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26 nov 2018

Caos Libertadores


Doveva essere il giorno del giudizio, il punto di non ritorno, la data che avrebbe sancito la sorte di intere generazioni di tifosi argentini, la guerra dei mondi e via dicendo, tuttavia è stata l'ennesima puntata di una storia fatta di mancata organizzazione e interessi che vanno ben oltre il campo di gioco. Insomma, una "normale" giornata calcistica oltreoceano, con disordini, pietre volanti, sceneggiate, notizie di tutti i generi che si rincorrono tra smentite e conferme, con la cassa di risonanza che solo un Superclasico in finale di Copa Libertadores può creare.

Forse per la prima volta la competizione più importante del Sudamerica può competere con la Champions League e il Mondiale, perché non c'è appassionato che si voglia perdere la partita del secolo e non c'è testata giornalistica che possa pensare di rinunciare alla copertura dell'evento più goloso dell'anno. È facile seguire Boca-River: un po' di retorica, qualche aneddoto, due interviste agli ex che sono passati dal tuo paese, parole roboanti e il pezzo è pronto. È ancora più facile preparare qualche riga di profonda indignazione e disdegno, perché in fondo vanno bene la guerra o lo scontro tra fazioni, ma inteso in termini sportivi. A memoria, di termini sportivi in queste settimane se ne sono letti ben pochi e un po' sorprende lo stupore per quanto accaduto nella capitale argentina, che negli ultimi tempi a livello sociale ed economico non sta attraversando un'epoca dorata. Accendere la tv o atterrare a Buenos Aires pensando di vivere un meraviglioso evento di sport era un'utopia che neppure il più ottimista tra gli addetti poteva immaginare.

Ciò che è accaduto sabato sera va senza alcun dubbio oltre i limiti dell'accettabile. Tuttavia, nonostante questo, si tratta di avvenimenti che dovrebbero essere inseriti in un contesto che permetta quantomeno di capire cosa è accaduto, in quale modo e in quale ambiente.


I fatti

La cronaca delle ore antecedenti il Superclasico di ritorno al Monumental è piuttosto chiara: il pullman del Boca Juniors, lasciato il ritiro prepartita, è oggetto di una sassaiola a qualche centinaio di metri dallo stadio. Si rompono alcuni vetri e a riportare le conseguenze peggiori è il capitano degli Xeneizes, Pablo Perez, colpito all'occhio da alcune schegge. La polizia, nel tentativo di ripristinare l'ordine, lancia lacrimogeni che finiscono per intossicare parte della rosa del Boca. Nelle ore successive la Conmebol spinge per far disputare l'incontro, il Boca si oppone e, al termine di un infinito tira e molla, ottiene il rinvio della partita a domenica, forte del supporto del River Plate. Nel frattempo all'esterno dello stadio della Banda il disordine prosegue, tra scontri e furti d'auto. Mentre i tifosi presenti allo stadio iniziano ad abbandonare l'impianto, c'è anche chi riesce nel tentativo di irrompere dall'esterno, in cerca dei giocatori rivali, secondo alcuni, in cerca di biglietti, secondo altri.
Il giorno seguente i tifosi di casa iniziano a riempire nuovamente il Monumental, ma, dopo la visita dall'oftalmologo, Pablo Perez non riceve l'ok medico e il Boca ottiene un ulteriore rinvio a data da destinarsi. L'obiettivo: una vittoria a tavolino.


L'antecedente

Quando si parla di Boca, River e lacrimogeni il richiamo al 14 maggio 2015 è inevitabile. Si tratta del ritorno degli ottavi di Copa Libertadores, disputato sette giorni dopo l'andata al Monumental conclusasi 1-0 per i Millonarios. I giocatori del River, al rientro in campo dopo l'intervallo, subiscono un attacco con una bomboletta di spray urticante lanciata all'interno del tunnel che porta al terreno di gioco. Dopo più di un'ora di discussioni, con il Presidente del River D'Onofrio sceso in campo a battagliare verbalmente con dirigenti boquensi e direttori della Conmebol, l'arbitro Dario Herrera sancisce la fine dell'incontro: vittoria del River a tavolino e squalifica dalla competizione in corso per il Boca. Il "gas pimienta" lanciato da un barra brava del Boca, Adrian El Panadero Napolitano, passerà tristemente alla storia, diventando oggetto di infinite discussioni e prese in giro tra rivali.


E adesso?

