La prima stagione di Rudi Garcia sulla panchina della Roma ha travolto il calcio italiano come un ciclone. Quella Roma veloce, tecnica e spettacolare in molte altre stagioni avrebbe accumulato abbastanza punti da vincere lo scudetto, ma ha dovuto arrendersi a una Juventus da record.
Malgrado campagne acquisti anche notevoli la squadra del tecnico francese non ha più raggiunto quel livello di gioco - l'anno dopo, per quantificare, quindici punti in meno in campionato -. Tra i tanti motivi tecnici, ambientali, di calendario ce n'è uno sottovalutato: la Roma non ha più avuto, o quasi, i giocatori chiave di quella squadra.
In generale nelle formazioni si può individuare una spina dorsale, idealmente rappresentata da una verticale di giocatori attorno cui gli altri si muovono. Sono gli uomini che vanno dal portiere al centravanti, che danno un'impronta tecnica ben definita.
Non si parla per forza dei giocatori più tecnici, più appariscenti o più celebrati, ma di quelli che permettono alla squadra di esprimersi. Per la prima Roma di Garcia la verticale era formata da Morgan De Sanctis, Leandro Castan, Kevin Strootman e Francesco Totti.
Tutti e quattro, per diversi motivi, sono usciti dalla formazione nel giro di due anni e spiccioli.
De Sanctis era chiaramente un portiere a tempo visto che quando è stato acquistato aveva già trentasei anni, ma il suo rendimento in quella prima stagione fu straordinario. Ha comunque continuato come titolare fino all'arrivo di Szczęsny, quindi possiamo considerarlo un caso a parte. Leandro Castan negli anni è stato l'elemento più sottovalutato della difesa della Roma. Molto più europeo che brasiliano è arrivato in sordina già esperto, dimostrandosi giocatore solido in marcatura e con un mancino più che apprezzabile in impostazione. Accanto a lui, forse non a caso, sono esplosi Marquinhos e Benatia, due giocatori certamente più appariscenti, ma che hanno grandemente beneficiato delle capacità di Castan in termini di leadership, capacità difensive e gestione della linea. Dal 2014/2015 sostanzialmente non ha più giocato per seri problemi di salute, la Roma non ha trovato un suo vero sostituto e la situazione nel reparto arretrato è andata peggiorando. Eppure in pochi ancora oggi pensano al peso dell'assenza di Castan.
Di Kevin Strootman invece si è parlato in lungo e in largo, quindi rimane poco da aggiungere. Sfortuna nera per un centrocampista che con Garcia stava letteralmente esplodendo. A centrocampo faceva sostanzialmente tutto, dalla prima impostazione alla rifinitura, agli inserimenti, all'apporto fisico, facilitando in modo incredibile il lavoro dei compagni - vedere il rendimento di De Rossi -. La Roma ha trovato suoi sostituti solo a tempo, sfruttando grandi momenti di forma - Keita e Nainggolan -, anche perchè si vive nell'attesa, o forse ormai speranza, del suo ritorno.
Infine Totti, altro nome che non ha bisogno di presentazioni. Sull'onda lunga dell'incredibile stato di forma regalatogli da Zeman il capitano nel primo periodo Garcia è stato fondamentale. Totti è uno di quei rarissimi giocatori capace di coniugare capacità da prima punta con qualità da rifinitore di livello assoluto, con anche un'abilità tattica unica nel muoversi per sfuggire alle difese e disorientare gli avversari. Lui per due anni malgrado età e infortuni è stato il centravanti ideale di Garcia, l'ago della bilancia indispensabile per accorciare i reparti, favorendo al contempo il possesso palla e gli inserimenti degli attaccanti - Gervinho, Florenzi quando faceva la punta -. Sul suo altare sono state sacrificate tutte le altre prime punte arrivate dal mercato - chiedete a Destro per informazioni -, ma per un classe '76 era inevitabile prima o poi la chiamata del tempo che passa. Dzeko oggi soffre, tra gli altri motivi, esattamente perchè non è Totti. Nessuno può esserlo, e la Roma lo paga.
Quest'anno De Sanctis e Totti sono stati ufficialmente sostituiti con nuovi titolari, mentre Castan e Strootman sebbene in perenne rientro non sembrano in grado di poter tornare con continuità.
La Roma di Garcia di fatto in due anni è diventata una squadra nuova, e questo cambia parecchie cose.
