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7 giu 2016

Ever Banega

Dopo un periodo di scaramantico silenzio è giunto il momento di parlare di Ever Banega. Il suo trasferimento all'Inter non è ufficiale, ma il periodo di raccoglimento ha aiutato a fare chiarezza e a riordinare le idee per poter affrontare l'argomento con lucidità e razionalità. O forse no, perché Ever occupa un posto speciale nei nostri cuori praticamente da sempre. E si sa, l'amore non si sceglie e soprattutto non si affievolisce di fronte a cose banali come la continuità di rendimento, l'instabilità tattica o le vicende extra-calcistiche.

Classe 1988, di Banega si conosce già tutto: giocatore di qualità, testa calda, incostante, inaffidabile in campo e al distributore di benzina, da tenere lontano da webcam e connessioni internet. La carta d'identità non lo qualifica ancora come vecchio, anche se nella percezione lo sembra perché è in circolazione in Europa da quasi dieci anni.
Nel corso del tempo il suo ruolo ha subito un'evoluzione chiara e netta. Al Boca e soprattutto in uno straordinario Mondiale Under 20 con la Seleccion argentina ha iniziato come classico 5 in termini biancocelesti, ossia centrocampista di riferimento davanti alla difesa, tattico nella copertura e incaricato dell'impostazione. Il modello nel ruolo se nasci dalle parti di Buenos Aires è Mascherano ormai da un decennio, ma in chiave Boca Banega era l'erede designato di Gago. Una cosa contraddistingue fin da subito el Tanguito: la straordinaria qualità che ha nei piedi, soprattutto per un centrocampista basso. Banega vede il gioco come pochissimi, col pallone è un giocoliere e ha una personalità devastante per un diciannovenne.


Il suo soprannome, Tanguito, rimanda a uno dei cardini della cultura argentina, cioè il tango. Vedendo giocare Banega anche oggi non si fa fatica a capire perché il suo apodo sia collegato a questo particolare ballo. Ever si muove al suo ritmo come abbracciando la palla, portandola dove vuole in una serie di giravolte per poi improvvisamente accelerare lasciandola andare. Balla una sua personale danza con la sfera, che crea una relazione unica e particolare, sia per lui che per lo spettatore.
Passa al Valencia nel 2008, dopo appena due anni in Argentina, e il suo posto viene curiosamente preso da un certo Gary Medel.

Su di lui ci sono grosse aspettative, che saranno quasi totalmente deluse. Banega è giovane, esuberante, forse troppo conscio delle sue qualità e spesso finisce per perdersi in sé stesso, nelle pieghe delle sue danze sulla palla.
In Spagna il suo calcio, progressivamente, cambia. Diventa chiaro in fretta che per giocare davanti alla difesa la testa non lo asseconda e quindi il suo raggio d'azione si sposta di partita in partita più avanti. In questo indubbiamente lo aiuta la sua qualità decisamente sopra la media, che gli permette di diventare più incisivo sui risultati, ma il vero limite invalicabile è legato alla continuità di rendimento. Ever alterna periodi positivi (pochi) a momenti di buio (molti), sia dentro che fuori dal campo. Appena arrivato esce la storia di un suo video hard ripreso tramite webcam.  Anche per questo non si ambienta e dopo soli sei mesi viene ceduto in prestito all'Atletico Madrid. Gioca coi colchoneros una stagione, quella 2008-2009, non viene riscattato e torna a Valencia, dove prosegue tra alti e bassi fino al 2014.
Nel 2012, quando arrivano le prime voci di un interesse dell'Inter, si infortuna seriamente facendo benzina perché dimentica di mettere il freno a mano alla sua Ferrari. La stessa macchina pochi mesi dopo andrà a fuoco, fortunatamente senza conseguenze per lui. Tutti fatti che uniti al suo carattere non facile e a una certa propensione per alcol e vita nottura non renderanno fruttuosa la sua esperienza al Valencia, malgrado l'allenatore dei suoi primi anni sia lo stesso Unai Emery che oggi l'ha fatto sbocciare al Siviglia.
Nel Gennaio 2014 Banega decide di tornare a casa, al Newell's Old Boys. L'obiettivo è giocare titolare per arrivare al Mondiale. In Primera però le cose non andranno come previsto: il Tanguito fatica a imporsi, perde minuti e alla fine viene tagliato da Sabella dopo la convocazione iniziale nel gruppo allargato per l'Argentina di Brasile 2014. C'è in più un'altra disavventura extracalcistica: il suo nome viene fuori in un'inchiesta su riciclaggio di denaro da parte di bande criminali.