Inevitabile dunque chiedersi se questa volta la vittoria a tavolino toccherà agli Xeneizes: non da escludere, ma molto improbabile, perché, a differenza del 2015, i fatti si sono svolti a centinaia di metri dallo stadio Monumental e il responsabile della sicurezza, in quella zona, non è il River Plate. C'è qualche precedente, anche in occasione di altri finali, e finora la vittoria non è stata assegnata a tavolino. Le differenze con quanto accaduto alla Bombonera sono evidenti e il tempo che trascorrerà da qui a martedì, data in cui verrà presa un'ulteriore decisione sulla data della finale, servirà al Millo per raccogliere ulteriori prove a proprio vantaggio. La Conmebol, che voleva disputare la finale a tutti i costi sabato sera, non è mai sembrata orientata verso la sospensione dell'incontro e difficilmente si esporrà in tale direzione.


▪ Di chi è opera l'attacco?

Nella narrazione del futbol argentino, delle sue leggende e della sua mistica, ci si dimentica spesso di chi, in questo calcio, ha un peso pari, se non superiore, a giocatori e dirigenti: i barrabravas. La loro fama ha superato i confini nazionali e continentali, spesso per il folklore e il tifo caloroso, meno frequentemente per ciò che in realtà rappresentano: organizzazioni criminali. La Barra ormai ha un potere e un'influenza che vanno ben oltre la curva o lo stadio, grazie ad agganci diretti con la malavita e rapporti più o meno chiari con la politica. Tifo organizzato e spaccio di droga sono un binomio inseparabile, tanto che la rivendita di biglietti passa ormai per normalità.
Non è un caso che gli scontri tra diverse fazioni all'interno della stessa Barra finiscano spesso sulle pagine di cronaca nera: comandare il tifo organizzato è un'attività remunerativa e la lotta per il potere è spietata. C'è chi sostiene che lo stesso Panadero di cui sopra, membro di un gruppo passato in secondo piano nella gerarchia della Doce e diffidato dall'ingresso alla Bombonera, abbia lanciato il gas urticante proprio per mandare un segnale ai vertici della Barra xeneize e del club.


Sabato l'assalto al pullman del Boca non è stato opera di passanti innervositi dal saluto poco carino di Gago o da ragazzini un po' sopra alle righe: è stato un agguato studiato a tavolino dai Borrachos del Tablon, la Barra del River Plate.


▪ Il movente?

Qualche giorno fa un'irruzione delle forze dell'ordine ha permesso il recupero di 10 milioni di pesos, 15mila dollari e oltre 300 biglietti per il Superclasico. Il proprietario? "Caverna" Godoy, il capo della Barrabrava del River Plate. D'Onofrio, il presidente dei Millonarios, è stato abbastanza chiaro quando ha parlato di "10/15 persone", facendo intendere il riferimento.
Il pensiero della Barra? Senza di noi questa partita non si gioca. Ed ecco che allora anche l'irruzione nel Monumental assume contorni diversi e c'è chi riporta notizie di tifosi aggrediti e tentativi di furti dei preziosissimi tagliandi. A tal proposito è da considerare quantomeno rivedibile la scelta del River di mantenere validi i vecchi biglietti per il recupero (eventuale?).


Le forze dell'ordine

Scortare il pullman del Boca con qualche moto e farlo immettere in un imbuto di tifosi rivali è a dir poco sconsiderato. Qualche settimana fa il Ministro Patricia Bullrich ostentatava sicurezza, riducendo ai minimi termini la preoccupazione per il doppio Superclasico, facilmente gestibile rispetto all'imminente G20. Macrì auspicava addirittura il tanto atteso ritorno dei tifosi ospiti, vietati ormai da anni in Argentina.
Difficile tracciare il confine tra negligenza e collusione, soprattutto senza trascinare in campo riferimenti politici. Qualche giornalista argentino ha parlato di "zona liberada", facendo intendere che la Barra e la Polizia abbiano trovato un accordo dopo la retata ai Borrachos. C'è chi richiama uno stretto legame tra Barra riverplatense e governo Kirchner e chi, negli eventi di sabato, vede un messaggio rivolto all'ex-presidente del Boca Mauricio Macrì, l'attuale capo di stato argentino.



Non c'erano le condizioni per disputare un incontro alla pari e il Boca ha fatto bene a opporsi alle pressioni della Conmebol e di Infantino. Così come hanno fatto bene il River e Gallardo ad appoggiare i rivali. Poco importa se qualche giocatore del Boca, così come accaduto tre anni fa tra quelli del River, abbia approfittato della situazione per un po' di teatro, come l'uruguaiano Nandez, entrato al Monumental in versione mirmidone e pochi minuti dopo disteso in fin di vita negli spogliatoi. A differenza del 2015, quando i giocatori del Boca, escluso Osvaldo, si rifiutarono di lasciare il terreno di gioco nonostante la decisione dell'arbitro, la squadra di casa ha sposato la causa del rivale, forse anche nel tentativo di minimizzare i rischi di un ricorso per l'assegnazione a tavolino. Tentativo andato a vuoto, perché a Casa Amarilla sembrano intenzionati a restituire il regalo confezionato tre anni fa.

