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8 ott 2014

La terza fase della carriera di Messi

Lionel Messi ha solo ventisette anni, eppure sembra che giochi a calcio da sempre. Ogni anno si celebrano i suoi record, la sua eclissi sportiva e la successiva resurrezione, come fosse un giocatore a fine carriera e non un ragazzo che, per dire, ha undici anni in meno di Francesco Totti.
Un destino comune per tutti i talenti capaci di imporsi da giovanissimi, massimizzato nei suoi effetti dalla visibilità del Barcellona in questo millennio, dai numeri e dalla resa del numero 10 di Rosario, ma anche dal fatto che Messi, come pochissimi altri, nel corso del tempo ha cambiato nettamente il suo modo di stare in campo, dando l'impressione di essere già in una fase matura della carriera.
Questa è l'undicesima stagione della pulce tra i grandi blaugrana e potrebbe rappresentare la terza e forse ultima parte della sua evoluzione tecnica.

Torniamo un attimo indietro per contestualizzare questa parabola.
La prima fase della storia tecnica di Messi coincide con la sua scoperta e coi primi passi mossi dal suo immenso talento. Un ragazzino coi capelli lunghi e la maglia numero diciannove ad appena diciannove anni si dimostra già un fattore all'interno di una squadra dove di certo non mancano i grandi nomi.
I tratti distintivi sono il mancino raffinatissimo, un certo fiuto del gol, ma soprattutto un dribbling fulminante nato per essere sfruttato in fascia, grazie anche a una progressione irresistibile. In un certo senso Messi è uno dei principali responsabili della moda degli esterni d'attacco a piede invertito, largo a destra ha collocato il suo ufficio e vinto tutto, unendo tecnica, capacità di gioco, gol, assist, corsa e sacrificio. Il tutto in una squadra che sembrava sostanzialmente una macchina perfetta.
Questo giocatore è esistito, a spanne, fino a metà della stagione 2009-2010, quella famosa per l'arrivo di Zlatan Ibrahimovic. Messi vincendo il triplete e dominando la stagione 2008-2009 fa un deciso salto di qualità, negli anni successivi esce dal periodo giovane per entrare nella fase di maturazione, sia tecnica che personale. La sua influenza sul gioco e sulle scelte cresce enormemente, come la sua capacità di decidere le partite. La seconda fase di Messi è quella della prima punta, in cui più che nuovo Maradona è stato il nuovo Ronaldo e ha frantumato qualunque record umano di maracature. 
Il concetto, tutto sommato, è semplice: la pulce vede benissimo la porta, il primo uomo lo salta sempre ed è veloce nei tagli, più lo si avvicina alla rete più possibilità ha di segnare. I suoi evidenti limiti fisici rispetto all'interpretazione classica del ruolo vengono superati grazie all'organizzazione del Barcellona, ma anche ai suoi movimenti e alla sua indiscutibile superiorità tecnica. Se lo attacchi troppo ti salta anche col controllo, e dopo puoi solo raccogliere la palla dal fondo del sacco. Messi diventa sempre più un accentratore di palloni e gioco, rendendo in cambio numeri straordinari di media realizzativa. Nella sua stagione più devastante, il 2011-2012, arriva a settantatre gol in sessanta presenze, di cui cinquanta in campionato. Da solo segna come una squadra almeno media.
Tuttavia. pur mantenendo medie da macchina, il suo gioco nel corso del tempo si impigrisce. Evidentemente in campo si muove sempre di meno, stazionando in un nuovo ufficio collocato circa all'interno della mezzaluna davanti all'area. Tende a chiedere palla sui piedi per poi decidere il da farsi, trovandosi meno spesso servito dove può far male più velocemente alla difesa avversaria. Un calo fisico forse era inevitabile dopo tanti anni al top come anche un certo senso di superiorità e appagamento, ma in ogni caso è il primo passo verso quello cui Messi sembra tendere oggi.
Dopo questo lungo preambolo, arriviamo finalmente alla terza fase della sua carriera, quella che si sta delineando oggi, il Messi numero 10.