Dopo il passaggio al NOB la carriera di Banega sembra sostanzialmente arenata. A 26 anni, con una reputazione ormai bruciata in Europa, le sue prospettive parlano di campionati minori o di un ritorno a casa fisso, che a quell'età significa fallimento.
Invece Monchi ha piazzato un colpo dei suoi, per la gioia di tutti i tifosi romantici del pianeta. Il ds del Siviglia in fondo è fatto come noi (e per noi intendo gli autori di questo blog): quando si innamora non si fa distrarre dagli orpelli, tiene un posto nel cuore per i suoi pupilli e punta al sodo. Monchi, studioso di calcio come pochi, conosceva le qualità di Banega e sapeva che valevano ad occhi chiusi una scommessa. Quando il valore del giocatore era al minimo ha fatto la sua mossa. Economicamente il rischio era bassissimo, ma tecnicamente l'investitura per il Tanguito era pesante: il suo ruolo designato era raccogliere il testimone di Ivan Rakitic (altra scommessa vinta da Monchi) appena passato al Barcellona. Vale a dire il cuore della squadra di Emery e uno dei migliori centrocampisti in Europa. E proprio il tecnico, che lo accolse al suo sbarco in Europa, si rivelerà fondamentale nella rinascita dell'argentino.
A Siviglia Banega diventa il punto di riferimento della squadra, il regista della manovra. Tutti i palloni passano da lui, non importa se gioca in mediana o sulla trequarti. Rispetto a Rakitic gioca meno in funzione del gol e più per tessere la manovra. Emery insomma gli cuce attorno una macchina ideale per sfruttarne le caratteristiche, e arriverà a vincere due Europa League consecutive. Banega giocherà 94 partite in due anni e risulterà il migliore in campo nella finale contro il Dnipro nel 2015.

Ever firma con l'Inter in quello che è l'apice della sua carriera, arrivato quasi per caso. Il ritorno a casa, nel suo NOB, doveva essere un nuovo inizio, invece ha rischiato di rappresentare la fine. Banega poteva mollare soprattutto di testa dopo il doppio fallimento nel club del suo cuore e nell'Argentina, ma ha accettato una nuova sfida, scommettendo su se stesso. E ha vinto, rivelandosi calciatore come mai prima, diventando anche un titolare di Martino.
Come già scritto, le qualità le ha sempre avute, ma ha sempre avuto anche il problema di metterle in pratica. Al Siviglia sono scomparsi gli eccessi fuori dal campo, e sul campo il Tanguito ha trovato una continuità mai vista. Il suo gioco si è molto semplificato, pulito, in un certo senso raffinato. Banega oggi non cerca giocate fini a se stesse, è in continuo movimento per cercare di ricevere palla e dare sbocco alla manovra. Proprio come un ballerino alla ricerca della sua partner. Se serve sa ancora ballarci assieme, nascondendola agli altri pretendenti, ma sceglie con più oculatezza i rischi da prendersi. Ha imparato a leggere modi e tempi per far girare la sfera conducendo l'azione di tutti i suoi compagni a prescindere dalla posizione in campo. Oltre che un tessitore abile nel palleggio però Ever ha una visione verticale e una capacità di servire i tagli semplicemente unica, a prescindere dalla quantità di metri di distanza dal bersaglio.
Il Banega attuale non ha un impatto devastante in termini di gol e assist, ma a un'analisi più profonda è un maestro assoluto in quello che nel basket è chiamato hockey assist, cioè il passaggio che libera il compagno che poi rifinisce l'assist. Questo perché Ever vede il calcio prima degli altri, e sa spostare le sue pedine per arrivare allo scacco.