Nel frattempo sono emerse immagini di Gago che saluta i tifosi di casa con un dito medio e pare che Tevez abbia mimato la celebre gallina da un finestrino, ma, se effettivamente si tratta di un attacco della Barra, dei colpi di genio dei referenti azul y oro importa poco.

Più curioso è invece il caso di Pablo Perez. Ricoverato per rimuovere le schegge di vetro, seppur non in condizione, sembrava disposto a giocare, fino alla definitiva sospensione dell'incontro. Domenica il capitano Xeneize si è recato alla clinica Otamendi per un nuovo esame, ottenendo un ulteriore stop da parte dei medici. Il direttore del reparto? Il Dott. Heriberto Marotta, responsabile dell'area medica del Boca Juniors.

In tutto questo la Conmebol non ha perso occasione per dimostrare la propria inadeguatezza a livello politico e organizzativo. Tra rinvii, posticipi e comunicazioni random, il massimo organo del calcio sudamericano ha lanciato un perfetto spot del proprio operato in mondovisione. Dapprima facendo la voce grossa e minacciando il Boca in caso di rifiuto a scendere in campo, poi mettendo a rischio la sicurezza dei tifosi rinviando di mezz'ora in mezz'ora la partita. Non ce n'era bisogno, ma è stata l'ennesima dimostrazione che il calcio occupa l'ultimo posto nei loro interessi.

17 mag 2015

I giovani di Boca e River

Il calcio argentino, si sa, non naviga esattamente nell'oro. E non da oggi, quasi da un ventennio. La conseguenza è che anche squadre di blasone come Boca e River hanno un costante flusso di giovani talenti in vetrina, indispensabili per garantire la sopravvivenza economica dei club. In questo ambito la congiuntura attuale è particolarmente favorevole.

Entrambe le squadre infatti presentano un nucleo di giocatori ancora giovani, ma non più giovanissimi, già svezzati, con diverse presenze nei club, un ruolo definito e un impatto sensibile in campo, a cui si aggiungono dei giocatori più esperti che aggiungono qualità e gerarchia. In questo contesto i due colossi di Buenos Aires si permettono anche di lanciare dei giovanissimi, che possono far brillare il loro talento, ancora acerbo, grazie alla solida struttura che li attornia.

Inciso: nell'incontestabile opinione di chi scrive i talenti più stuzzicanti dal punto di vista di estro e qualità stanno nel River.


Boca

Nicolas Colazo: ok, tecnicamente non è così giovane (1990) e gioca nel Boca fin dal 2009. Ma dopo mille infortuni e problemi vari Colazo potrebbe essere arrivato a una nuova giovinezza. Da interno di centrocampo è passato a terzino sinistro, ruolo per cui ha la fisicità e un'interessante sinistro per precisione e potenza. Vista la penuria nella posizione è da considerare.

Cesar Marcelo Meli: uno dei giocatori migliori di questa stagione, Meli è un centrocampista classe 1992 in vertiginosa crescita. Fisicamente impattante (in Argentina) e difensivamente solido, sta dimostrando anche di avere ottime letture negli inserimenti e una certa capacità di vedere la porta. Un centrocampista completo, ottimo come interno.

Andres Cubas:
classe 1996 che ha trovato spazio quasi per caso in una rosa tanto ampia. Ha dimostrato da subito impatto fisico notevole (sempre per l'Argentina), personalità in quantità industriali e una certa calma nella gestione della palla. Gioca come mediano davanti alla difesa, con compiti primariamente tattici e difensivi. Il Boca potrebbe aver trovato il suo Mascherano, per trasmigrare in Europa bisogna capire quanto può pagare il fisico non esattamente da colosso. 

Andres Chavez: classe 1991 e quindi al limite del concetto di giovane, cresciuto nel Banfield in cui si è dimostrato un buon realizzatore, al Boca fa principalmente l'ala, e Arruabarrena punta su di lui per l'impatto fisico (tanto per cambiare). Chavez infatti per i canoni argentini è semplicemente un trattore, però con una capacità apprezzabile di trattare la sfera e vedere la porta. Parlando di attaccanti, un giocatore di intensità rara.