Giova ricordare in questo momento il rapporto tra il rosarino e i suoi compagni di reparto. Diciamo non facilissimo, per loro. Men che meno per Neymar, che ha dovuto vivere una stagione sostanzialmente di apprendistato malgrado il suo status.
Quet'anno Messi si trova (o meglio si troverà, quando sarà disponibile Suarez) a fare reparto con altre due punte purissime. Un nuovo equilibrio va studiato e trovato, perchè il numero 11 brasiliano viene da un Mondiale che lo ha consacrato stella e il nuovo numero 9 uruguaiano è un fenomeno conclamato, per di più con un carattere diciamo fumante. Impensabile chiedergli di fare da scudiero continuativamente in fascia. Come sposare questo con le ultime tendenze del 10?
L'idea è quanto già sperimentato con l'Argentina, con Messi a giostrare dietro la zona di interesse della prima punta. Il suo ufficio resta lo stesso, appena fuori area, magari svariando un po' di più, ma l'attenzione viene rivolta più all'impostazione e alla ricerca dei compagni che alla finalizzazione. Meno corsa, più gestione, facendo muovere nello spazio gli altri membri del reparto offensivo con la promessa di palloni puntuali.
La pulce, ancora una volta, si è adattato andando a pescare nel suo immenso bacino di talento. Prendendo le statistiche l'argentino è di gran lunga l'attaccante che gestisce più palloni, avvicinandosi ai numeri dei centrocampisti creativi, il giocatore che produce più passaggi decisivi e il migliore negli assist, malgrado non sia di certo il vostro trequartista canonico. In particolare colpisce che nella Liga in sette partite sia già a otto assist, quando lo scorso anno gliene servirono trentuno per arrivare a dodici. Il cambiamento è già in atto e promette di innescare una nuova forma di dominio.
In fondo Lionel Messi è nato lo stesso giorno di Juan Roman Riquelme.

1 set 2014

Un Liverpool di prospettiva

L'anno scorso il Liverpool di Brendan Rodgers è stato indubitabilmente la sorpresa della stagione, per risultati e qualità di gioco. In due anni il tecnico nordirlandese ha completamente trasformato la squadra, portandola ai vertici della Premier pur senza contare sugli investimenti degli altri top team.
La cessione di Luis Suarez però era destinata a portare un cambiamento netto.
L'uruguaiano in due stagioni con Rodgers ha prodotto 61 gol in 81 presenze più una trentina di assist. Un fattore tecnico semplicemente devastante, impossibile da sostituire con un singolo a meno di chiamare in causa Cristiano Ronaldo. La sua cessione, per certi versi obbligata e sicuramente ben pagata, chiudeva di fatto un'era e apriva il problema di impostarne una nuova.
Tecnicamente serviva di sicuro un innesto in attacco per colmare questo immenso vuoto lasciato dal mercato. In più rispetto al 2012-2013, quando il club non giocava coppe europee, la partecipazione in Champions nella stagione attuale portava come necessità primaria un infoltimento della rosa un po' in tutti i reparti per avere ricambi affidabili.

Le operazioni sono state molte e tutte mirate a portare ad Anfield giocatori funzionali, ma un particolare occhio di riguardo è stato dato alla data di nascita dei nuovi acquisti. Su nove arrivi ben otto sono nati dal 1988 in poi, sei addirittura dal 1990 in poi.
La rosa oggi si presenta abbastanza completa, ma coglie l'attenzione l'età media sia dei titolari che delle prime alternative.
Guardando la formazione scesa in campo contro il Tottenham, quindi non in un match di secondo livello, troviamo queste date di nascita:


Un undici titolare con 24 anni di media, sulla carta forte e completo già oggi, ma con un'idea di sviluppo mostruosa. A conferma della profondità di questo processo la panchina vedeva solo tre giocatori toccare i trent'anni compreso il secondo portiere. I cambi sono stati Emre Can (1994), Lazar Markovic (1994) e Josè Enrique (1986), lasciando Gerrard come unico giocatore utilizzato senza il due nella decina dell'età.

