21 dic 2012

Pazienza, questa sconosciuta

Inadatto, acerbo, bidone e l'immancabile "ve l'avevo detto". Quante volte si sentono e leggono queste parole quando si parla di un giovane talento sbarcato da poco in Europa? Le etichette di fenomeno, crack o nuovo Pinco Pallino lasciano ben presto spazio a sentenze tronca-carriera che, nella maggior parte dei casi, si ripresentano sotto forma di sonori fischi allo stadio. È un attimo: qualche partita giocata male, la fiducia che ti abbandona, l'attacco indiscriminato dei media, il nervosismo dell'ambiente, la giocata sbagliata al momento sbagliato e l'amore del tifoso medio si trasforma in profonda, totale insofferenza.
 
Ma dov'è il problema di tutti questi presunti campioni che arrivano a orde dal Sudamerica alla conquista dell'Italia e, dopo poche partite, si trasformano miseramente in oggetti misteriosi? La risposta in fondo è semplice e si trova nella domanda stessa. Non stiamo parlando di campioni già fatti e finiti, bensì di ottimi progetti di giocatori, ma si sa, in Italia è usanza esagerare. Si esagera al momento dell'acquisto, prodigandosi in improbabili paragoni con illustri connazionali per vendere qualche copia in più o aumentare lo share di un centesimo, e si esagera al momento della bocciatura, arrivata ad hoc per riempire una pagina vuota in un momento di calma. Tuttavia il cuore del problema è un altro ed è la pazienza: il tifoso vuole tutto e lo esige subito, perchè il calcio nel pensiero comune è diventato più di uno sport e la differenza tra sconfitta e vittoria è ormai molto più di tre punti in classifica.
 
Allora perchè le società italiane si ostinano ad acquistare giovani stranieri che faticano e falliscono in Serie A? È possibile che il 90% tra dirigenti e osservatori professionisti sia incapace di svolgere il proprio lavoro e si diverta a mandare in fumo i milioni dei rispettivi presidenti? Ovviamente no e allora eccoci costretti ad analizzare la natura del fenomeno, tra imprevedibili variabili caratteriali, inevitabili differenze calcistiche e culturali, motivazioni economiche e quella costante troppo spesso dimenticata: il tempo.
Molte, moltissime società italiane negli ultimi anni hanno instaurato uno stretto legame con il Sudamerica, rivolgendo le proprie attenzioni verso i numerosi talenti che ogni anno fioriscono a sud dell'equatore. La crisi economica si è fatta sentire anche nel mondo del calcio, fare la voce grossa in Europa è diventata impresa difficile e rastrellare il Sudamerica è quasi una necessità. Lo stesso Brasile, da meta preferita degli scout italiani, è ormai territorio off-limits, poichè i club verdeoro hanno troppo potere economico e la recente inversione di tendenza ne è la dimostrazione.
Argentina, Colombia, Cile e Uruguay permettono ancora di scovare ottimi giocatori a prezzi vantaggiosi, ma le controindicazioni non mancano.
 
Il salto dai campionati locali alla massima divisione italiana è proibitivo: gli spazi si restringono, la velocità raddoppia e l'intensità diventa fondamentale. La tecnica, da fattore determinante, scende in secondo piano e a fare la differenza sono velocità di pensiero, lucidità, senso tattico e abnegazione. Un osservatore professionista può cogliere la maggior parte di questi aspetti, ma nonostante l'esperienza è inevitabilmente difficile prevedere quante e quali possano essere le difficoltà di adattamento di un giocatore. A quelle tecnico-tattiche si aggiungono quelle caratteriali, le più imprevedibili e, spesso, determinanti: dalla nostalgia di casa all'assoluta mancanza di fiducia. Come detto in precedenza, bastano alcune prestazioni negative per dare vita ad un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire, con la fiducia in sè stessi che saluta e non si fa più vedere. Il passaggio più facile del mondo diventa impossibile, un tiro a porta spalancata una fatica di Eracle e la lucidità nel prendere le decisioni peggiora di pari passo.
 
