La rescissione consensuale di Conte è arrivata come un fulmine a ciel sereno nel tronfio ambiente Juventus. La situazione in realtà era in una sorta di tregua armata fin dal giorno dopo la vittoria dello scudetto (o meglio, dall'eliminazione in Europa League), quando l'allenatore aveva già espresso ampiamente le sue perplessità ed erano stati avviate trattative per un rinnovo contrattuale mai sbocciate. Il problema c'era già, si è deciso di andare avanti ugualmente, probabilmente tra mezze promesse e malesseri celati, in nome di questo ciclo bianconero.
Ma perchè andarsene sbattendo la porta dopo un giorno di ritiro?
Conte è un allenatore estremamente emotivo e vocale, che ha un coinvolgimento totale nelle vicende della squadra che in quel momento è sua. Uso questa perifrasi perchè spesso ci si dimentica che l'allenatore di Lecce ha una carriera precedente alla Juve, pure corposa tutto sommato, e certi elementi sono sempre stati costanti del suo modo di allenare. Questo tipo di legame con squadra e ambiente è dispendioso e difficile da portare avanti per lungo tempo.
Non a caso il tecnico a maggio parlava chiaramente di stanchezza, dovuta sicuramente a un triennio molto intenso anche emotivamente. In un certo senso Conte sentiva di aver dato tutto alla Juve e per la Juve, soprattutto nel motivare la squadra nell'ultimo campionato. Per ripartire verso la quarta stagione serviva qualcosa di diverso. Insieme alla stanchezza parlava infatti di valutazioni da fare.
Probabile che all'allenatore per primo servissero nuovi stimoli, che spesso si traducono in investimenti sul mercato. Difficile infatti motivare i giocatori del triennio vincente a fare un ipotetico passo in avanti, in particolar modo dopo l'ultimo campionato. Nuovi giocatori, magari più giovani, potevano portare freschezza, concorrenza, fame e stimoli, regalando nuovi impulsi a tutto l'ambiente, tecnico compreso.
Conte probabilmente sentiva di aver spremuto il massimo da questo ciclo juventino e chiedeva sostanzialmente una nuova base per poter avviare un lavoro diverso. Divergenze sul mercato ci sono state di sicuro, e l'allenatore facilmente ieri ha capito come sarebbero andate avanti le cose.
Non dimentichiamo che la Juve durante questo regno vittorioso ha sempre messo sul piatto cifre molto importanti a ogni mercato, quasi inimmaginabili per gli altri club italiani. Oggi si trova nelle condizioni di aver vinto tanto, ma anche di dover pagare certi conti, il che spesso si traduce in necessità di plusvalenze da reperire. Perdere elementi cardine della squadra senza avere in mano sostituti graditi probabilmente ha fatto scattare qualcosa.
Non va dimenticato infatti che Conte è l'anima e il grande architetto della Juventus di Andrea Agnelli. La sua figura di ex calciatore di successo unita al suo spirito porta un legame unico con la tifoseria, cementato dal dominio sportivo in italia. Nel 2011/2012 ha preso in mano una rosa buona, da piazzamento, e l'ha progressivamente trasformata in una macchina da guerra, portando un sistema di gioco, estrema fisicità e una condizione mentale forse irripetibile. Non è un caso che quasi tutti gli elementi passati per le sue mani abbiano reso al massimo, ma lui per primo è stato bravo a rinnegare i suoi principali dettami tattici per trovare lo schema in cui tutti potessero mettere in mostra le loro caratteristiche migliori nascondendo i difetti, al prezzo del giusto sacrificio in nome del collettivo. Oggi quindi Conte si sente di essersi già accollato il lavoro sporco, in un certo senso, e per ricostruire non ha avuto le garanzie che chiedeva.
Chiunque voglia raccogliere la sua eredità rischia di trovarsi per le mani una rosa a fine ciclo, difficile da gestire per personalità dei singoli e recente passato, con equilibri tattici molto delicati. Si sono viste al Mondiale le difficoltà dei giocatori juventini in uno schema diverso dal 3-5-2, senza un mercato di un certo tipo rinnovare veramente e varare una nuova tattica rischia di essere addirittura impossibile.
Conte lo sapeva, e ha salutato.
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