Il Liverpool ha evidentemente deciso di puntare su una squadra forte oggi, ma potenzialmente fortissima domani, probabilmente facendo anche due conti sull'età media degli avversari e scommettendo ad occhi chiusi sulla qualità del suo allenatore, che può portare la crescita dei vari Henderson, Coutinho, Sterling e Sturridge come elementi a suo favore.
Il lavoro di sviluppo dei singoli anche tramite il gioco collettivo sarà fondamentale per portare a compimento tutto il potenziale ammassato nella rosa dei reds.

27 giu 2014

Brazil2014: Top&Flop Generali - Terza Giornata

Top

Messico: una squadra unita, ben preparata e perfettamente conscia dei suoi limiti. Il punto di forza è l'organizzazione difensiva che si fonda sull'esperienza di Rafa Marquez, ma poi sanno ripartire e trovare il gol. Contro la Croazia hanno giocato in modo perfetto, gestendo i ritmi e colpendo quando si è presentata l'occasione. Molto più ostici di quanto si pensi. 

Iran: ok, hanno fatto un punto e un gol in tre partite, ma sinceramente che dovevano fare? Il movimento calcistico iraniano è limitato a dire poco, ma Queiroz è riuscito a dare a questo gruppo una sua identità, pure molto forte. Gruppo compattissimo, blocco difensivo fisico e tattico, corsa al limite dello spasmodico anche per i giocatori più di classe. Mentalità da applausi.

Stephen Keshi: sottotitolo, l'Africa agli africani. Dopo aver vinto la Coppa d'Africa porta la Nigeria agli ottavi con una gestione accorta. Riesce a scuotere l'ambiente dopo un inizio rivedibile, non perde la bussola e punta sugli uomini giusti. La sua squadra non farà spettacolo, ma lotta e ha una fisicità esplosiva pericolosissima che non permette distrazioni. Non servono per forza presunti santoni europei per far giocare i neri.

Grecia: non siamo ancora ai miracoli dell'Europeo 2004, ma questi ottavi di finale sono un'impresa. La squadra è modesta e ha passato le prime due partite a costruire barricate, fossati e ponti levatoi. Con la Costa d'Avorio invece hanno messo in campo un minimo di gioco, e il dio del calcio ha deciso di premiarli. Uomo della provvidenza Samaras, freddo dal dischetto e senza contratto.

I baffi di Fred: la moda del momento per i brasiliani, portano pure fortuna al centravanti che riesce a sbloccarsi dopo un inizio difficile. Ti vogliamo come Lemmy dei Motörhead entro la finale.

I colpi di testa di Suarez: lungi da me difendere il cannibalismo, ma se Suarez fosse solo un giocatore immensamente forte sarebbe noioso come Messi. I suoi colpi di testa (anzi, di denti) sono sempre inaspettati e incredibili, fossi il suo psicologo un po' mi vergognerei per i soldi rubati. Il fatto che sia sostanzialmente sotto daspo per quattro mesi è la ciliegina sulla torta della simpatia.

La diffusione internazionale della difesa a tre: questi Mondiali stanno dimostrando che il mondo tatticamente impara. Non ci sono più squadre sprovvedute (tranne, forse, l'Honduras, ma gli si vuole bene lo stesso) e sono diffusi diversi stili di gioco. In particolare non ricordo un simile ricorso alla difesa a tre (o a cinque se preferite), sia come modulo base che come conseguenza dei movimenti in corso. Per alcuni è una scelta difensiva utile a coprire limiti dei singoli, per altri un modo di sviluppare il possesso palla. 




Flop

Olanda: ovviamente non si discutono i risultati, ma non mi aspettavo questo integralismo da Van Gaal sulla difesa a tre. Nell'ultima, inutile partita col Cile ha snaturato vari giocatori pur di mantenere il credo tattico, con un Kuyt esterno sinistro a tutta fascia che grida vendetta. Una forzatura decisamente eccessiva e non necessaria. Un' Olanda duttile avrebbe avuto ben altro fascino, ma soprattutto così la rosa sembra decisamente composta male. E Huntelaar? Perchè ostracizzarlo così? Tanto valeva lasciarlo a casa.