Jonathan Calleri: cresciuto nell'All Boys e al Boca dal 2014, Calleri è una punta classe 1993 che si distingue per mobilità e capacità di corsa. Pur agendo spesso da prima punta svaria molto, si allarga e attacca la profondità con generosità e continuità. Un combattente, da raffinare sotto il profilo tecnico.

Cristian Pavon: la sorpresa del Superclasico di campionato. Attaccante classe 1996 messo da Arruabarrena sugli esterni, si è distinto per applicazione tattica, rapidità e capacità di farsi trovare pronto. Un pallone toccato in area, un gol. In Libertadores veste la 9, qualcosa vorrà pur dire.

Gino Peruzzi: merita un discorso a parte. Considerato soprattutto in Italia un prospetto top con scarsissime basi un paio di anni fa, dal Catania dove si può dire che ha falito è tornato al Boca e sta cercando il suo spazio. Classe 1992, quindi ha ancora tempo, ma al momento è una riserva degli Xeneizes malgrado la concorrenza non sia stellare.


River

German Pezzella: difensore classe 1991 solido e affidabile. L'anno scorso era in rampa di lancio, ma ha pagato il fatto di doversi giocare il posto con un'autorità come Maidana. Ciò nonostante ha sempre risposto presente, sfoggiando prestazioni importanti in partite molto delicate.

Ramiro Funes Mori: anche lui difensore centrale del 1991. Al pari del gemello Rogelio non brilla per continuità e concentrazione, oltre ad avere una certa tendenza a sopravvalutarsi ed eccedere in giocate non nelle sue corde. Ma Ramiro è un difensore con mezzi fisici fuori dal comune, insuperabile nel gioco aereo e affidabile nell'1vs1. La sua dimensione europea potrebbe essere la Liga.

Eder Alvarez Balanta: forse il miglior difensore della Banda, ma senza continuità di impiego da troppo tempo. Martoriato da continui infortuni, il difensore colombiano del '93 rischia di perdersi nel limbo; un peccato, considerate le doti fisiche impressionanti, i piedi discreti e la duttilità.

Emanuel Mammana: il più giovane del lotto difensivo (1996) e quello con il futuro più roseo. A Nunez ne tessono le lodi da anni e i primi passi tra i grandi confermano quanto di buono detto sul suo conto. È un centrale, anche se Gallardo per necessità lo ha dirottato sulla fascia destra, con ottimo senso della posizione, tanta personalità e ottima tecnica. Deve crescere fisicamente e specchiarsi un po' meno quando costruisce la manovra, ma talenti simili non si vedono con molta frequenza.

Augusto Solari: tuttofare classe 1992, il cugino del ben più famoso Santiago è un prospetto non di primo livello, ma uno di quei giocatori che ti danno fin da subito l'impressione di essere "veri". Ha fisico, passo e buona tecnica di base, ma la sua vera forza è la duttilità: non a caso il Muneco lo utilizza indifferentemente da terzino destro, esterno e interno di centrocampo.

Matias Kranevitter: semplicemente il miglior centrocampista d'Argentina. Il volante del '93 lo scorso hanno ha avuto una crescita vertiginosa interrotta soltanto da un fastidioso infortunio al piede. Dopo un rientro lento e difficile è tornato a esprimersi ai suoi migliori livelli, dominando in lungo e in largo il centrocampo. Incontrista impressionante per tempi e posizione, sta migliorando molto anche palla al piede, dimostrando di avere buone letture e velocità di pensiero. Resta soltanto da chiedersi cosa stia aspettando Martino a convocarlo nella Seleccion.

Guido Rodriguez: ha un anno meno di Kranevitter e Gallardo lo ha utilizzato nel finale dello scorso semestre come suo vice. Più compassato e meno incontrista del Colorado, Rodriguez quest'anno ha trovato spazio soprattutto in Reserva. Ha visione di gioco e tocco interessanti, ma è difficile capire dove possa arrivare a livello locale.

Sebastian Driussi: assieme a Mammana e al portiere Batalla è uno dei gioielli della florida classe '96 delle inferiores del River. Da qualche anno è nel giro della prima squadra e, dopo aver patito le eccessive aspettative nei suoi confronti, nel 2015 ha compiuto passi avanti significativi nel suo percorso di crescita. La tecnica non si discute, fisicamente è cresciuto moltissimo e nelle ultime partite ha dimostrato di avere personalità e intensità. Gallardo lo utilizza soprattutto come esterno sinistro di un centrocampo a 4 iper-offensivo o come ala di un tridente, anche se la sua collocazione ideale potrebbe essere da seconda punta di movimento.