12 mar 2015

Hate Parade

Poiché siamo delle persone estremamente rancorose, che non a caso hanno eletto come proprio modello di vita l'eroe argentino Santiago Pasman (al secolo Tano Pasman), abbiamo deciso di stilare una classifica dei calciatori da noi più detestati e mal sopportati.
È una lista provvisoria, perché il nostro astio non ha limiti né pregiudizi: troviamo un capro espiatorio a tutte le latitudini e longitudini, di qua e di là dell'oceano Atlantico, anche se alcuni prediletti hanno oramai raggiunto livelli di disturbo della nostra tranquillità spirituale difficilmente pareggiabili.
Non sono (tutti) giocatori scarsi, semplicemente c'è un motivo per cui al solo leggerli in formazione (ma anche in panchina, o anche a leggerli e basta) scatta una molla nel nostro inconscio e l'odio sgorga. 


Ramires Santos do Nascimento: spesso ci si trova di fronte a giocatori atleticamente molto forti, in grado di fare la differenza sul piano della corsa, ma con un apporto tecnico diciamo ondivago. Difficilmente però se ne trovano di nazionalità brasiliana e pure nel giro della Seleção. Ramires in questo non ha colpe, è semplicemente un ottimo elemento tattico da sfruttare in determinati contesti. Non a caso Mourinho lo sceglie sempre nei match importanti con chiara impostazione difensiva. Il problema è la percezione media di Ramires come giocatore tecnico, forse addirittura funambolo, in grado di fare la differenza in chiave offensiva. E no, i mesi con Di Matteo non valgono in alcun modo come prova. In Brasile hanno una certa fantasia nei soprannomi, tipo "o fenomeno", "o rey do drible/de la pedalada", "l'angelo dalle gambe storte", "la gioia del popolo". Se ti chiamano "il keniota" qualcosa vorrà pur dire.


Lucas Leiva Pezzini: avete presente quello che non fa nulla, non si fa mai notare e quindi la sfanga sempre? E non dico per astuzia, semplicemente perchè è tappezzeria? Ecco, Leiva a centrocampo è così. Sta nella sua zona quindi fisiologicamente avversari e pallone passano, contrasta, gioca la palla il più semplice possibile, fine. Non rischia nulla perchè non tenta nulla, non entra negli highlights nè in positivo nè in negativo. Spunti, tecnica, personalità, tiri, inserimenti? Rivolgersi altrove. Però è biondo, è brasiliano, ha un nome evocativo, quindi fa figo. Sarebbe semplicemente un inutile non giocasse dalla preistoria nel Liverpool e a fasi alterne pure nel Brasile (dove, a onor del vero, hanno chiamato i peggio randagi come mediani difensivi). Pernicioso connubio di inutilità e notorietà.

Danny Welbeck: lo vedi lì, con quel fisico, quella tecnica, quella capacità di muoversi e inevitabilmente pensi che debba spaccare il mondo. Questo succedeva nel 2011 e grossomodo stiamo ancora aspettando. Mai visto un simile cocktail di qualità riuscire ad essere tanto irrilevante su un campo da calcio. Quando pensi abbia fatto una bella giocata e credi di intravedere un lumicino in fondo al tunnel ecco che abbassa la testa e ti ricordi perchè gli hai messo una croce sopra da tempo. In più ha un rapporto complicato con la porta avversaria perchè troppo impegnato a specchiarsi, a pensare al gol bello e ad usare solo il piede destro. Per un wannabe centravanti cose da niente proprio. L'epitome del potrei spaccare il mondo, ma perchè sfruttare con razionalità tutto questo potere?