Costa d'Avorio: la generazione d'oro, una delle migliori dell'intero calcio africano, ha fallito ancora una volta. Succede sistematicamente da un decennio, ma questa era l'ultima occasione per molti. Tanto forti nei nomi quanto incapaci di trovare una quadratura una volta messi insieme con la maglia arancione, e la Grecia non sembrava un ostacolo insuperabile. Spreco incalcolabile.

Croazia: una rosa di talento che si è decisamente persa sul più bello. Primo fra tutti Niko Kovac ha portato confusione cambiando troppe cose, cercando forse il colpo a sensazione. Col Brasile l'atteggiamento sbagliato ha portato la squadra a rinunciare alle sue qualità migliori, nella partita decisiva col Messico lo spostamento del terzino Pranjic a centrocampo ha indebolito in una mossa sola due reparti. Poca cattiveria, troppa mollezza, nessun vero leader soprattutto nel reparto avanzato.

Le simulazioni di Chiellini: se sei grande e grosso, hai basato la tua intera carriera su fisicità e irruenza e di norma meni come non ci fosse un domani semplicemente non puoi volare a terra per ogni mosca che passa sul campo da calcio. Un atteggiamento che fa schifo, punto.

Italia: l'arbitraggio è stato indubbiamente un fattore, è indiscutibile (anche se c'era un rigore per l'Uruguay, come ce n'era uno per la Costa Rica). Ma l'Italia che aveva intenzione di fare? Il Mondiale azzurro è sostanzialmente finito al gol di Bryan Ruiz, da quel momento in poi encefalogramma piattissimo, anche evidentemente per gravi problemi di gruppo che hanno impedito qualsiasi reazione di carattere. Prandelli ci ha messo del suo con cambi cervellotici figli probabilmente di scarsa lucidità, ma i giocatori in campo non sono proprio sembrati in grado di produrre qualcosa di pericoloso e se non sei in grado di segnare c'è poco da lamentarsi degli arbitri. Qualcuno poi ci spiegherà l'imbarazzante condizione atletica della totalità della rosa? O la generale incapacità di giocare al caldo dopo essersi inventati casette per replicare il clima? Manco l'Italia fosse un paese artico.

La difesa della Svizzera: una squadra che in tempi recenti costruiva la sua forza su una retroguardia quasi impenetrabile all'improvviso si scopre tanto, troppo svagata. I centrali fanno a gara a chi va più in affanno, nessuno segue i tagli e i centrocampisti difensivi sembrano in decisa apnea fisica. La demolizione subita dalla Francia poteva preoccupare, subire per un tempo dall'Hoduras è ben più che un campanello di allarme.

Il gioco del Brasile: ormai è chiaro che Scolari vuole replicare de facto la difesa a tre che lo ha portato a vincere nel 2002, con Luiz Gustavo nuovo Edmilson. Il problema è che il piano di gioco del Brasile si limita a un paio di movimenti, il resto è improvvisazione. Reparti lunghissimi soprattutto quando il mediano scala dividono la squadra in tronconi. Basta un accenno di pressing posizionale per costringere al lancio lungo sistematico che avviene sempre sugli esterni, risultando ulteriormente prevedibile. Non è prevista alcuna possibilità di scambio corto palla a terra sostanzialmente fino alla trequarti offensiva e per lo più i due mediani giocano sulla verticale uno dell'altro. Dire tra l'altro che Paulinho stia giocando è una gentilissima concessione.

L'attacco dell'Argentina che non si chiama Leo Messi:
capisco il sacrificio, capisco che Messi sia la grande speranza, capisco tutto. Ma zero gol prodotti tra Palacio, Lavezzi, Aguero e Higuain contro Bosnia, Iran e Nigeria sono decisamente contro le aspettative. Higuain che nel 2010 era stato devastante sembra tutto tranne una prima punta, sempre a uscire dall'area per cercare i cross e le imbucate. Il Kun è stato semplicemente invisibile fino all'infortunio che ha chiuso il suo Mondiale, e parliamo di uno che in una realtà parallela è il 10 e il fulcro di questa Argentina. Senza di lui il titolare probabilmente diventa Lavezzi, che più che corsa e buona volontà non sembra in grado di dare. Ad oggi salvo per impegno e intelligenza il solo Palacio, che infatti si è visto appena. L'Argentina non può andare avanti se non si sveglia almeno un'altra punta.