Lucas Boye: altro classe '96 usato spesso e volentieri da Gallardo come punta, sia insieme ai "grandi" che come unico riferimento in caso di turnover. Boye è un mix di capacità tecniche e doti fisiche molto interessanti, che però potrebbe avere le sue difficoltà ad imporsi. Ha un fisico da prima punta pura, sa difendere palla e soprattutto ha un'intelligenza tattica nei movimenti fuori dal comune per un ragazzo della sua età, grazie alla quale si adatta a qualunque partner e modulo. Molto buono nel trattamento della palla e capace di usare entrambi i piedi, il suo vero limite è nel vedere la porta. Non pochissimo per una punta, ma l'esempio di Gustavo Bou è lì a insegnare a non avere fretta.

Giovanni Simeone: dopo il Sudamericano da bomber implacabile in molti si aspettavano la sua consacrazione tra le fila dei Millonarios. Ma giocarsi il posto con Teofilo, Mora e Cavenaghi non è facile e Gio avrebbe fatto meglio a insistere per il prestito. Le doti realizzative sono evidenti, ma deve assolutamente crescere nel gioco di squadra e a livello tecnico. Sicuramente arriverà in Europa, resta da vedere se per meriti suoi o per altri fattori.

Camilo Mayada: acquistato pochi mesi fa dal Danubio, l'uruguayano classe '91 ha già messo in mostra tutte le sue doti. È un giocatore duttile, grintoso e forte fisicamente. Può ricoprire qualsiasi ruolo sulla fascia e per Gallardo è già un jolly molto importante.

Gonzalo Martinez: assieme a Mayada è uno degli acquisti del verano argentino. Formatosi nell'Huracan, il trequartista del '93 è un giocatore con prospettive davvero interessanti. Veloce, rapido, tecnico e imprevedibile: il Pity può scardinare qualsiasi difesa grazie alle sue folate e al sinistro micidiale. L'esperienza al River può aiutarlo a compiere il salto di qualità necessario per puntare all'Europa.



(in collaborazione con G.B)

17 nov 2014

Superclasico: qui River

Più si avvicina la sfida con il Boca, più la paura e la tensione si fanno largo tra stanze e corridoi del Monumental. Gallardo fa di tutto per dare l'impressione di avere la situazione sotto controllo, di essere dominato da una fiducia totale e, in effetti, il gruppo lascia intendere di essere sicuro e focalizzato verso la prima sfida con l'eterno nemico.
Tuttavia nessuno avrebbe potuto ipotizzare che il River Plate arrivasse alla settimana decisiva con incertezze e qualche scricchiolio strutturale di troppo, ma infortuni e stanchezza hanno lentamente messo fuori fase i perfetti ingranaggi della macchina schiacciasassi costruita dal Muneco. Un costante rallentamento, a tratti impercettibile, accelerato soltanto dalla sconfitta contro l'Estudiantes e dal pareggio contro l'Olimpo. Il liscio di Ramiro Funes Mori, uno dei migliori nella stagione millonaria, ha messo a nudo le difficoltà che sta vivendo la Banda e ha fatto sorridere più di una persona dalle parti della Boca.

Che il Superclasico sia una partita a sè è stato ripetuto allo sfinimento, ma in fin dei conti è la cruda realtà: sono 90 minuti (180, in questo caso) che amplificano emozioni e sensazioni in negativo e in positivo. Allora quella sottile fenditura di incertezza e paura può diventare uno squarcio in grado di piegare i campioni d'Argentina in carica, costretti inoltre a giocare la prima delle due sfide nella tana del rivale. Si sa, la Bombonera non trema, batte, e il River Plate è consapevole della necessità di arrivare al confronto preparato fisicamente e soprattutto mentalmente. La squadra allenata da Gallardo finora è stata elogiata soprattutto per il gioco espresso, per il ritorno al celebre paladar negro riverplatense, sapendo tuttavia mettere in campo anche personalità assoluta e caparbia tenacia. Ora, all'alba di una settimana decisiva per il semestre millonario (le due sfide con il Boca saranno intervallate dal clasico al vertice contro il Racing di Diego Milito), giunge l'inesorabile momento della verità, con tre partite che potranno proiettare il River del Muneco direttamente nella storia del club di Nunez, tra la Maquina di Pedernera e Labruna e i campioni del '96 di Ramon Diaz, o nell'olvido, l'oblio.