14 dic 2015
7 dic 2015
Gli eredi di Gabi e Tiago
Simeone nella sua avventura all'Atletico si è rivelato un tecnico molto attento anche al futuro oltre che al presente della sua squadra. In estate il mercato ha reso singolarmente evidente la cosa: il Cholo ha scelto di voltare pagina, avviando una rivoluzione della rosa improntata alla qualità e alla gioventù. Due leader come Miranda e Arda Turan hanno salutato ed è arrivata un'infornata di giovani che ha rivitalizzato soprattutto l'attacco.
C'è però un reparto che Simeone non ha toccato: la mediana.
Gabi e Tiago, rispettivamente un '83 un '81, sono rimasti titolari indiscutibili -18 presenze e circa 1500 minuti giocati-. Gli altri centrocampisti che avrebbero potuto prenderne il posto sono stati o ceduti -Mario Suarez- o dirottati sull'esterno -Saul e Koke-, sintomo che c'è fiducia assoluta in loro malgrado i chilometri accumulati in carriera.
In effetti è difficile trovare una coppia simile. Gabi e Tiago non sono giocatori singolarmente appariscenti, ma hanno il pregio di saper fare tutto. Fisico, grandi letture tattiche, capacità di gestire gioco e ritmi, lanci e rifinitura, soprattutto quintali di personalità imposta tackle dopo tackle. Entrambi si sono conquistati tutto sul campo, a suon di prestazioni, e questo li ha forgiati in una scorza durissima.
Simeone si fida ciecamente e probabilmente rispetta molto la loro storia calcistica, ma prima o poi sarà anche il loro turno di passare la mano. E l'allenatore argentino non vuole farsi trovare impreparato. L'eredità di Gabi e Tiago è nelle mani di due giocatori ben precisi, uno spagnolo classe '94 e un argentino classe '93.
Il primo risponde al nome di Saúl Ñíguez, è già in rosa da un anno e dal 2012 assaggia calcio professionistico. La sua storia lo avvicina al numero 14: nato nella cantera dell'Atletico, mandato in prestito a farsi le ossa, tornato per restare. Gabi ci ha messo quasi 150 presenze col Saragozza, ma sono dettagli e parliamo di altri tempi.
Per caratteristiche Saul ha tutto per raccogliere il testimone e forse un giorno pure la fascia, ed era evidente anche vedendolo giocare al Rayo Vallecano. Affiancare Gabi per qualche anno gli permetterà di acquisire carattere e quelle malizie che solo un vecchio filibustiere può insegnare, oltre ad assorbire tutto il pedigree colchonero.
Il secondo lo vedremo da Gennaio, e parliamo di Matias Kranevitter. L'argentino nella sua carriera al River ha dimostrato un livello di gioco altissimo, sia prima che dopo il fastidioso infortunio al piede, diventando referente assoluto di una squadra capace di fare incetta di coppe.
Se Saul punta a Gabi, Kranevitter chiaramente è una versione senza boccoli di Tiago, anche nel numero preferito e nel fatto di essere straniero. Di sicuro il Colorado avrà bisogno di tempo per adattarsi al calcio europeo e trovare riferimenti, ma il potenziale tecnico è chiaro. La sua capacità di regia, sottovalutata nella qualità, di cucire il gioco mantenendo anche l'equilibrio tattico lo colloca naturalmente al centro della squadra, ed è circa il lavoro che fa Tiago ormai da anni.
La coppia centrale Gabi-Tiago è stata il cuore dell'Atletico vincente degli ultimi anni e la loro sostituzione è una questione delicata, più di quanto si pensi per via dei nomi non così altisonanti.
L'idea di Simeone è chiara con Saul-Kranevitter, di grossa prospettiva e sicuramente intrigante.
Potrebbero essere anche migliori dei grandi giocatori attuali.
4 dic 2015
La crisi del River
Il trionfo in Copa Libertadores ha portato a sottovalutare alcune problematiche in casa River.
La vittoria della più grande competizione per club del Sudamerica, arrivata per di più a seguito della Sudamericana 2014, è stato un trionfo senza mezzi termini, ma dietro a tanta luce si sono nascoste delle ombre che adesso i Millonarios si trovano a pagare senza sconto alcuno.
La squadra di Gallardo ha chiuso abbastanza male la stagione, col nono posto in campionato - dietro a Belgrano e Banfield, per intenderci - a quindici punti dal Boca campione e finendo eliminato dall'Huracan in semifinale di Sudamericana.
Non c'è stato un vero e proprio crollo, perchè il River ha avuto dei piccoli problemi, dei sassolini negli ingranaggi, che nel tempo hanno rovinato una macchina estremamente efficiente, fino a farla ingolfare. Gallardo è riuscito a tenere il timone anche troppo bene nei mesi decisivi della Libertadores, ma per i miracoli si sta ancora attrezzando.