Fabio Capello: la Russia a livello di talento non è nemmeno lontana parente di quella del 2008, in cui il solo Arshavin valeva tutti i giocatori di oggi sommati, quindi il lavoro del ct italiano non è stato di certo facile. Però sei Fabio Capello e prendi una vagonata di rubli per stare in vacanza a mangiare uova di storione, quindi non mi accontento di una squadra coperta con un certo ordine tattico. Valore aggiunto dalla panchina zero, soprattutto nei cambi. Bisognava aspettare la terza partita per capire che Kokorin da solo risultava troppo leggero?

23 giu 2014

Brazil2014: Top&Flop Giocatori - Seconda Giornata

Top

Guillermo Ochoa: il portiere disoccupato che divenne eroe. Una partita perfetta per posizionamento e reattività, Neymar se lo sognerà ancora per qualche giorno.

Rafa Marquez: padre spirituale di tutti i centrali chiamati ad impostare, a 35 anni gioca solo di classe e senso della posizione, ma basta e avanza. Sagacia tattica da vendere, per il Messico i suoi movimenti sono fondamentali per passare dalla difesa a 5 a quella a 4. Potrebbe leggere il "gioco" di Scolari anche durante la siesta.

Arjen Robben: è arrivato al Mondiale caricato a pallettoni. Pochi si ricordano del suo infortunio alla vigilia di Sudafrica 2010 che ne limitò il rendimento, ha un conto in sospeso dopo gli errori in finale, Van Gaal lo sa e canalizza la sua furia mettendolo seconda punta libero di svariare. Che abbia preso ispirazione dal suo omologo capelluto Cerci? Pericolo costante, in accelerazione semplicemente imprendibile.

Tim Cahill: inventato punta per necessità, mette esperienza e capacità di inserimento al servizio dell'Australia. Vede la porta meglio di molti attaccanti moderni e segna un gol da antologia, al volo col piede debole. Prendere appunti, l'attaccante si fa così.

Ivan Perisic: forse il più sottovalutato dei giocatori di qualità della Croazia, contro il Camerun mette in campo un talento a 360°. Corsa, piedi, visione di gioco, tiro, capacità di adattarsi. Magari non sarà mai il go-to-guy, ma è un elemento di complemento di livello assoluto.

Edu Vargas: può essere il simbolo del Cile di Sampaoli, insieme ad Aranguiz e Diaz. La U de Chile si è vestita di rosso e ha ancora voglia di travolgere tutti. Contro la Spagna si muove costantemente sgusciando via da ogni marcatura e segna un gol solo apparentemente semplice.

James Rodriguez: segna di testa la rete che sblocca la partita e col suo pressing fa partire la transizione che porta al secondo gol. Due cose in teoria non nel suo repertorio, tanto per far capire quanto talento ha questo ragazzo. Tecnicamente bravissimo ad adattarsi alle necessità della squadra, proponendosi come regista arretrato o come rifinitore più avanzato, regalando sempre giocate di qualità. Leader vero.

Luis Suarez: quest'anno è semplicemente incontenibile. A mezzo servizio segna 2 gol all'Inghilterra che fanno tornare la celeste nei radar di questo Mondiale. La sua sola presenza cambia tutto.

Yacine Brahimi: un giocatore che fa esattamente la partita che ogni tifoso chiede a un suo eroe. Corre più di tutti, pressa chiunque, segna e trova pure il tempo di dare qualità alla manovra. Forse la miglior partita della carriera, nel momento più importante.



Flop

Ramires: è Scolari a mandarlo in campo, quindi il grosso della colpa va al ct. Come ala può essere utile in partite totalmente difensive, contro la solida difesa del Messico servirebbe qualità e inventiva. Il keniota (e già se sei un brasiliano soprannominato così un motivo ci sarà) risulta addirittura dannoso alla causa del Brasile, facendo collassare nei suoi limiti tecnici una manovra già farraginosa di suo.