Fernando Gago: per raccontare l'odio verso il malcapitato Fernando sarebbe sufficiente una breve rassegna stampa. Fin dagli esordi con la maglia del Boca Juniors i giornalisti sudamericani si sono infatti prodigati in paragoni poderosi, come "el nuevo Redondo". In procinto di atterrare in Europa, a Madrid, i colleghi europei, per non essere da meno, hanno subito rilanciato: "Guardiola ha vuelto. Tiene 19 años. Viste la casaca de Boca". Tuttavia il primo gradino del podio è doveroso assegnarlo al guru Fernando Niembro (commentatore di Fox Sports in Argentina) per l'immortale perla: "Gago è arrivato per cambiare la storia del calcio argentino". A quanto pare il messia di Ciudadela ha avuto qualche problema durante il suo cammino, poiché alla soglia dei 30 anni non lo si è visto né camminare sul Rio de la Plata, sul Manzanarre o sul Tevere, né tantomeno prendere per mano la nazionale argentina o una delle squadre di club in cui ha militato. Inoltre la predisposizione agli infortuni, più che un Gesù munito di pallone sotto braccio, lo fa sembrare un moderno Lazzaro a tinte albicelesti. Della classe di Redondo si è visto davvero poco, delle geometrie di Guardiola qualcosina in più, ma nulla che perdoni il paragone e giustifichi la stampa argentina dall'averlo sempre preferito a Ever Banega. Lui sì, talento vero gettato al vento.


Leonardo Ponzio: è tornato in Sudamerica per aiutare il River Plate a risorgere dalle proprie ceneri, forte di un'esperienza europea che lo avrebbe formato come uomo e calciatore, pronto a ricevere in dono le chiavi del centrocampo della Banda. Un giocatore moderno, totale, con geometrie, tiro da fuori, tempi di chiusura e personalità da vendere: un mediano per la Seleccion. O forse no. Le convocazioni in Nazionale sono arrivate (grazie eh, Pachorra), ma il suo impatto nei Millonarios è stato un crescendo di imprecazioni degne proprio del miglior Tano Pasman. Da uno con la sua esperienza ti aspetti almeno la capacità di rimanere sempre lucido, invece è il primo a navigare col pensiero per altri lidi: un concentrato letale di posizionamenti sbagliati, lanci sbilenchi, conclusioni senza senso e idee becere. È in crisi di identità e crede di essere Juan Sebastian Veron, con i piedi di Funes Mori. Ha avuto uno scatto d'orgoglio nel doppio Superclasico di Copa Libertadores, quando almeno ha avuto l'accortezza di picchiare senza remora qualsiasi forma di vita orbitante attorno al proprio unico neurone. Non abbastanza, tuttavia, per perdonargli la panchina extra (erano entrambi alle spalle del Lobo Ledesma) a cui costrinse Kranevitter durante la gestione Ramon Diaz.


Giorgio Chiellini: "un duro", "un guerriero", "un lottatore", "un agonista", "il miglior difensore della Serie A", "uno dei migliori difensori d'Europa", "uno dei primi tre al mondo". Potrei finire qui, senza neanche commentare, perché leggere o sentire certe scemenze sarebbe sufficiente per giustificare la chiusura del blog causa raptus omicida da parte dei poveri autori. È vero che siamo in un'epoca calcistica in cui i difensori veri sono come gli unicorni, ma ciò non legittima il commentatore di turno a propinarci certe nefandezze. Innanzitutto, nonostante il livello medio indecente dei difensori di tutto il mondo, Chiellini non brilla né per senso della posizione, né per continuità, né tantomeno per classe. Come il 90% dei colleghi di reparto deve ringraziare la triste moda della difesa a tre, che permette di nascondere sotto al tappeto buona parte dei limiti tattici di base di un difensore (ciao Ranocchia, ciao Bonucci). Poi c'è la fama da duro che si è costruito nel tempo: ma che rude è uno a cui tutto o quasi è permesso e che al primo contatto inizia a strillare come il primo Neymar di turno? Tra l'essere tosto e l'essere vigliacco il confine è davvero sottile, ma con il difensore di Pisa il problema neanche si pone. Quante volte durante un contropiede lo abbiamo visto tagliare la strada a un avversario con una spallata in pieno sterno e la palla a 50 metri da lui? Quante volte è finito a terra in una pozza di lacrime reclamando una punizione esemplare per l'avversario? Questo blog sta con Luis Suarez.