Purtroppo è un discorso culturale e in Italia sarà sempre più difficile trovare tifosi disposti a perdonare troppe partite giocate a un livello insufficiente. Quanto di buono fatto vedere in patria viene ben presto dimenticato e pretendere di aspettare almeno una decina di partite consecutive giocate  dall'inizio per giudicare è mera utopia. I tecnici stessi hanno spesso le mani legate dalla politica del risultato imposta dai presidenti e allora perchè mai dovrebbero mettere a rischio la propria panchina per dare fiducia ad alcuni giocatori? D'altronde per il tifoso medio è più facile bollare qualcuno come "pippa" e, nel caso specifico dell'Inter, rivolgere la propria ammirazione altrove, prodigando lodi ai dirigenti dell'Udinese di turno, che, per quanto bravi e competenti, hanno modo di operare in una realtà costruita appositamente per questo scopo. Ed ecco allora che il Sanchez di turno può giocare 60 partite prima di esplodere, finire sui taccuini di tutti i principali club europei e fruttare oltre 30 milioni di Euro.
 

19 dic 2012

Alfred Duncan e l'obiettivo dei settori giovanili



Ieri sera, durante Inter-Verona di Coppa Italia, si è messo in luce davanti al grande pubblico un prodotto del vivaio interista: Alfred Duncan.

Ghanese di 19 anni, Alfred è un centrocampista dalle importanti prospettive future, sia per caratteristiche fisiche (potente e forte) che tecniche (pur non essendo un regista classico, sa far girare il pallone). E' all'Inter ufficialmente da un anno e mezzo, in realtà il suo arrivo è datato estate 2010. Inizialmente schierato da interno di centrocampo in modo da sfruttare la sua grande vigoria atletica e la sua bravura negli inserimenti, con l'avvento di Stramaccioni sulla panchina della Primavera nerazzurra è stato spostato definitivamente nel ruolo di centrale, sia di un centrocampo a 3 che di uno a 2. Dotato di notevole intelligenza tattica e dinamismo, ha dimostrato di essere di fatto il leader in mezzo al campo di quella squadra che ha stravinto il campionato Primavera e la Next Generation Series, facendo valere la sua potenza, la sua apprezzabile tecnica e la sua grande personalità. Nel giro della prima squadra da almeno 7-8 mesi (di fatto dall'arrivo del suo mentore Stramaccioni), in questa stagione ha collezionato due presenze da subentrato e una da titolare, proprio ieri contro il Verona. L'impatto di Alfred è stato positivo, ha giocato una partita ordinata, con tanta concentrazione e senza strafare. Sembra aver capito il tipo di gioco che si pratica nei campionati professionistici e questo non potrà che giovargli nel futuro prossimo, quando l'Inter potrebbe dargli l'opportunità di giocare con continuità nella speranza che possa diventare un elemento da riportare tra i propri ranghi.

La crescita di giocatori come Duncan, ma anche di Benassi, Livaja, Longo, ragazzi che si stanno facendo notare all'Inter o altrove, denota il buon lavoro svolto dalla società nerazzurra nell'ambito giovanile. Spesso si crede che un vivaio sia utile solo se produce campioni. E' un'idea distorta del calcio, perchè un campione non lo si produce: lo si trova e basta. La bravura di un settore giovanile sta nel trovare talenti di spessore magari non mondiale (come possono essere quelli che ho citato) e trasformarli in giocatori utili per il proprio club, creando valore economico di fatto dal nulla e permettendo a una società di programmare i propri investimenti in modo più oculato, soprattutto in un periodo di crisi economica generale come quello attuale. L'Inter negli ultimi anni lo ha fatto: per chi se lo dimenticasse, giocatori come Pandev, Martins, Balotelli, Santon, Obi sono cresciuti nel settore giovanile nerazzurro e hanno lasciato (o stanno lasciando) il segno sia dal punto di vista tecnico (trofei italiani e internazionali) che economico (un complessivo di quasi 60 milioni di euro di plusvalenze). Chi può vantare un curriculum del genere in Italia, il cui calcio storicamente fa fatica a crescere i propri giovani?

17 dic 2012

Ezequiel Cirigliano

Poche settimane fa Pierluigi Casiraghi, responsabile degli osservatori nerazzurri, ha rivelato un piccolo segreto legato al proprio mestiere: quando si parte per andare a osservare un giovane talento, lo si guarda giocare soltanto alcune partite, altrimenti il rischio è quello di focalizzare l'attenzione sui difetti e non sui pregi. Se dovessimo descrivere Ezequiel Cirigliano per la prima impressione che ha lasciato nell'Argentina U-17 e all'esordio nel River Plate, diremmo che si tratta di un mediano completo, intelligente, tecnico il giusto e con idee molto chiare. Un po' carente dal punto di vista fisico, ma una dinamo piuttosto instancabile che sa farsi trovare nel posto giusto al momento giusto.

