All'inizio della scorsa stagione ci siamo brevemente soffermati sul problema relativo al ruolo di Kevin Prince Boateng, giocatore fisico e con buone credenziali tecniche, ma ancora da inquadrare da un punto di vista tattico. Approdato in Italia, la patria, o presunta tale, della strategia calcistica, il ghanese di Berlino Ovest sembrava destinato a essere forgiato e disciplinato, pronto a rappresentare uno dei migliori esempi di giocatore moderno. Tuttavia tre intere stagioni a Milano non sono state sufficienti per fugare ogni dubbio, poichè Boateng ha costantemente avanzato il suo raggio d'azione, slegato dai rigidi compiti del centrocampista e libero di svariare sul terreno di gioco, nella speranza di risultare pericoloso per la difesa avversaria.
Percorso simile, se non identico, a quello intrapreso da Fredy Guarin, altro talento grezzo difficile da collocare in un determinato piano di gioco. Il colombiano ex-Porto si è infatti presentato alla Pinetina da interno di un centrocampo a tre, salvo, dopo un breve peregrinare da una zona all'altra del campo, essere schierato alle spalle della punta sia da Stramaccioni che da Mazzarri.
Non una bocciatura, ma una scorciatoia per tentare di ottenere il massimo con il minimo sforzo, come accaduto nel caso di Boateng.
Vicenda in parte analoga può essere considerata quella relativa a Erik Lamela, l'acquisto di punta della vibrante estate del Tottenham. Il giovane argentino classe '92 è globalmente riconosciuto come un'ala ideale per occupare la zona destra del tridente offensivo, grazie allo spunto nell'uno-contro-uno e alle capacità balistiche del suo imprevedibile mancino. Meno noto è invece il ruolo originario del Coco, trequartista di punta delle giovanili del River Plate, dove era considerato un prospetto sensazionale nel dettare i tempi della manovra e innescare le punte. È indubbio che a Nunez abbiano sovrastimato le capacità tattiche e la visione di gioco di Lamela, ma è altresì vero che finora nessun allenatore europeo abbia provato a lavorare sugli innumerevoli difetti che accompagnano uno straordinario talento.
Come nei casi di Guarin e Boateng, la soluzione trovata a Roma da Luis Enrique e Zeman è stata piuttosto semplice: è un giocatore veloce, ha un ottimo dribbling e vede la porta, basta insistere su qualche movimento senza palla e il gioco è fatto.
I freddi numeri possono probabilmente essere dalla loro parte, ma la sensazione è che non rifinire con cura e attenzione un diamante grezzo come Erik Lamela sia un autentico delitto. Fin dagli esordi nei Millonarios il Coco ha messo in mostra la tendenza a portare palla cercando di creare la superiorità numerica e una certa difficoltà nel trovare la posizione giusta tra le linee e nel prendere le decisioni corrette in fase di possesso. Tuttavia i controlli di suola, le serpentine e le conclusioni dalla distanza hanno oscurato alcune qualità che finora sono rimaste nell'ombra, come l'abilità nel dialogare nello stretto e la capacità di vedere e premiare i movimenti delle punte.
A Londra nord Lamela ha incontrato diverse difficoltà e si è parlato molto di un suo ritorno in Italia. Difficile pensare a un suo addio a White Hart Lane nel breve periodo, considerati i costi sostenuti dal Tottenham per convincere Sabatini a cedere il suo pupillo, ma se c'è uno spiraglio il Coco è un giocatore su cui puntare a occhi chiusi, con la consapevolezza di poter avere tra le mani un giocatore a tratti tanto indolente quanto geniale. E soprattutto un talento ancora in gran parte inespresso.
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