Un'altra eliminazione ad opera degli Xeneizes, dopo la storica semifinale di Libertadores del 2004, è un'ipotesi che al Monumental non può essere neanche presa in considerazione, non dopo la B e l'agognato ritorno ai vertici del calcio argentino. Gallardo, che in questi mesi ha mostrato sorprendente maturità e preparazione a 360°, tecnica, tattica e mentale, potrà finalmente contare sugli uomini migliori, eccezion fatta per il mediano Kranevitter. Un'assenza ogni giorno sempre più pesante, perché il giovane tucumano, fermo in infermeria per una frattura al metatarso, ha lasciato un vuoto incolmabile nel cuore del centrocampo, nonostante l'esperienza di Ponzio e la buona volontà di Guido Rodriguez, altro prodotto delle inferiores. Nessuno infatti è stato in grado di sopperire al ritmo e all'attenzione tattica del Colo, permettendo agli avversari di scovare i difetti della retroguardia e di prendere campo con relativa facilità: una chimera, fino a poco tempo fa.

Grazie al lavoro politico del Principe Enzo Francescoli, l'uomo che più di tutti ha voluto far sedere Gallardo sulla panchina del Monumental, Teofilo Gutierrez è già rientrato in Argentina, esonerato dall'impegno con la Colombia di Pekerman; mentre a nulla sono valsi gli sforzi per riportare anticipatamente a Buenos Aires anche Carlos Sanchez, alla prima convocazione con l'Uruguay. I due stranieri, fondamentali negli equilibri della Banda, dovrebbero in ogni caso presenziare dal primo minuto, per la loro importanza, leadership e per l'avversione del Muneco al turnover. La stanchezza sarà infatti uno dei fattori principali nel determinare le sorti del doppio scontro: Gallardo ha coraggiosamente deciso di voler lottare su entrambi i fronti, ma, come visto nella partita casalinga contro l'Olimpo, gambe pesanti e stress possono portare a qualche passo falso di troppo.

Non resta che attendere, confidando magari in condizioni climatiche che permettano di giocare a calcio e non a pallanuoto, come accaduto nel recente Superclasico del Torneo di Transicion.

13 mag 2014

Matías Kranevitter

Matías Kranevitter nasce nel maggio del 1993 a San Miguel de Tucuman, capitale dell'omonima provincia nell'interior argentino. Affacciatosi in prima squadra già durante la gestione tecnica di Matias Almeyda, il Colorado -o più semplicemente "Colo"- ha trovato spazio e relativa continuità d'impiego con l'avvento in panchina di Ramon Diaz ed è la nota più lieta del River Plate, che domenica si appresta a giocare l'incontro decisivo per la conquista del Final 2014.

Acquistato dai Millonarios a 14 anni, Kranevitter non si può considerare uno che ha bruciato le tappe, pur essendosi tolto le soddisfazioni di vincere, tra le altre cose, una Copa Libertadores U20 e di aver fatto costantemente parte delle nazionali argentine giovanili. Il debutto in Primera è arrivato infatti soltanto a fine 2012 nella vittoriosa sfida contro il Lanus, quando la Banda era gestita ad interim da Gustavo Zapata, e nei mesi successivi il Colo ha collezionato 4 misere presenze, dando comunque la sensazione di poter essere un giocatore importante per il futuro. Nell'ultimo anno la crescita del ragazzo è stata imponente e Kranevitter è entrato in pianta stabile nel giro dei titolari, prendendo spesso il posto dei senatori Ponzio e Ledesma.

Meno tecnico di Lanzini, meno potente di Eder Alvarez Balanta e meno elegante di Quignon -centrocampista lasciato scappare con troppa facilità al San Lorenzo e da tenere d'occhio-, Matias tra i '93 del River è quello che c'è ma non si vede. Mediano d'ordine e di grande acume tattico, è arrivato in Primera in punta di piedi per completare con un po' di forze fresche il centrocampo millonario ed è bastato poco per intuire che le sue caratteristiche sarebbero ben presto tornate utili a Ramon Diaz. Questo perché pochi giovani sanno muoversi come lui tra centrocampo e difesa, leggere bene le situazioni di gioco e dare equilibrio a un sistema molto delicato e complesso come il 4312 studiato dal Pelado.