Tuttavia, a oltre due anni dalla prima partita con i Millonarios sotto la guida di Leo Astrada, Cirigliano è sceso in campo molte, moltissime volte e le impressioni iniziali hanno lasciato spazio a qualche significativa certezza, in positivo e in negativo. Arrivato alle porte della prima squadra con la nomea di nuovo Mascherano, il Ciri ha ben presto dimostrato di essere ben altro tipo di giocatore: mediano anche lui, ma non un "animale" (in senso buono) sradica-palloni con una personalità esagerata, bensì un giocatore molto più ordinato e... ordinario.
 
Angel Cappa, maestro di Pastore, diceva di lui: "Ho visto pochi giocatori con il tocco di Cirigliano e con la sua abilità nel distribuire palla". Un'investitura senz'altro importante, arrivata direttamente da uno dei portabandiera del Menottismo argentino, che ha trovato il momento di massimo splendore ai tempi dell'Huracan e del suo tiki-tiki, ma che non ha saputo imporre le proprie idee nel breve periodo alla guida della Banda. Da Astrada a Cappa, passando per JJ Lopez e Almeyda, il centrocampista classe '92 del River Plate ha messo in mostra un rendimento altalenante. Non ha mai saputo prendere per mano il centrocampo della squadra di Nunez e ha sofferto moltissimo i continui cambi di modulo e di compagni di reparto. Paradossalmente il suo rendimento è calato nel momento in cui gli è stato affiancato un accentratore di gioco come Leo Ponzio, leader del River Plate targato Matias Almeyda, che lo ha relegato ad un ruolo da gregario, costringendolo a dedicare molta più attenzione alla fase di non possesso e all'equilibrio di squadra.
 
Nonostante ciò, Cirigliano è ricercato da diverse squadre del Vecchio Continente e il prezzo abbordabile lo rende molto interessante in vista del mercato invernale di riparazione. Ma che tipo di giocatore si appresta a raggiungere l'Europa? Sicuramente non il nuovo Mascherano e nemmeno un simil-Xavi, ma un centrocampista dal fisico compatto, sveglio dal punto di vista tattico, con una buona predisposizione alla fase di non possesso e dall'interessante potenziale in quella di impostazione. Deve crescere molto nella velocità di pensiero al momento dell'organizzazione della manovra e, soprattutto, deve ritrovare freschezza e lucidità mentale lentamente smarrite in un River che negli ultimi anni non ha avuto alcuna identità di gioco. La personalità a livello giovanile non gli mancava, con la Banda l'unica prova tangibile è legata al fatto che qualche volta gli sia stata affidata la fascia di capitano, ma da uno come lui è lecito aspettarsi qualcosa di più a livello di leadership sul terreno di gioco.
 
Sei mesi agli ordini di Ramon Diaz non potrebbero che giovargli sotto tutti questi punti di vista e, se dovesse arrivare in Italia già a gennaio, avrà sicuramente bisogno di alcuni mesi di adattamento. Per questo motivo un suo approdo diretto in una squadra di vertice è da ritenere poco probabile.

Il problema è l'attacco

L'Inter ha dei problemi distribuiti di rosa ed è risaputo da Agosto.

Ma il vero scoglio delle ultime partite per la squadra di Stramaccioni è il rendimento dell'attacco.
Per quanto sia banale da dire, il reparto offensivo è il vero ago della bilancia che sposta i risultati, e per stessa ammissione di Stramaccioni il gioco dell'Inter punta a far segnare gli attaccanti (anche qui, la fiera del banale).
Visto però il tasso qualitativo e le mancanze organizzative o dinamiche del resto della squadra, spesso questo si riflette in una spaccatura netta, con la fase difensiva affidata a difesa e centrocampo, la fase offensiva principalmente all'attacco. Qui si trova la genesi del famoso tridente spensierato del tecnico romano, che si è trovato nella condizione di puntare tutto sui suoi uomini offensivi, specie quando in emergenza, sperando che in qualche modo la risolvessero loro. La qualità degli uomini davanti, unita alla loro capacità di tener palla, creare gioco e segnare per mascherare i problemi collettivi.

