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24 gen 2014

Il dilemma Erik Lamela

All'inizio della scorsa stagione ci siamo brevemente soffermati sul problema relativo al ruolo di Kevin Prince Boateng, giocatore fisico e con buone credenziali tecniche, ma ancora da inquadrare da un punto di vista tattico. Approdato in Italia, la patria, o presunta tale, della strategia calcistica, il ghanese di Berlino Ovest sembrava destinato a essere forgiato e disciplinato, pronto a rappresentare uno dei migliori esempi di giocatore moderno. Tuttavia tre intere stagioni a Milano non sono state sufficienti per fugare ogni dubbio, poichè Boateng ha costantemente avanzato il suo raggio d'azione, slegato dai rigidi compiti del centrocampista e libero di svariare sul terreno di gioco, nella speranza di risultare pericoloso per la difesa avversaria.
Percorso simile, se non identico, a quello intrapreso da Fredy Guarin, altro talento grezzo difficile da collocare in un determinato piano di gioco. Il colombiano ex-Porto si è infatti presentato alla Pinetina da interno di un centrocampo a tre, salvo, dopo un breve peregrinare da una zona all'altra del campo, essere schierato alle spalle della punta sia da Stramaccioni che da Mazzarri.
Non una bocciatura, ma una scorciatoia per tentare di ottenere il massimo con il minimo sforzo, come accaduto nel caso di Boateng.

Vicenda in parte analoga può essere considerata quella relativa a Erik Lamela, l'acquisto di punta della vibrante estate del Tottenham. Il giovane argentino classe '92 è globalmente riconosciuto come un'ala ideale per occupare la zona destra del tridente offensivo, grazie allo spunto nell'uno-contro-uno e alle capacità balistiche del suo imprevedibile mancino. Meno noto è invece il ruolo originario del Coco, trequartista di punta delle giovanili del River Plate, dove era considerato un prospetto sensazionale nel dettare i tempi della manovra e innescare le punte. È indubbio che a Nunez abbiano sovrastimato le capacità tattiche e la visione di gioco di Lamela, ma è altresì vero che finora nessun allenatore europeo abbia provato a lavorare sugli innumerevoli difetti che accompagnano uno straordinario talento.
Come nei casi di Guarin e Boateng, la soluzione trovata a Roma da Luis Enrique e Zeman è stata piuttosto semplice: è un giocatore veloce, ha un ottimo dribbling e vede la porta, basta insistere su qualche movimento senza palla e il gioco è fatto.

I freddi numeri possono probabilmente essere dalla loro parte, ma la sensazione è che non rifinire con cura e attenzione un diamante grezzo come Erik Lamela sia un autentico delitto. Fin dagli esordi nei Millonarios il Coco ha messo in mostra la tendenza a portare palla cercando di creare la superiorità numerica e una certa difficoltà nel trovare la posizione giusta tra le linee e nel prendere le decisioni corrette in fase di possesso. Tuttavia i controlli di suola, le serpentine e le conclusioni dalla distanza hanno oscurato alcune qualità che finora sono rimaste nell'ombra, come l'abilità nel dialogare nello stretto e la capacità di  vedere e premiare i movimenti delle punte.

A Londra nord Lamela ha incontrato diverse difficoltà e si è parlato molto di un suo ritorno in Italia. Difficile pensare a un suo addio a White Hart Lane nel breve periodo, considerati i costi sostenuti dal Tottenham per convincere Sabatini a cedere il suo pupillo, ma se c'è uno spiraglio il Coco è un giocatore su cui puntare a occhi chiusi, con la consapevolezza di poter avere tra le mani un giocatore a tratti tanto indolente quanto geniale. E soprattutto un talento ancora in gran parte inespresso.

1 ott 2012

Nuovi re

Si diceva a queste coordinate dell'importanza dell'imprimatur di Totti sul nuovo progetto Roma, che fa tanto rima con Zeman. Il capitano giallorosso sta effettivamente dando tutto quello che ha sul campo, giocando da esterno sinistro, sacrificandosi anche per quanto può, mettendo a referto al solito gol e assist. La Roma però fa decisamente fatica a ingranare e ottenere risultati.
La benedizione del suo 10 si pensava (o almeno, io lo pensavo) fosse abbastanza per concedere all'allenatore boemo un pò di credito nei momenti di difficoltà. Dopo la dolorosissima, per risultato e svolgimento, sconfitta con la Juventus a sorpresa si è alzata dal coro una nuova voce a contestare l'allenatore e l'andamento della squadra.