David Luiz Moreira Marinho: il discorso alla fine è semplice. Vieni considerato da alcuni il miglior difensore del mondo? E allora mi aspetto che saper difendere rientri tra le tue caratteristiche migliori. Telespalla Luiz invece riceve questa investitura facendo altro, tipo segnare su punizione. Curioso mondo a volte il calcio. Il suo problema alla fine è che è nato difensore, ma con la mentalità da attaccante. Punta alla giocata, all'effetto, al prevalere singolarmente e questo lo porta a perdere di vista alcune priorità del ruolo, tipo tenere la linea. Colpa di sicuro di una personalità spiccata, che ha creato un personaggio che in certe occasioni finisce per fagocitare il giocatore. Più passa il tempo, più gli si danno responsabilità più questa cosa si acuisce. Dite che potrebbe non essere un caso il suo spostamento a mediano? Potrebbe.


Sergio Busquets: andiamo oltre il fatto che ha iniziato a giocare in quanto canterano figlio di canterano in un periodo in cui contava tantissimo il pedigree in casa Barcellona. Passi che è al massimo un buon giocatore di sistema spacciato per regista illuminato. Passi che non ha nessuna qualità realmente sopra la media se non l'intelligenza tattica e l'altezza per i canoni dei pari ruolo spagnoli. Passi che è un simulatore senza vergogna. Passi che non fa assist, non segna mai e non è manco forte di testa pur dando venti centimetri ai compagni. Passi che se non esistesse Xavi farebbe al massimo il pivot nel calcio a cinque. Passi che a un certo punto nella Spagna si è veramente pensato di panchinare Xabi Alonso per farlo giocare. Passi tutto, ma al suo nome sono da ascrivere almeno due crimini contro il calcio: la cessione di Yaya Tourè come fosse un signor nessuno (a prescindere dal prezzo, conta il concetto) e la condanna per Mascherano a fare il difensore centrale per anni. Nel Medioevo c'era il rogo per molto meno, e senza prove.


Antonio Valencia: una volta la 7 del Manchester United era roba seria. Poi Beckham è diventato un modello a tempo pieno, Cristiano Ronaldo è andato a Madrid, Sir Alex per una stagione l'ha data a Valencia e le cose sono andate a farsi benedire (inutile sottolineare che dopo un paio d'anni il manager si sia ritirato dalla panchina, e alle coincidenze non crede nessuno). L'esterno dell'Ecuador non è un giocatore singolarmente negativo, solo è mortalmente prevedibile. Nel caso lo United si stia allenando ora, potrei tranquillamente dirvi cosa sta facendo: è largo sulla destra, corre dritto, conduce col destro e cerca di dribblare a destra. In questi quattro (quattro) concetti c'è tutto il gioco di Valencia. Movimento senza palla poco, sinistro inesistente, senso del gol da terzino difensivo, colpo di testa nullo. Tutto questo malgrado una buona tecnica e fisicità da vendere. Miglioramenti negli anni chiedete? Chiaramente zero, ma se volete davvero divertirvi guardatelo difendere da terzino (intendo se non tifate Red Devils). Talento rubato all'atletica leggera, o alle corse campestri, o all'inseguimento dell'ara ararauna, diffuso in Ecuador.

 
In collaborazione con G.D.C.

15 set 2014

Van Gaal tra nuovi acquisti, scelte e problemi di rosa

Per gli amanti delle alchimie tattiche ci sono due squadre da seguire ogni settimana: il Bayern Monaco di Guardiola e il Manchester United di Van Gaal.  L'olandese, facendo due conti, è de facto il maestro del catalano e il loro calcio vede una base originaria comune e un'evoluzione che oggi trova curiosamente diversi punti di contatto.
Per Van Gaal, da sempre, la tattica viene prima degli uomini. Pochi hanno bisogno come lui di tempo e lavoro per tradurre sul campo dettami estremamente precisi. A complicare ulteriormente la questione il maestro Aloysius dopo una vita di integralismo su 4-3-3 e 4-2-3-1 è stato fulminato sulla via verso Rio dalla dottrina della difesa a tre, e quanto sperimentato all'improvviso con l'Olanda è diventato la norma anche sulla sponda rossa di Manchester.