Fin da inizio stagione il River ha dimostrato dei problemi di tenuta. La squadra che aveva vinto la Sudamericana tra infortuni, un pizzico di appagamento e la testa già ai gironi di Libertadores in campo faticava a produrre risultati
Decisivo nel cambiamento in negativo dei Millonarios è stato il mercato
Il primo tassello tolto alle fondamenta del River è anche il più sottovalutato: Ariel Rojas. Magari non da Gallardo, ma dal sentore del pubblico e dei commentatori.
Rojas non è mai stato un giocatore particolarmente appariscente, pur
avendo un mancino di ottima qualità. I pochi gol non gli hanno
praticamente mai permesso di prendersi la luce dei riflettori, ma per
Gallardo il Chino era una pedina tattica fondamentale. Rojas sapeva fare
l'interno e l'ala, garantendo copertura tattica, qualità
nell'impostazione, rifinitura sia nei passaggi che nei cross, il tutto mettendo
in campo una certa fisicità. Sostanzialmente un lavoro molto simile a
quello offerto da Carlos Sanchez sulla destra.
Non a caso insieme a
Rojas si è trovato benissimo un terzino di spinta come Lionel Vangioni. I
due collaboravano sulla sinistra, trovando scambi continui. Una coppia che, prima dell'esplosione definitiva agli ordini di Gallardo, aveva fatto le fortune anche di Ramon Diaz.
Ma la cessione di Rojas in estate è passata in secondo piano, essenzialmente per due motivi. Il primo è che insieme a lui è partito anche Teo Gutierrez, miglior giocatore della squadra, il secondo è che da lì a poco il River ha vinto la Libertadores. Sul breve periodo Gallardo ha trovato una quadratura che ha saputo compensare l'addio di Rojas, ma nel medio è tutto un altro discorso.
Anche perchè all'addio del Chino è seguito quello di Ramiro Funes Mori.
Il gemello del più famoso Rogelio con Gallardo si è trasformato da progetto di difensore a uno dei migliori centrali del panorama Sudamericano. Funes Mori è uno di quei giocatori destinati ad essere perennemente sottovalutati per motivi misteriosi, malgrado i successi, e di cui ci si accorge quando mancano. Messo in ombra da Balanta prima, in parte da Mammana poi, il Mellizo ha saputo apprendere l'arte da Maidana, aggiungendo alla capacità di impostazione uno strapotere fisico fondamentale per reggere la linea altissima pretesa dal Muneco. Sotto la guida dell'ex-10 millonario, Funes Mori ha compiuto un notevole salto di qualità anche e soprattutto a livello mentale, mettendo in mostra continuità e personalità da Seleccion.
Non a caso la sua cessione all'Everton ha sostanzialmente distrutto la linea difensiva del River.
Terzo ed ultimo tassello la prolungata assenza per infortunio di Vangioni, che ha privato il River del suo terzino sinistro titolare e di uno sbocco fondamentale per la manovra.
Passare da un triangolo allargato Vangioni-Funes Mori-Rojas a Casco-Balanta-Bertolo o chi per lui non è stato esattamente indolore per la squadra e i risultati raccolti dalla Banda ne sono un chiaro esempio. Gallardo per un breve periodo è riuscito a limitare i danni, puntando sulla qualità offensiva di giocatori come Driussi o il Pity Martinez e sull'incredibile stato di forma di Kranevitter -capace di reggere una mediana praticamente da solo-, ma l'addio di Funes Mori ha fatto crollare un castello già da tempo scricchiolante.
Casco e Balanta sono regolarmente tra i peggiori in campo, mentre per la posizione di Rojas Gallardo non ha ancora trovato una soluzione e probabilmente solo il mercato potrà dare risposte. Nella semifinale di ritorno contro l'Huracan il tecnico è ricorso addirittura a un 3-5-2 per cercare di coprire la falla, rilanciando titolare sulla sinistra un Vangioni fermo da mesi e spostando Casco sulla destra, una fascia che non copriva da anni.
Al crollo strutturale della fascia sinistra, si aggiungono ora gli addii di Sanchez e Kranevitter: una rivoluzione prevedibile che chiederà a Marcelo Gallardo un altro enorme sforzo per ricostruire dal nulla una squadra privata di tutti gli elementi fondamentali. Il Muneco finora ha sempre risposto presente, pescando giocatori sconosciuti capaci di sostituire più che degnamente i predecessori -Alario su tutti-, ma questa volta il lavoro sembra essere più proibitivo che mai.
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