Alto poco meno di 1 metro e 80 per un peso di circa 75kg, Kranevitter non ha l'energia brutale di un Mascherano o di un Almeyda, né la qualità pura di un Fernando Redondo, però sa stare in campo, sa recuperare palla e la sa muovere con idee e tempi giusti. Il Colo ha senso della posizione, grinta e tempismo che gli permettono di essere un fattore importante in fase di non possesso, grazie all'ottimo senso tattico e alla predisposizione al sacrificio. La puntualità nelle coperture e l'abilità nel saper galleggiare tra le linee ne fanno infatti un perno davanti alla difesa di sicuro affidamento, che presenta il solo limite dello scarso peso nel gioco aereo.
Con la palla tra i piedi, come accennato, non siamo di fronte a un nuovo Veron, ma Kranevitter ha comunque messo in mostra buone doti di palleggio e lettura del gioco. Tocchi precisi, a volte ancora ritardati di qualche tempo complici i ritmi sudamericani, e aperture interessanti, sia in orizzontale che in verticale. Non a caso Ramon alle volte ha preferito la sua varietà "nell'offerta di passaggi" (per richiamare una celebre frase di Marcelo Bielsa rivolta a Carlos Tevez in un Peru-Argentina del 2004) al ritmo compassato e ai passaggi fin troppo prevedibili del Lobo Ledesma.

Ma al di là di tutto a colpire in queste prime stagioni di Kranevitter sono state la personalità e la sicurezza con cui il tucumano ha saputo inserirsi nei meccanismi (non troppo perfetti) del River Plate, senza soffrire minimamente l'insostenibile pressione del Monumental e di una delle maglie più pesanti del continente. Non a caso Sabella lo segue da tempo e il Colo potrebbe essere una delle sorprese nella lista dei 30 giocatori preconvocati in vista del Mondiale brasiliano.

2 ott 2013

Un Superclasico di fantasia


Questa è la settimana del Superclasico e, come ogni semestre, ci si ritrova a scrivere di un intero Paese che si ferma, di una metropoli paralizzata e di milioni di cuori che per novanta minuti interrompono il loro battito. Ma mai come negli ultimi tempi si è fatta sentire l'assenza di spunti tecnici e di stelle di cui parlare, perchè River-Boca è sempre stata una sfida cruenta, di garra e di nervi, ma anche di classe, di grandi giocate e di magnifici giocatori.

L'impoverimento del Superclasico è il riflesso di quanto accade più in generale per il movimento calcistico argentino, sempre fascinoso per tradizione e costante imprevedibilità, quanto orfano dei talenti che anni fa imperversavano su tutti i campi della capitale e dell'interior. I giocatori migliori resistono in patria soltanto il tempo necessario a essere esposti in vetrina e prenotare il biglietto per l'Europa. C'è chi entra dalla porta principale passeggiando su un tappeto rosso, come Aguero e Erik Lamela, c'è chi sceglie la porta di servizio, come Gaitan, Blanco e Ferreyra e c'è chi se ne va in tenera età, come Icardi e Leo Messi. Le fortune sono alterne, ma l'emigrazione calcistica del futbol argentino è una certezza che in fondo anche l'Italia, meta predestinata, conosce molto bene.

Che cosa potrebbe essere allora River Plate-Boca Juniors se i talenti che hanno calcato l'erba del Monumental e della Bombonera fossero rimasti in Argentina? Per puro divertimento abbiamo provato a schierare delle formazioni composte da giocatori che sono cresciuti nei vivai dei due club o che hanno avuto dei trascorsi più o meno di rilievo nelle due squadre, lasciando da parte qualsiasi velleità di trovare una parvenza di credibilità ed equilibrio tattico.
 


Partiamo dai padroni di casa: per il River le numerose opzioni hanno portato a un 4231 a trazione iper-offensiva e di cui il maestro Marcelo Bielsa sarebbe indubbiamente orgoglioso. Tra i pali confermatissimo Barovero, saracinesca del River di Ramon Diaz e portiere che da anni si esprime a ottimi livelli. Davanti a lui una linea a quattro con Roberto Pereyra, Demichelis, Mascherano e Vangioni, l'altro giocatore della Banda attuale riproposto in questo undici. In mediana Esteban Cambiasso e Lucho Gonzalez, i capitani di Inter e Porto. Il quartetto offensivo però è la ciliegina sulla torta, con Lamela, Higuain -nel River ha iniziato da trequartista e la scelta di riproporlo in quel ruolo è votata al romanticismo- e Alexis Sanchez alle spalle del Tigre Radamel Falcao.
 


Per il Boca, come per gli avversari di sempre, la scelta è di optare per un 4231, con una difesa arcigna a coprire una mediana e un'attacco tutti genio e sregolatezza. Tra i pali anche in questo caso confermato il portiere attuale: Agustin Orion. In difesa, da destra a sinistra, Facundo Roncaglia, Nico Burdisso, il Muro Walter Samuel e Clemente Rodriguez -giuriamo che Riquelme non ha avuto voce in capitolo-. La mediana non brillerà per fosforo, ma Guarin e Banega garantiscono forza fisica e talento a volontà. Sulla trequarti ecco Nico Gaitan, Juan Roman Riquelme e Carlitos Tevez a formare un trio meraviglioso alle spalle dell'unica punta Rodrigo Palacio.
 