Quando l'Inter ha avuto rendimento in termini di gol, assist, ma anche solo movimento da Palacio, Milito e Cassano (tirando le somme tra infortuni e beghe contrattuali, tutto l'attacco) sono arrivate vittorie anche di spessore. Quando loro tre si sono persi sia singolarmente che a livello di reparto l'Inter non è quasi mai riuscita a superare l'ostacolo.

Esemplificazione massima di questa dicotomia, nonchè sliding door assoluta della partita, il gol sbagliato da Milito contro il Cagliari.







13 dic 2012

Una vittoria inaudita


Il San Paolo torna a vincere un titolo che mancava dal 2008 strappando la Copa Sudamericana all'eroico Tigre di Gorosito. 
Il Tricolor era semplicemente strafavorito dal primo giorno, grazie a una rosa che in Sud America ha davvero pochi rivali. In Argentina ha sofferto per la fisicità degli avversari e soprattutto per l'espulsione a inizio partita di Luis Fabiano, che ha di fatto troncato la manovra offensiva. Nel ritorno in Brasile ha dominato per 45 minuti, con accelerazioni spettacolari e due gol col forte marchio del partente Lucas, che è riuscito a regalare alla sua squadra una gioia prima di trasferirsi al PSG.
Il Matador dal canto suo è stata l'assoluta sorpresa della manifestazione. Una squadra poco quotata che ha saputo esaltarsi in Copa, puntando su organizzazione, garra, difesa, calci piazzati e l'estro di Ruben Botta. Finchè si è giocato a calcio, non hanno avuto niente da invidiare a nessuno, cullando il sogno della prima vittoria in oltre 100 anni di storia.

Purtroppo i discorsi calcistici vanno archiviati in fretta visto quanto successo al Morumbì.
Nessun appassionato di calcio può parlare tranquillamente di vittoria del San Paolo.
La Copa è stata assegnata dopo aver giocato solo 45 minuti (risultato 2-0 per i padroni di casa, con gol di Lucas e Osvaldo), ufficialmente per il rifiuto dei giocatori del Tigre di tornare in campo dopo la pausa di fine primo tempo. Non un gesto di protesta per l'arbitraggio di parte o motivi di gioco, un gesto inevitabile e forse doveroso visto quanto denunciano i giocatori argentini.
Facendo un passo indietro, tutto nasce dalla rissa accesasi sul finire del primo tempo, una classica situazione di gioco duro, con un espulso per parte e molti giocatori impegnati a far valere le proprie ragioni. La situazione è poi degenerata negli spogliatoi.
Il primo a evidenziare la gravità della situazione è stato il tecnico Nestor Gorosito. Non è chiaro lo svolgimento degli eventi. In Brasile dicono che i giocatori argentini abbiano cercato di entrare nello spogliatoio avversario, mentre in Argentina parlano di aggressione subita, prima dagli addetti alla sicurezza dello stadio (che già nel riscaldamento avevano creato problemi agli ospiti) e poi dalla polizia, con tanto di pistole sfoderate e puntate verso i giocatori. Le foto di calciatori e membri dello staff feriti, come anche di macchie di sangue sulle pareti già circolano in rete, e non possono che far male al calcio.
Al minimo, un grave problema di sicurezza che non è un bel biglietto da visita in ottica Brasile 2014. E non c'è rivalità o importanza della partita che tenga. 

Il San Paolo ha festeggiato in casa con la sua gente, dimostrando pochissima sensibilità.
Ma una simile macchia su una finale difficilmente passerà inosservata.


7 dic 2012

River Plate: tra giovani e mercato


Ha ancora da timbrare la prima presenza sulla panchina dei Millonarios in campionato, ma l'effetto-Ramon si sta già facendo sentire da giorni. Il tam tam mediatico scatenato dal ritorno di Diaz sulla panchina della Banda ha fatto impazzire giornali, programmi radio e tv, blog, forum e social media. Torna Andrés D'Alessandro, anzi no, voci dal Portogallo dicono di Aimar in rotta con il Benfica, Ricky Alvarez fatica in Italia e tornerebbe in Argentina a nuoto e il Rolfi Montenegro ha chiuso l'avventura messicana con l'America. Un tornado di notizie, scoop, indiscrezioni e decine di ipotetiche formazioni per il River che si presenterà ai blocchi di partenza del Final 2013. Ma realisticamente, cosa ci aspetta?
 