Senza mezzi termini il faraonico mercato dello United si rivelerà fondamentale per permettere all'allenatore di porre in essere le sue idee. Il più grosso vantaggio dell'avere in mano un club di questo livello è appunto la possibilità di realizzare a livello di rosa praticamente ogni desiderio, mentre con una nazionale serve fare di necessità virtù.
I discorsi sulla disposizione della difesa sono solo specchietti per allodole. Per dare fluidità al reparto difensivo, oltre a grinta e fisicità, Marcos Rojo ricopre un ruolo fondamentale. Può fare il terzo a sinistra e il terzino a quattro indifferentemente, permettendo a Van Gaal di cambiare schieramento a seconda dei momenti.
Il nucleo centrale del nuovo modulo del Manchester è il rombo di centrocampo, che non a caso vede tre nuovi acquisti come titolari. Gli altri gli effettivi in campo sono destinati a fare da satelliti attorno a loro. Daley Blind da vertice basso deve portare ordine tattico in fase difensiva e tocchi orizzontali rapidi e precisi per favorire la circolazione, Di Maria e Ander Herrera come interni qualità, trattamento di palla, dribbling e playmaking, Mata pressing, inserimenti in area e rifinitura negli ultimi metri. Di sicuro hanno qualità da vendere, attorno a loro e in base alla loro condizione il gioco è destinato a svilupparsi e crescere. Sarà molto difficile sostituirli in caso di assenza. La principale alternativa, Adnan Januzaj, dovrà faticare parecchio e crescere moltissimo tatticamente per diventare l'alter ego dell'argentino col numero 7. Mi immagino un anno complicato per lui, ma fondamentale per la sua crescita.
Davanti ai centrocampisti il modulo prevede due punte, di cui una deve invariabilmente essere il nuovo capitano Wayne Rooney. Il capitano tatticamente e fisicamente potrebbe ricoprire ogni ruolo dall'interno in su, ma per non disperderne il talento è meglio farlo agire davanti. Proprio nel reparto offensivo la disponibilità economica unita alla smania di acquistare a causa delle prime difficoltà ha però portato a Van Gaal anche un evidente problema di gestione, che si traduce nella scelta del partner del suo numero 10. Robin Van Persie, il vecchio titolare nonchè protagonista assoluto dell'ultimo titolo, si trova infatti improvvisamente a subire la pesantissima concorrenza di Radamel Falcao. Il numero 20 appare in grossa difficoltà fisica, mentre il nuovo 9 dovrà abituarsi alla Premier, all'allenatore e riprendere confidenza dopo l'infortunio che gli ha fatto saltare i Mondiali. Oggi possono partire sostanzialmente alla pari, prima o poi però toccherà all'allenatore scegliere il titolare e gestire un nome ingombrante in panchina, specie in una stagione con solo campionato ed FA Cup da affrontare. Alle nostre latitudini si direbbe ad averne di questi problemi, nella realtà comunque è più scomodo di quanto si ammetta, specie col carattere di Van Gaal.