Daniele De Rossi, capitan futuro, il figlio prediletto di Roma appunto dopo Totti, ha parlato molto chiaramente. Non gli vanno bene i risultati, non gli va a genio di dover cambiare ruolo e correre per uno sconosciuto greco scelto da Zeman (Panagiotis Tachtsidis), non gli va bene che dopo una preparazione massacrante il lavoro non dia nessun frutto.
In breve, contesta Zeman e tutto il nuovo progetto Roma.

Ricordiamo che De Rossi è di fatto l'unico giocatore di spessore internazionale rimasto alla squadra della capitale. I suoi dirigenti lo sanno bene, e lo hanno pagato sulla loro pelle coi suoi capricci per il recente rinnovo a cifre da Roma dei Sensi.
Il giocatore sa di essere un lusso per la sua squadra. La novità è che scelga di farlo pesare.

Daniele De Rossi, di fatto, si è elevato al rango di nuovo re.

31 mag 2012

C'è progetto e progetto

Progetto è la parola più in voga a Roma da quando gli americani hanno preso in mano la situazione, spesso declinato come er proggggetto dai tifosi locali.
Un concetto astratto, di pura teoria, ad indicare un cambiamento di rotta nelle strategie di gestione della squadra, a cominciare da un abbattimento dell'età media (cosa per altro indispensabile).

Dopo una stagione di progetto la Roma si è ritrovata ottava, con in mano più domande che risposte.
Sulla carta sono state fatte molte scelte giuste, funzionali, a cominciare da dirigenti (Sabatini,Baldini), allenatore (Luis Enrique), giocatori (Gago, Pjanic, Borini, Bojan, Lamela). Soprattutto si è puntato su un gioco fatto da corsa, possesso palla, gioventù, vocazione offensiva.
Dopo un solo anno però Luigi Enrico ha salutato, sopraffatto dall'isteria dell'ambiente di Roma e del calcio italiano in generale, mandando a farsi benedire la progettualità di cui tutti andavano riempiendosi la bocca.

La nuova Roma dunque deve ripartire con, indovinate un pò, un nuovo progetto. Inevitabilmente con un nome nuovo al timone.
E il nuovo nome sarà il santone per eccellenza del calcio italiano. Dimenticato per tanto, troppo tempo, rinato prima nei campi polverosi della sua (d'adozione) Foggia, poi in una cavalcata trionfale con una squadra a sorpresa (il Pescara).
Zdenek Zeman torna alla Roma dopo 15 anni, per far nascere un progetto, puntando su giovani, corsa, possesso palla, gioco offensivo.

Già sentito vi pare? Perchè lui si e l'altro no?
La grossa differenza tra il ceco e lo spagnolo nella partenza.
Luis Enrique è arrivato in Italia come uomo tutto d'un pezzo, integralista nelle sue idee e nei metodi di applicazione. Si è subito scontrato col più evidente, ma tollerato per puro amore, problema dell'ambiente Roma: Francesco Totti.
Per motivi tattici, tecnici, anagrafici, di principio, alla fine poco importa. Ma il risultato è stato chiaro: contestazione a Luglio, alla prima esclusione per scelta del capitano.
In quel momento l'avventura dello spagnolo è finita. Perchè l'ultimo arrivato non può prendere e mettersi contro l'ordine costituito, qualcosa che è sempre stato e sempre sarà. In Italia. A Roma e nella Roma.
E Zeman?
Il boemo, al contrario, è già stato chiarissimo. Totti è il miglior giocatore che abbia mai allenato (ed è pure credibile eh, sia chiaro), praticamente un figlio, lui deve essere al centro della Roma senza e senza ma.
E Totti?
Ricambia con parole al miele, indirizzando da subito l'intero ambiente.

Zeman può lavorare, il progetto può partire.