Sergio Busquets: simbolo di un sistema di gioco ormai arrivato al tramonto. Vaga per il campo senza costrutto, imbambolato dalle trottole cilene, trovando solo appoggi semplici senza tentare mai nulla. In più sbaglia pure un gol semplice davanti alla porta. Personalità cercasi, magari insieme a nuovi compagni che facciano tutto.

Andres Iniesta: l'eroe di Sudafrica 2010 sbatte contro i limiti dei compagni attorno a lui. Deve improvvisamente fare tutto, si perde spesso in mille dribbling sul posto, per quanto sia l'ultimo a mollare i suoi sforzi sono costantemente frustrati. Anche lui dovrà affrontare il ricambio dei compagni di mille battaglie, diventando l'uomo di riferimento.

Danny Welbeck: come sempre possibilità di fare tutto per non concludere nulla. Il perenne equivoco in campo finisce per trasformarsi in un limite troppo grande per una squadra non amalgamata e con evidenti problemi di leadership. Tende a giocare da solo, a cercare spunti individuali, a ritardare le scelte. Un lusso che non ci si può permettere, almeno in questa Inghilterra.

Steven Gerrard: ok, siamo severi, ma quello visto nelle prime due partite non è il magnifico capitano del Liverpool. Anche per colpa dei disastri di Hodgson si trova solo in balia di molti, troppi avversari e non sembra avere le energie per lottare. Peccato debba chiudersi così la sua carriera in bianco.

Giorgio Chiellini: la difesa a 4 porta alla luce tutti i limiti di un difensore e il centrale della Juve ne ha diversi, indipendentemente dall'andamento della partita contro i Ticos. Errori di posizione e cattive letture sono ben più gravi dei vistosi lisci e del fallo da rigore non visto dal direttore di gara. Purtroppo in alcune situazioni ha pure la brillante idea di impostare il gioco.

Valon Behrami: la Francia passa un tempo intero a passeggiare su difesa e centrocampo svizzeri senza trovare opposizione alcuna, Il giocatore del Napoli in più partecipa attivamente al gol del 2-0, demolendo le speranze della sua squadra. Fisicamente sembra abbastanza limitato, e senza il fisico è meglio che non stia in campo (infatti è sostituito dopo 45 minuti).

Emir Spahic: non riesce in alcun modo ad opporsi al numero 9 della Nigeria. Fisicamente viene sovrastato, in velocità non ne parliamo, non lo aiuta il senso della posizione, non riesce nemmeno a metterci cattiveria. Prestazione non da capitano, che riflette una certa mollezza di tutta la Bosnia.

24 lug 2011

CA2011: Finale

Uruguay-Paraguay 3-0
12' Suarez, 42', 89' Forlan

E' finita come doveva finire. Una piccola, piccolissima nazione di nemmeno 3.500.000 anime di trova sul tetto del Sud America.

Inutile girarci attorno: l'Uruguay ha dominato la finale ed è stata la miglior squadra della manifestazione. L'unica ad andare in crescendo, a reagire dopo un inizio balbettante, a mostrare a tutti gioco, garra, capacità tattiche e l'immenso talento dei suoi uomini simbolo, il 10 e il 9, Diego Forlan e Luis Suarez.
El Cachavacha aveva l'incubo del gol in questo torneo, e l'ha sconfitto grazie a una doppietta di sinistro, che lo consacra miglior marcatore di sempre della seleccion celeste con 31 gol (ma Suarez a 21 incalza, eccome). Due gol ovviamente decisivi, come spesso nella carriera di Forlan (vedi doppietta in finale di Europa League), nel contesto di una partita giocata da dominatore vero, con totale controllo del gioco e della sua, pronome possessivo da intendere in senso letterale, squadra. Accanto a lui Luis Suarez, grandissimo talento da 111 gol nell'Ajax, si è consacrato giocatore di spessore forse unico per completezza tecnica assoluta. Prima punta, seconda punta, rifinitore non fa differenza, la scuola-Forlan non mente, e i suoi 4 gol sono la ciliegina su un torneo giocato da miglior giocatore, Guerrero permettendo.
Conferma importantissima dopo il Mondiale per la miglior coppia d'attacco a livello di nazionali.