I milioni spesi in ogni caso non hanno risolto tutto. Le criticità più evidenti sono nel terzino destro e nel portiere.
David De Gea non è mai stato sul mercato e non mi risulta lo si voglia sostituire, tuttavia è quanto di più lontano ci sia dalle richieste di Van Gaal per un portiere. Bravo in porta, grandi riflessi, approssimativo nelle uscite, non del tutto a suo agio col pallone tra i piedi. Se avete visto Cillessen ai Mondiali, semplicemente l'esatto opposto. Riuscirà ad adattarsi o risulterà un pericolo costante?
Il terzino destro invece è un ruolo che può essere ricoperto da Rafael da Silva in chiave più difensiva e da modulo a quattro o da Antonio Valencia. Il brasiliano è un giocatore non all'altezza del ruolo da titolare nello United, il secondo di sicuro non è un terzino pur avendolo già fatto in emergenza (sempre tra il male e il malissimo), può avere un senso giusto da esterno a tutta fascia con difesa a tre. Niente di tragico, ma di sicuro non un punto di forza della rosa.
Un terzo problema è in generale nella linea difensiva, che ha perso tutti i suoi leader storici e deve ricostruirsi a livello sia tecnico che di personalità. Unendo questo e qualche incertezza sugli esterni il reparto diventa decisamente il più enigmatico, anche vista l'evidente vocazione offensiva degli ipotetici titolari. Rojo e il disegno tattico dovrebbero fornire nuove certezze quantomeno nel medio periodo, ma servirà anche una crescita dei vari Evans, Jones, Smalling e pure Blackett. La fisicità c'è, bisogna trovare testa e movimenti collettivi.

Nel contesto della Premier, lo United per competere avrà bisogno di un anno di lavori in corso sia per integrare i nuovi che per assimilare la tattica di Van Gaal. L'andamento potrebbe risultare erratico ed altalenante, ma la certezza è che ovunque abbia allenato Louis ha sempre vinto e lasciato terreno fertilissimo per il gioco del calcio.

2 feb 2014

Ever Banega al Newell's

Banega è a un passo dal Borussia Dortmund di Jurgen Klopp. L'Inter è sulle tracce di Ever Banega. Milan: l'obiettivo è Banega. Moyes studia il colpo Banega. L'Atletico Madrid di Simeone vuole Banega.
Si sa, ogni nome è buono per fare un po' di ascolti, ma il centrocampista del Valencia è stato probabilmente uno dei più chiacchierati nella finestra di mercato conclusasi poche ore fa. Accostato a mezza Europa, il giocatore argentino ha tuttavia sorpreso tutti finendo per accasarsi al... Newell's. Una decisione a dir poco sorprendente, ma in perfetta linea con il suo modo di interpretare il gioco: ti aspetti uno scarico laterale semplice ed elementare, invece Ever prova un dribbling in un metro d'erba al limite della propria area di rigore, a testa alta e con qualche tocco impercettibile. Anche in questo caso soltanto il tempo saprà dirci se l'azione terminerà con una palla avvelenata regalata al pressing avversario, oppure se la giocata porterà a un contropiede micidiale orchestrato con tempi perfetti e il giusto pizzico di follia per scuotere la noia della partita. La sensazione, in ogni caso, è che questa sia destinata a essere la giocata decisiva per la carriera del Tanguito scuola Boca Juniors.

Il feeling tra Banega e il nuovo allenatore del Valencia Juan Antonio Pizzi non è mai sbocciato, complice il carattere difficile del giocatore e quello duro del tecnico ex-San Lorenzo. Con il Mondiale brasiliano alle porte i problemi sono emersi fin da subito e la soluzione migliore, a detta di entrambi, era un addio temporaneo. A sorprendere, tuttavia, è stata la destinazione scelta da Banega: Rosario, la sua Rosario. Cercato in tutta Europa, bocciato dal Boca Juniors su incomprensibile richiesta di Carlos Bianchi, Ever ha deciso di tornare in patria per giocare con la sua squadra del cuore a soli 25 anni. Una scelta quantomeno singolare e azzardata, soprattutto per un giocatore chiamato al salto di qualità decisivo per il prosieguo della propria carriera.