Per quanto tatticamente improbabili, non male, eh?


In collaborazione con G.D.C.

16 set 2013

Top Argentina - Tifoserie

Dopo una lunga pausa torna Top Argentina, la rubrica tutta albiceleste di Aguante Futbol. Questa volta affrontiamo uno dei temi più scottanti e allo stesso tempo più caratterizzanti del calcio di Buenos Aires e dintorni: le tifoserie. Le hinchadas argentine da sempre hanno un fascino tutto loro, per quel ritmo incalzante dei loro cori, per la fedeltà assoluta ai club con cui i tifosi vivono in simbiosi fin dalla culla e per quella sana follia che, purtroppo, a volte sfocia in folle violenza.
Misurare passione, rumore, colore è impossibile e il compito è dunque proibitivo, pertanto ci teniamo a sottolineare che abbiamo preferito affidarci a sensazioni e simpatie personali, con la consapevolezza di non riuscire ad accontentare tutti e di poter urtare la sensibilità di molti. Anzi, speriamo che questa breve classifica possa toccare l'orgoglio di qualcuno e rappresentare un'occasione per raccogliere diversi punti di vista e preziose testimonianze.


5. Racing Club de Avellaneda: la squadra più problematica da seguire di tutta l'Argentina, con un passato da grande assoluta e un presente enigmatico come pochi. Il titolo del 2001 con in campo Diego Milito, 45 anni dopo l'ultimo, è stato una specie di miracolo sportivo in mezzo a mille eventi incredibili, da talenti sprecati ad allenatori macinati a partite buttate. Eppure i suoi tifosi sono sempre nel Cilindro, pronti a far scattare la valanga umana al primo gol e soprattutto a punzecchiare gli eterni rivali dell'Independiente. Per loro anche un omaggio dal mondo del cinema, ne "Il segreto dei suoi occhi" di Campanella.


"Yo no se como explicar,
que te llevo hasta en la piel.
Sos la droga que en las venas
me inyectaron al nacer."



4. Newell's Old Boys: la squadra è un'autentica fucina di talenti e anche di allenatori, a giudicare da Bielsa e Martino. La tifoseria ha una forte identità anche grazie alla feroce rivalità interna a Rosario con il Central. Hanno cominciato a vincere quando gli altri hanno smesso, si identificano con un calcio bello e passionale a prescindere dai risultati.

"A todos lados yo voy contigo,
esta locura no va a parar."



Onde evitare sommosse popolari, River e Boca terze a pari merito.

3. River: passione infinita tra alti e bassi degli ultimi anni. Il Monumental è un simbolo come il Tano Pasman, che ha fatto capire a tutti il dolore della retrocessione. Loro sono del Gallinero e pur coi loro eccessi (vedi invasione di campo col Belgrano) non sono secondi a nessuno. Hanno lo stadio più capiente d'Argentina e ogni anno fanno il record di presenze.


"Esos colores que llevas,
son parte de la enfermedad,
de la que nunca,
me voy a curar."



3. Boca: la mitad más uno del país, secondo loro. Una curva storica, la Doce, conosciuta in tutto il mondo per la sua capacità di far tremare gli stadi. Un ventennio di trionfi per accendere ancora di più il tifo xeneize. Sono i più famosi di tutti, ci tengono a farlo sapere e a farsi sentire.



"Ni la muerte nos va a separar,
del cielo te voy alentar."



2. Rosario Central: fondata addirittura nel 1889 come squadra dei ferrovieri, vanta 28 titoli anche se quasi tutti arrivati prima degli anni '80. La sua tifoseria è riconosciuta come una delle più calde del mondo (classifica Olé del 2008), ma anche tra le più violente d'Argentina. Il lungo esilio in Segunda Division non li ha calmati.


"En el barrio de Arroyito,
hay una banda loca y descontrolada,
es la banda del Guerrero,
que va a todas partes y no entiende nada."



1. San Lorenzo: un popolo che ha subito di tutto, dallo sfratto dello stadio ai 21 anni di attesa per un titolo. Eppure sono tutti con il Cuervo, pronti a tornare a Boedo e a farsi sentire da tutti. Che il Papa sia uno di loro è un segnale divino che solo una squadra fondata in un oratorio poteva avere. Vengo del barrio de Boedo...


"Vengo del barrio de Boedo,
barrio de murga y carnaval.
Te juro que en los malos momentos,
siempre te voy a acompañar."




In collaborazione con G.D.C.