Per diversi motivi è difficile fare probabili nomi in entrata: le condizioni economiche del club di Nunez e dell'Argentina in generale non sono rosee, il mercato non è ancora ufficialmente iniziato e l'AFA sta ancora decidendo il numero di possibili acquisti che le squadre potranno effettuare. D'Alessandro, Aimar e Saviola sono i soliti sogni proibiti dei tifosi che fanno pensare ai tempi d'oro ormai lontani, ma tutti e tre, chi per un motivo, chi per un altro, sono difficilmente raggiungibili e lo stesso Ramon Diaz ha recentemente escluso il loro arrivo. Tra gli altri nomi fatti in questi giorni i principali sono quelli di Ricky Alvarez, Demichelis, Montenegro, Formica e Teo Gutierrez. Impossibile fare previsioni, ma ciò che sembra certo è che con ogni probabilità il River si muoverà per un trequartista, un esterno sinistro e un difensore centrale.
 
Il mercato in uscita sembra essere già delineato e la notizia principale è la cessione ormai imminente di Rogelio Funes Mori. Da più parti si parla di un'offerta di una squadra italiana che si aggira attorno agli 8M di € per l'80% del cartellino. Il club in questione, salvo sorprese, dovrebbe essere il Napoli, alla ricerca di un vice-Cavani. Non un perdita grave per i Millonarios, perchè in fondo il Mellizo non ha mai fatto quel salto di qualità necessario per fare la differenza nella massima serie argentina e i limiti sono rimasti quelli di un tempo: scarsa intelligenza tattica, poca freddezza in zona gol, totale incapacità di giocare sul filo del fuorigioco e idee poco chiare in molte situazioni di gioco. Da definire invece il futuro di Manuel Lanzini, rientrato rigenerato dal prestito in Brasile, l'enganche classe '93 non ha mai avuto la piena fiducia di Almeyda ed è stato costantemente schierato fuori posizione. Probabile che Ramon gli dia una chance, ma non è da escludere un suo ritorno in Brasile.
 
In attesa di scoprire le strategie in entrata, ci sono da segnalare alcuni talenti delle Inferiores della Banda che, nel prossimo semestre, potrebbero entrare nel giro della Prima Squadra in pianta stabile. In difesa, dopo i gravi infortuni di Maidana, Ramiro Funes Mori e dell'ottimo Pezzella (finalmente ha ottenuto la fiducia che da tempo meritava), uno dei principali candidati all'esordio è Espindola, centrale del 1992 dotato di buon piede, senso della posizione e una leadership innata. In mezzo al campo hanno recentemente debuttato Augusto Solari, (cugino dell'Indiecito Santiago), Kranevitter e Cazares: mezz'ala tecnica e di classe il primo, mediano preciso e ordinato il secondo, mentre il terzo è un trequartista colombiano. In rampa di lancio, oltre a loro, c'è Facundo Quignon, metronomo mancino apprezzatissimo da Matias Almeyda, mentre una possibile sorpresa potrebbe essere Carreras, centrocampista classe '95 che da tempo fa parlare di sè dalle parti di Nunez. Nel reparto offensivo c'è semplicemente l'imbarazzo della scelta.
 
Difficile sapere su chi punterà Ramon Diaz per sostituire il partente Funes Mori, ma i principali candidati alla "promozione" sono Luis Vila ('92), Federico Andrada ('94) e Lucas Pugh ('94). Anche qui un outsider potrebbe essere Giovanni Simeone, il figlio del Cholo, ma è ancora molto giovane e deve ancora trovare continuità in Reserva. Simeone Jr gode già di discreta popolarità, a livello giovanile è un bomber implacabile e ha messo in mostra un repertorio estremamente completo. Tuttavia è doveroso segnalare i due talenti interessantissimi che giocano al suo fianco e hanno contribuito alle sue fortune: Tommy Martinez e Juan Cruz Kaprof. Di loro due sentiremo sicuramente parlare: il primo è il classico trequartista sudamericano dotato di tecnica sopraffina e intuito fuori dal comune, l'altro è una seconda punta velocissima e imprevedibile, lo trovi in qualsiasi parte del campo, segna e fa segnare.