Contro di loro il Paraguay ha potuto fare davvero poco.
Solita strategia: Justo Villar contro tutti, e speriamo che Dio sia paraguaiano.La rinuncia questa volta a Lucas Barrios per impostare una squadra ancora di più votata alle ripartenze veloci sa tanto di ennesima prova di catenaccio. I primi minuti sembravano il solito copione, con grandi parate del portiere e salvataggi vari tra il miracoloso, l'illecito (mani nette di Ortigoza) e il disperato, ma la ruota gira per tutti come dimostra la doppia deviazione che ha portato all'1-0 e la traversa centrata da Valdez nel secondo tempo.
Dopo aver subito il primo gol della fase a eliminazione sono venuti fuori tutti i limiti di questo tipo di calcio, sia per sterilità offensiva che per difficoltà a difendere quando si devono spostare degli uomini in attacco. Il Paraguay merita più di questo calcio e i talenti li ha, come Zaballos, Estigarribia, Valdez, Barrios, Santa Cruz (se stesse in piedi), Barreto e Ortigoza, lento quanto volete, ma uno dei pochi registi veri visti in tutta la Copa. Per quanto riguarda difesa, portiere, garra e voglia di sacrificarsi se ne trova pure troppa.

Forlan corona così un sogno che sa tanto di tradizione di famiglia, avendo suo nonno e suo padre già vinto la Copa, e regala al suo paese la quindicesima vittoria che porta l'Uruguay ad essere primo nell'albo d'oro staccando l'Argentina ferma a 14. Una bella iniezione d'orgoglio dopo il quarto posto ai Mondiali per un paese che si considera il padre del calcio con le due vittorie olimpice del '24 e del '28 seguite dai Mondiali 1930 e 1950.
L'Uruguay ha portato a casa la sua Copa, in Argentina dopo aver eliminato i padroni di casa. Come l'ultima volta che la Copa si era giocata nella terra di Maradona.
Tutti tranquilli in Brasile per i Mondiali 2014?

6 lug 2011

CA2011: Top&Flop Giocatori - Prima Giornata

Flop

Lionel Messi: al solito con la camiseta iniziano i guai. Vuole giocare da solo contro il mondo ed è nervosissimo anche contro la modesta Bolivia. Il vero Messi è ancora a Barcellona.

Ezequiel Lavezzi: titolare a sorpresa, conferma anzi esalta i limiti che ha anche a Napoli. Non basta correre per essere un nazionale argentino.

Edinson Cavani: dura la vita da esterno d'attacco, come del resto è successo spesso in nazionale e al Palermo. L'impegno e la corsa ci sono, aspettiamo un lampo della classe mostrata nell'ultima Serie A.

Paulo Henrique Ganso: numero 10 alla ricerca di se stesso ormai da quasi un anno, la situazione potrebbe diventare preoccupante.

Lucas Leiva: simbolo di una mediana verdeoro incapace di mettere insieme due passaggi, tanto da costringere sistematicamente i difensori all'impostazione.

Juan Arango: siamo severi, vero. Ma è il miglior giocatore del Venezuela per esperienza e fallisce la clamorosa occasione per battere il Brasile.

Top

Josè Paolo Guerrero: e con lui tutto l'attacco del Perù, che sfiora il colpaccio contro l'Uruguay, una delle favorite. Ha la tecnica, il fisico e l'intelligenza tattica per mettere in difficoltà da unica punta tutta la linea difensiva celeste. Avesse segnato il secondo gol sarebbe stato forse troppo.

Jorge Enriquez: gran mastino di centrocampo di un Messico giovane e (troppo) sperimentale, non si arrende mai al palleggio del Cile, mettendoci gran lettura del gioco, tanto dinamismo e anche un minimo di regia.

Luis Suarez: la guida dell'Uruguay, prova a vincere la partita, ma viene abbandonato dai suoi compagni. Mette in mostra classe e tecnica sia lontano dalla porta che in area, sa segnare e distribuire assist.

Sergio Aguero: il genero di Maradona entra in campo e cambia la partita. Una scossa elettrica pura per l'attacco asfittico dell'Argentina, tra serpentine tiri e passaggi sempre precisi. La domanda è: perchè sta in panchina?