Sia chiaro, il Newell's Old Boys è con ogni probabilità il meglio che possa offrire il povero futbol argentino di questi tempi: campione del Final 2013, vicinissimo al titolo anche nell'Inicial conclusosi poche settimane fa proprio con la vittoria del Ciclon di JA Pizzi, pretendente di lusso per la Copa Libertadores. A Rosario, agli ordini di Berti, Banega potrà avere le chiavi della squadra e la giusta visibilità a livello nazionale e continentale per conquistarsi un posto nei 23 di Sabella, selezionatore solitamente affezionato al campionato locale. Il tutto accompagnato da una tifoseria già in delirio per l'arrivo di un leproso come loro, perchè Ever, nato nel barrio Saladillo, Rosario sud, il NOB lo ha sempre avuto nel cuore e sulla pelle: come testimonia l'ormai famoso tatuaggio con lo scudo del club.
Con una simile situazione ambientale sembra impossibile che Banega possa fallire questa chance e il giocatore stesso sa che è l'ultimo treno per rilanciare la propria carriera, per ripartire in contropiede e raccogliere i riconoscimenti che un talento sconfinato come il suo merita.

Per il campionato argentino si tratta ovviamente di un colpo sensazionale: Banega è infatti uno dei primi giocatori a tornare in patria con ancora ottime prospettive di carriera. Non va tuttavia dimenticato che per ora il prestito è semestrale e il trasferimento difficilmente rappresenterà il punto di partenza di un'inversione di tendenza, come accaduto in Brasile negli ultimi anni. La situazione economica del Paese albiceleste è infatti tragica e soltanto l'avvicinarsi di un evento come il Mondiale può spingere giocatori del calibro di Ever a prendere determinate decisioni. Ma il Tanguito porterà comunque un'insperata ventata di qualità e interesse di cui il movimento calcistico nazionale era orfano da troppo tempo.

30 ago 2010

E' tornato Ever Banega

Prima giornata della Liga e gli occhi di tutti i tifosi sono stati inevitabilmente per Barça e Real, le regine del mercato europeo che anche quest'anno si contenderanno il titolo a medie punti da record. Nessun problema per i catalani, qualche difficoltà invece per gli uomini di José Mourinho, incapaci di andare oltre lo 0-0 contro il sempre ostico Maiorca. Una delle note più liete arriva tuttavia dalla Rosaleda di Malaga, dove è sceso in campo il Valencia e dove soprattutto ha brillato ancora una volta la stella di Ever Banega, giovane regista argentino dimenticato troppo in fretta dal calcio che conta dopo il difficile adattamento alla Liga e all'Europa.

Centrocampista sublime con innata capacità nel dettare i tempi e nella lettura del gioco, soltanto con l'arrivo di Emery sulla panchina del Valencia ha iniziato a riproporsi sugli straordinari livelli messi in mostra nel Boca Juniors, quando aveva stupito tutti per qualità e personalità, tanto da rubare il posto ad un mostro sacro dalle parti della Bombonera come Sebastian Battaglia. Tecnica ed eleganza da trequartista, visione verticale del gioco, dribbling raffinato e capacità di usare con estrema precisione entrambi i piedi fanno di lui un regista squisito e con margini di crescita enormi. Si tratta probabilmente del giocatore più simile a Redondo prodotto negli ultimi quindici anni dal calcio argentino.

Dopo l'ottima annata del rilancio, la partita contro il Malaga ha così confermato la costante crescita di Banega, leader del centrocampo e faro della manovra, abile a non lasciare punti di riferimento al marcatore di turno e pericoloso anche dalla distanza. Emery non è stato tuttavia l'unico a rendersi piacevolmente conto dei progressi di Ever, convocato infatti anche dal Checho Batista per le prime amichevoli post-Mondiale della Seleccion e già autore di un'ottima prova contro l'Irlanda del Trap, quando, assieme a Gago, ha finalmente aiutato Mascherano a dare solidità ed efficacia al centrocampo e un'identità ben delineata alla manovra argentina.

Orfano dei due idoli Silva e Villa, il Valencia sembra aver trovato in Banega e Juan Manuel Mata i degni sostituti in grado di conquistare il Mestalla. Coetanei, dotati di grande personalità e soprattutto estremamente talentuosi, i due cercheranno di far dimenticare gli ex-compagni di squadra passati al Manchester City e al Barcellona, consapevoli a loro volta di quanto sarà difficile rimanere ancora a lungo nella Comundidad Valenciana.