La domanda sorge spontanea ed immediata, al pari dello sgomento in sala stampa, quando, dopo festeggiamenti e celebrazioni sul terreno di gioco del Centenario, Maradona si presenta davanti ai microfoni ed inizia a scandire parole forti, al veleno. Ne ha per tutti il Diez, ma soprattutto per i giornalisti argentini, rei di aver fatto il possibile per screditare ed ostacolare il suo lavoro. Sarà l'euforia, sarà la tensione, ma Maradona è un fiume in piena e fuori controllo. Passa dai ringraziamenti verso famiglia, tifosi, e giocatori alla sfuriata verso i giornalisti di fronte alla stampa mondiale, senza servirsi di alcun giro di parole e con un linguaggio a dir poco insolito per la situazione. Come lui stesso afferma poco dopo: "Io sono bianco o nero, non grigio, e ho buona memoria. Mi avete trattato senza alcun rispetto, non ho nessuna voglia di condividere questa gioia con voi". Questa una delle poche frasi riportabili durante la conferenza stampa del DT argentino, questa la sintesi del suo sfogo. Ma è veramente tempo di rivincite? E' già giunta l'ora di togliersi qualche sassolino, o meglio, masso, dalla scarpa? Può bastare una qualificazione ai Mondiali raggiunta all'ultima giornata e ottenuta con l'ultimo posto a disposizione per poter gonfiare il petto e puntare il dito? E' la vittoria, il trionfo, di un progetto?
Ha buona memoria Diego e quindi ricorderà senz'altro i proclami con cui aveva dato inizio alla sua avventura alla guida dell'Albiceleste. E' bianco o è nero, si sa, si conosce, e allora le prese di posizione sono forti, decise e soprattutto mai banali. La prima emblematica scelta è quella del capitano: la fascia va a Mascherano, per un cambio deciso di rotta, un modo per dire addio al passato e dare inizio al rinnovamento. La scelta ricade sul giocatore del Liverpool, per Maradona l'unico vero cardine della squadra, l'unico giocatore irrinunciabile, tanto da spingerlo ad affermare più volte:
"La Selección es Mascherano y diez más"
Il Jefecito risponde presente ed è quello di sempre, combattivo, tenace, leader vero. Alla distanza tuttavia si spegne, lasciato troppo solo in mezzo al campo, abbandonato da tutto e tutti si ritrova a vagare per la mediana disorientato e senza nessuno al suo fianco. Contro il Perù è il peggiore in campo assieme a Messi, l'altro leader designato dell'Argentina e probabilmente l'incognita più grande di tutta la gestione Maradona.
Il gioiello del Barça, globalmente considerato l'erede proprio del DT argentino, al pari di Mascherano, fa vedere ottime cose nelle prime uscite stagionali, le amichevoli contro Scozia e Francia, poi scompare. La squadra è costruita attorno a lui e l'allenatore lo consacra ogniqualvolta ne ha l'occasione, eppure il Messi argentino è il lontano parente di quello che si ammira in Europa. Crolla sotto il peso della pressione, si estranea dalla partita e gioca più per sè stesso che per la squadra: basta un volo transoceanico per trasformarlo.
Maradona poi costruisce l'ossatura della sua squadra su giocatore in cui crede ciecamente. E' il caso di Jonas Gutierrez e Gabriel Heinze. Il primo fa ciò che gli è possibile, porta grinta e corsa, ma per ovvi limiti non può essere considerato un fattore in grado di spostare gli equilibri.
Il secondo, invece, viene presentato come un giocatore che ha ancora tanto da dare come centrale difensivo, ma, alla luce degli incontri disputati, gioca la sua miglior partita contro l'Uruguay, schierato come terzino sinistro. Confusione? Scelte sbagliate? Casualità?
Emblematico è poi il caso Riquelme. Il fantasista del Boca Juniors è inizialmente considerato uno dei cardini della squadra, al pari di Mascherano e Leo Messi. Poi, per motivi sconosciuti, annuncia l'addio alla Nazionale. Sia lui che Maradona sono troppo orgogliosi per tornare sui rispettivi passi e nessuno sa ancora spiegare con precisione che cosa abbia portato i due alla rottura. Certo è che la Seleccion ha più volte mostrato l'assoluta necessità di un enganche, di qualcuno in grado di ricamare gioco e consegnare palloni giocabili alle punte. Un problema cronico e tuttora irrisolto.
Alla luce della sfuriata di Maradona in sala stampa, sorge spontaneo ripensare ai proclami, alle intenzioni, al progetto e alle idee di un grande campione improvvisatosi allenatore. Convinzioni che, a posteriori, sono state per la maggior parte smentite, affievolite o smontate da un duro e tortuoso percorso che ha portato l'Argentina a qualificarsi al Mondiale sudafricano. Un percorso che ha visto continui cambi di moduli, uomini ed idee tattiche, che ha portato la Seleccion dal primo al quarto posto nel girone di qualificazione del Sud America, rischiando gli spareggi o, peggio ancora, una storica eliminazione e che ha scritto pagine indelebili come le cocenti sconfitte contro Bolivia (6-1) e Brasile (1-3). Per non parlare della girandola di eroi e traditori della patria, un gioco pericoloso a cui il DT ha esposto tutti i suoi giocatori, delle inspiegabili esclusioni di giocatori fondamentali nelle rispettive squadre di club e del momentaneo addio allo stadio storico dell'Albiceleste, il Monumental, per trasferirsi a Rosario: un'idea ben presto ritrattata e dimenticata fin troppo facilmente e frettolosamente.
A Montevideo il Diez ha però deciso che è giunta l'ora della rivincita, della rivalsa e che è già tempo di prendersi gloria e meriti, a otto mesi dal Mondiale, quello che deve essere considerato come l'unico vero obiettivo di una delle nazionali più talentuose al mondo.