Adrian Ramos: goleador a sorpresa di una Colombia che produce talenti. Di certo tra i meno attesi, si dimostra una zanzara decisamente fastidiosa, ottimo complemento a un giocatore come Radamel Falcao.

Nestor Ortigoza: sarà grasso, sarà un comodino, ma in mezzo al campo detta legge. Gestisce il pallone e tutti quelli che orbitano attorno a lui.

Josè Rondon: lotta contro i giganti Lucio e Thiago Silva, la notizia è che non solo non ne esce sconfitto, ma rischia addirittura di vincere. Non sarà tecnicamente raffinato, ma a una punta si chiede anche altro, e parliamo di un classe '89.

22 giu 2010

WC2010: Top&Flop Giocatori - Seconda Giornata

FLOP

Lukas Podolski: se nel calcio non contasse segnare avrebbe giocato una grandissima partita. Purtroppo per lui e per la Germania riesce a sbagliare tutti i tanti tiri che prende, compreso un rigore.

Nicolas Anelka: una grandissima stagione al Chelsea da rifinitore dietro a Drogba, prima punta all'improvviso in nazionale. Non vede mai palla e fa scoppiare un putiferio.

Frank Ribery: anche peggio della prima, perchè autoproclamatosi leader e fonte del gioco, eliminando di fatto Gourcuff. Si perde dietro ai suoi inutili dribbling e chissà quali altri problemi.

Fabio Cannavaro: lui in prima persona vive del ricordo del Mondiale 2006, insieme a chi lo schiera titolare.

Alberto Gilardino: semplicemente invisibile dietro ai difensori della Nuova Zelanda, non esattamente il meglio del panorama mondiale. A essere cattivi, bisognerebbe iniziare a chiederci se ci sia mai stato in nazionale maggiore.

Cristiano Ronaldo (minuti 1-55): a dire poco irritante, gioca da solo e con un macigno sulle spalle (il gol che mancava da un anno e mezzo).


TOP

Milos Krasic: l'esatto opposto della prima partita, una costante spina nel fianco della difesa tedesca, da vero esterno. Da lui parte il cross che porta al primo gol serbo di questo mondiale, lampi di classe.

Diego Forlan: uno spettacolo. 10 vero a distribuire palloni di destro e di sinistro, fonte di gioco e goleador di giornata. Cos'altro chiedere a un leader?

Luis Suarez: il talento dell'Ajax questa volta risponde presente. Non trova il gol, ma tra dribbling, cross e giocate è sempre un pericolo per il Sud Africa.

Diego Perez: mediano difensivo di grande intensità, un vero frangiflutti su cui si ferma ogni manovra del Sud Africa. Poco visibile, tantissimo prezioso lavoro oscuro da cui parte il gioco dell'Uruguay.

Raul Meireles: uomo-ovunque del Portogallo joga bonito. Corre, pressa, cuce il gioco e si inserisce con precisione, dando gol e assist alla sua nazionale. Un centrocampista completo come pochi, che sguazza negli spazi.

Tiago Mendes: quasi non si vede, ma ogni pallone che tocca diventa oro. Il centrocampista incaricato di dare qualità al Portogallo non si tira indietro vedendo tutto quello che si muove negli spazi e andando anche ad attaccarli (con successo visti i due gol).

Cristiano Ronaldo (minuti 55-95): si ricorda che ha dei compagni, inizia a passare palloni veloci e precisi e a sfruttare il suo dribbling e la sua velocità. Trova un gol e due assist. Quando gioca non si ferma.

Carlos Tevez: uomo simbolo assoluto dell'Argentina, con buona pace di Messi, Maradona e compagnia. Fisicamente un toro, corre più di tutti e porta in campo vagonate di qualità. Assist, dribbling, tiri. Una punta completa come poche, in forma strepitosa.

Jean Beausejour: di origini haitiane, esterno sinistro del Cile di Bielsa, bravissimo ad andare sempre sul fondo crossando con continuità. Grandissima corsa (come tutta la squadra), conferma le sue qualità dopo il gol vittoria alla prima giornata.