Per la quarta volta in due anni l'Inter si trova a dover riflettere sulla propria condizione. Tecnica, atletica, motivazionale, gestionale. Con quattro allenatori diversi, per motivi ovviamente diversi, si è sempre arrivati a una crisi di risultati che ha spento i lumicini di speranza nel cuore dei tifosi. Oggi l'Inter viene da un punto in tre giornate e dall'eliminazione in Coppa Italia, con la bellezza di undici gol subiti in quattro partite, proprio quando il periodo più difficile sembrava superato. Cos'è successo?
Per l'ennesima volta la squadra ha dimostrato i suoi limiti. Che sono tecnici, ma soprattutto atletici e motivazionali.
" La grossa rincorsa ha fatto sì che inconsciamente si sia staccata la spina. Martedì dovremo fare un bel discorso, parlando francamente e ricominciare da capo. Così non possiamo andare avanti. Abbiamo fatto tre sconfitte e non può andare. [...] Se non sei determinato, è inutile parlare di sistema di gioco". Parole di Claudio Ranieri, che dalla panchina ha visto la sua squadra allo sbando senza riuscire a fare nulla. Perchè oggi i giocatori dell'Inter hanno dei problemi palesi, che si sono ripresentati ciclicamente, ma ciclicamente sono stati ignorati in virtù di un passato glorioso. Il sistema di gioco non è tutto, ma è un elemento.
Ranieri è stato costretto a varare un 4-4-2 di corsa e prudenza per rischiare il meno possibile e i risultati sono stati con lui. Ma del resto anche Benitez prima e Leonardo poi si erano rifugiati in qualcosa di simile per salvare il salvabile, ottenendo i traguarti minimi richiesti. La causa è sempre la stessa, lo scarso apporto fisico e dinamico dei centrali di centrocampo, che vanno messi nelle condizioni di non fare danni. Su questo altare si sacrificano i giovani Faraoni e Obi, mandati in campo col chiaro compito di correre anche per altri, e vengono minimizzate le qualità di gente come Coutinho, Alvarez e Poli, la cui capacità di creare qualcosa in termini offensivi diventa troppo rischiosa. Nessuno è in grado di coprire le loro avanzate, anzi sono loro a dover coprire gli altri. Il problema si ripercuote fino alle punte, costrette a giocare sistematicamente lontano dall'area per far partire il pressing come fossero centrocampisti.
In questo contesto fisico non stupisce che i giocatori non siano in grado di alzare il pressing o semplicemente diventare più aggressivi. Il campo da coprire è quello e la coperta cortissima. Il minimo movimento fuori dagli schemi provoca delle voragini, in cui negli ultimi giorni sono stati lieti di inserirsi Miccoli, Giacomazzi e tutta la Roma. Lavorare costantemente col timore di prendere gol al primo pallone perso è deleterio al massimo. E la ripercussione sul gioco evidente.
La cessione di uno dei titolari indiscussi nonchè regista di Ranieri, Thiago Motta, non deve diventare un alibi. Questa squadra ha sempre avuto dei problemi (e i risultati lo dicono chiaramente), Motta era uno degli elementi che li mascherava. Non è un singolo giocatore sul mercato a cambiare la situazione, servono un insieme di tasselli, piccoli elementi per migliorare passo dopo passo. Citando ancora l'allenatore: "Ripercussioni per un mercato non all'altezza? Questa è la prima partita che facciamo da quando è finito il mercato, ne avevamo già perse due. Tutti abbiamo fatto pressioni su Thiago, ma quando un giocatore ti chiede di lasciarlo andare, credo che sia giusto quello che abbiamo fatto. Non dobbiamo più parlare di Thiago Motta ma trovare soluzioni per migliorare." . Motta è stato per lungo tempo un totem a cui aggrapparsi, la sua partenza per Parigi rappresenta piuttosto la fine di ogni alibi per i suoi compagni di squadra. Stessa cosa che in teoria doveva rappresentare l'esonero di Gasperini e l'abbandono del suo improponibile sistema di gioco.
Motta non rappresentava il futuro dell'Inter. Ma questa squadra per avere un futuro deve accettare i suoi limiti e lavorarci sopra. Senza egoismi, senza preconcetti, senza posti assicurati. Facendo delle scelte per il bene della squadra, cioè di tutti, accettando il proprio ruolo per quello che dice il campo. Ogni giocatore di fronte alle sue responsabilità, senza più alibi appunto.
I singoli passano, la squadra resta.