa sua (nato a Utrecht, ma al PSV dal 1996).
Magari in una grande d'Europa? Il suo contratto scade a Giugno 2011, il che lo mette in vetrina a un prezzo decisamente appetibile.

2 ott 2010

Guardiola e la sindrome da Eto'o

Nel calcio, come nella vita, giunge inevitabile un momento in cui si sente la necessità di cambiare, di voltare pagina e di rimettere tutto in gioco. Questo ha pensato Pep Guardiola quando, accompagnato dalle sue convinzioni tattiche, si è presentato nell'ufficio di Laporta chiedendo per la seconda estate consecutiva la cessione di Samuel Eto'o, bomber del triplete blaugrana. Una scossa per ripartire con nuove motivazioni, con quello Zlatan Ibrahimovic monarca indiscusso in Italia e bulletto di periferia in Europa, con i suoi centimetri, la sua imprevedibilità e la sua smisurata ambizione a rappresentare una sfida troppo intrigante per l'allenatore catalano e per lo stesso presidente, incapace di rimanere impassibile di fronte al capriccio dell'uomo che lo ha proiettato nella storia del calcio mondiale.

Il genio di Messi, le geometrie di Xavi, la classe di Iniesta e la bizzosa potenza dello spilungone di Malmö: è l'alba di un'altra memorabile e gloriosa cavalcata verso la conquista del mondo del pallone in nome del bel calcio inteso come una sinfonia di scambi stretti e precisi, movimenti continui e triangolazioni da far impallidire Pitagora eseguite a velocità supersoniche. Una corazzata invincibile quanto spettacolare guidata da Guardiola, il ragazzino catalano entrato in punta di piedi nella Masia a tredici anni che, dopo aver vinto tutto calcando l'erba del Camp Nou, è tornato a casa da allenatore, da filosofo della panchina e da maestro di calcio. Il Pep, quello che ha avuto il coraggio di indicare la porta a senatori come Ronaldinho e Deco per non tarpare le ali a Messi e agli altri ragazzini cresciuti nella cantera del distretto di Les Corts, quello che ora ha preparato le valige a Samuel Eto'o rimpiendole con cinquanta milioni di euro ed un biglietto di sola andata in direzione Milano.

Una mossa geniale? Un tremendo azzardo? Sono bastati pochi mesi per registrare le prime avvisaglie di quello che non si è rivelato il semplice scossone emotivo desiderato da Guardiola, ma un terremoto vero e proprio in grado di minare le certezza di una squadra apparsa fino ad allora imbattibile ed irraggiungibile. L'addio forzato di Eto'o ha lasciato spazio ad un ego troppo grande per uno spogliatoio già illuminato da diverse stelle ed incontrollabile per lo stesso Guardiola: un'arma a doppio taglio dentro e fuori dal campo. Addio ai movimenti del camerunense, alla sua freddezza sotto porta, alla straordinaria semplicità del suo calcio e benvenuto all'ostentazione fatta persona, al centravanti atipico con l'assoluta necessità di essere sempre al centro del gioco e inefficace se inserito in un contesto che non preveda un'intera squadra umilmente al suo servizio. Schiacciato dal peso della personalità e del talento di "una" pulce (l'onestà intellettuale consiglia di specificare che non si tratta di una pulce qualsiasi), il piccolo-grande Ibra ha comunque chiuso la stagione con l'onorevolissimo score di ventuno reti, non male per gli almanacchi, ma non abbastanza per l'esigente pubblico spagnolo, rattristato ripensando al precedente numero nove e avvilito vedendo lo stesso Eto'o esultare sotto ai loro occhi festeggiando la qualificazione alla finale di Madrid.

Colui che veniva chiamato "filosofo" in segno di apprezzamento e stima per gli ideali calcistici e per il livello intellettuale messo in mostra lontano dal terreno di gioco si è sentito battezzare in questo modo con una certa vena di disprezzo, quasi invitato ad una nuova carriera lontano dalla panchina a giostrare fra i salotti letterari di Barcellona, mentre l'acquisto più oneroso della storia blaugrana, fra una dichiarazione e l'altra, ha trovato sistemazione in un club in grado di soddisfare i capricci suoi e del suo rappresentante.

Scottato (ustionato?) dall'operazione Ibra, Guardiola non ha esitato ad investire pesantamente per un nuovo centravanti, ripiegando questa volta sul campione del Mondo David Villa: giocatore ben più simile ad Eto'o rispetto al predecessore svedese. Una sconfessione delle proprie convinzioni tecnico-tattiche, una tacita ammissione di colpe e soprattutto la consapevolezza di aver commesso un crimine oramai irreparabile verso il suo Barcellona. E' presto per esporsi in pericolosi giudizi sull'operato del Guaje al centro dell'attacco dei catalani, ma questo prime partite stagionali sono sembrate un inesorabile déjà vu, perchè, nonostante la bontà e l'assoluta qualità del numero sette della nazionale spagnola che con ogni probabilità si tradurranno in un'ottima quantità di gol, nè Villa, nè Ibrahimovic, nè nessun altro attaccante al Mondo è in grado di rappresentare ed emulare ciò che Samuel Eto'o è stato per la squadra di Pep Guardiola: una macchina da gol implacabile in grado di muoversi per il fronte offensivo con tempi, sapienza ed intelligenza da manuale del calcio, un'atleta infaticabile con la predisposizione al sacrificio di un mediano perfetto per il concetto di pressing totale del suo allenatore, una star mondiale in grado di valorizzare senza soffrire lo sconfinato talento di Messi, un giocatore da subito nel cuore dei tifosi, apprezzato da tutto lo spogliatoio blaugrana e soprattutto un catalano d'adozione legato al Camp Nou, a Barcellona e alla sua gente.
Troppo per cercarne un clone, troppo anche per un'alternativa.