3 dic 2012

Lazar Markovic, il fenomeno serbo



Ci sono talenti, nel calcio, che ti lasciano negli occhi un bagliore particolare. Il capo osservatori delle giovanili dell'Inter, Pierluigi Casiraghi, lo dice spesso: "Nel giudicare un giovane non bisogna pensare troppo, spesso la prima impressione è quella più veritiera". Parole sante, mi verrebbe da dire. E poche volte posso dire di essere rimasto colpito da un giovane come nel caso di Lazar Markovic.

Lazar nasce il 2 marzo 1994, in una cittadina a 150 kilometri da Belgrado. Ad appena 12 anni viene notato dagli scout del Partizan, squadra della capitale. Da allora è un'ascesa continua: il 29 maggio 2011, ad appena 17 anni, esordisce nella Super-Liga Serba; l'11 luglio firma il suo primo contratto da professionista; primo gol ufficiale il 13 agosto 2011; vince il premio come miglior giocatore del Partizan a fine 2011; esordisce in Europa il 13 luglio 2011 in un preliminare di Champions. Per non parlare del suo cammino nelle selezioni nazionali serbe: a 15 anni esordisce nell'U17; con un salto pazzesco passa subito in U21 e a pochi giorni dal suo diciottesimo compleanno debutta addirittura in nazionale maggiore. Un cammino incredibile.

Ma che giocatore è Lazar Markovic? Ho avuto il piacere di vederlo finalmente in diverse partite di fila (almeno 5) nel campionato serbo e mi sono fatto una prima impressione. Il ruolo che ricopre attualmente nel Partizan è quello di esterno d'attacco, di solito partendo dalla sinistra. In realtà, guardando attentamente i suoi movimenti, si può notare come abbia una spiccatissima tendenza a svariare su tutto il fronte offensivo scambiando abilmente posizione con i compagni, non dando alcun punto di riferimento ai difensori avversari e dando opzioni di scarico ai compagni. La sua duttilità lo rende ideale per il suo allenatore in quanto dalla trequarti in su può ricoprire praticamente qualsiasi ruolo, escluso quello del centravanti. La qualità che balza agli occhi è sicuramente la sua velocità palla al piede: quando ha un millimetro di campo, diventa praticamente un fulmine ed assolutamente imprendibile sia sul breve che sul lungo, un qualcosa che, credetemi, io non vedevo dai tempi del giovane Messi. Un'altra sua specialità è l'assist, il filtrante, che scaturisce dalla grande visione di gioco di cui è dotato e da un tocco di palla assolutamente sopraffino: non è un caso che i primi passi li abbia mossi da trequartista. Sa giocare di sponda con i compagni (in particolare, ottima l'intesa con il centravanti Mitrovic) e scambiare nello stretto. Il repertorio di Markovic è assolutamente completo.

Quali sono quindi i difetti del giovane serbo? Come tutti i giovani, anche Lazar ha i suoi punti deboli. Quello più scontato è una certa discontinuità nell'arco della partita: può far passare le pene dell'inferno agli avversari anche per 45 minuti interi, ma può anche rendersi abbastanza impalpabile negli altri 45. Questo è un difetto piuttosto comune a tutti i giovani di questa età se non anche più grandi (lo noto spessissimo anche in giocatori di 21-22 anni), avrà tempo di lavorarci. Questo non significa però che non si sappia spendere anche in fase di ripiegamento: una mano al suo centrocampo e al suo terzino la da sempre. Il limite tatticamente più evidente è senz'altro la tendenza a tentare sempre l'uno contro uno: non c'è momento in cui non prenda palla e vada incontro a qualche avversario; tante volte il dribbling gli riesce, molte altre ancora no, deve ancora capire a fondo i momenti in cui è necessario saltare l'uomo rispetto a quando magari risulta preferibile scaricare il pallone su un compagno. Deve anche imparare ad essere più cattivo in alcuni movimenti, soprattutto nei tagli senza palla dall'esterno, che potenzialmente sarebbero un'arma letale per un giocatore così veloce, mentre Lazar preferisce attendere pigramente il pallone o accentrarsi piuttosto che dettare un passaggio. Questi senz'altro però sono limiti fisiologici se si pensa che parliamo di un 18enne che ha il potenziale dei numeri 1. Dategli un po' di tempo per maturare tatticamente e fisicamente e si prenderà la scena del calcio per i prossimi 10-15 anni. Sperando che magari inizi a farlo dal campo nerazzurro di San Siro