Lionel Messi ha solo ventisette anni, eppure sembra che giochi a calcio da sempre. Ogni anno si celebrano i suoi record, la sua eclissi sportiva e la successiva resurrezione, come fosse un giocatore a fine carriera e non un ragazzo che, per dire, ha undici anni in meno di Francesco Totti.
Un destino comune per tutti i talenti capaci di imporsi da giovanissimi, massimizzato nei suoi effetti dalla visibilità del Barcellona in questo millennio, dai numeri e dalla resa del numero 10 di Rosario, ma anche dal fatto che Messi, come pochissimi altri, nel corso del tempo ha cambiato nettamente il suo modo di stare in campo, dando l'impressione di essere già in una fase matura della carriera.
Questa è l'undicesima stagione della pulce tra i grandi blaugrana e potrebbe rappresentare la terza e forse ultima parte della sua evoluzione tecnica.
Torniamo un attimo indietro per contestualizzare questa parabola.
La prima fase della storia tecnica di Messi coincide con la sua scoperta e coi primi passi mossi dal suo immenso talento. Un ragazzino coi capelli lunghi e la maglia numero diciannove ad appena diciannove anni si dimostra già un fattore all'interno di una squadra dove di certo non mancano i grandi nomi.
I tratti distintivi sono il mancino raffinatissimo, un certo fiuto del gol, ma soprattutto un dribbling fulminante nato per essere sfruttato in fascia, grazie anche a una progressione irresistibile. In un certo senso Messi è uno dei principali responsabili della moda degli esterni d'attacco a piede invertito, largo a destra ha collocato il suo ufficio e vinto tutto, unendo tecnica, capacità di gioco, gol, assist, corsa e sacrificio. Il tutto in una squadra che sembrava sostanzialmente una macchina perfetta.
Questo giocatore è esistito, a spanne, fino a metà della stagione 2009-2010, quella famosa per l'arrivo di Zlatan Ibrahimovic. Messi vincendo il triplete e dominando la stagione 2008-2009 fa un deciso salto di qualità, negli anni successivi esce dal periodo giovane per entrare nella fase di maturazione, sia tecnica che personale. La sua influenza sul gioco e sulle scelte cresce enormemente, come la sua capacità di decidere le partite. La seconda fase di Messi è quella della prima punta, in cui più che nuovo Maradona è stato il nuovo Ronaldo e ha frantumato qualunque record umano di maracature.
Il concetto, tutto sommato, è semplice: la pulce vede benissimo la porta, il primo uomo lo salta sempre ed è veloce nei tagli, più lo si avvicina alla rete più possibilità ha di segnare. I suoi evidenti limiti fisici rispetto all'interpretazione classica del ruolo vengono superati grazie all'organizzazione del Barcellona, ma anche ai suoi movimenti e alla sua indiscutibile superiorità tecnica. Se lo attacchi troppo ti salta anche col controllo, e dopo puoi solo raccogliere la palla dal fondo del sacco. Messi diventa sempre più un accentratore di palloni e gioco, rendendo in cambio numeri straordinari di media realizzativa. Nella sua stagione più devastante, il 2011-2012, arriva a settantatre gol in sessanta presenze, di cui cinquanta in campionato. Da solo segna come una squadra almeno media.
Tuttavia. pur mantenendo medie da macchina, il suo gioco nel corso del tempo si impigrisce. Evidentemente in campo si muove sempre di meno, stazionando in un nuovo ufficio collocato circa all'interno della mezzaluna davanti all'area. Tende a chiedere palla sui piedi per poi decidere il da farsi, trovandosi meno spesso servito dove può far male più velocemente alla difesa avversaria. Un calo fisico forse era inevitabile dopo tanti anni al top come anche un certo senso di superiorità e appagamento, ma in ogni caso è il primo passo verso quello cui Messi sembra tendere oggi.
Dopo questo lungo preambolo, arriviamo finalmente alla terza fase della sua carriera, quella che si sta delineando oggi, il Messi numero 10.
Giova ricordare in questo momento il rapporto tra il rosarino e i suoi compagni di reparto. Diciamo non facilissimo,
per loro. Men che meno per Neymar, che ha dovuto vivere una stagione sostanzialmente di apprendistato malgrado il suo status.
Quet'anno Messi si trova (o meglio si troverà, quando sarà disponibile Suarez) a fare reparto con altre due punte purissime. Un nuovo equilibrio va studiato e trovato, perchè il numero 11 brasiliano viene da un Mondiale che lo ha consacrato stella e il nuovo numero 9 uruguaiano è un fenomeno conclamato, per di più con un carattere diciamo fumante. Impensabile chiedergli di fare da scudiero continuativamente in fascia. Come sposare questo con le ultime tendenze del 10?
L'idea è quanto già sperimentato con l'Argentina, con Messi a giostrare dietro la zona di interesse della prima punta. Il suo ufficio resta lo stesso, appena fuori area, magari svariando un po' di più, ma l'attenzione viene rivolta più all'impostazione e alla ricerca dei compagni che alla finalizzazione. Meno corsa, più gestione, facendo muovere nello spazio gli altri membri del reparto offensivo con la promessa di palloni puntuali.
La pulce, ancora una volta, si è adattato andando a pescare nel suo immenso bacino di talento. Prendendo le statistiche l'argentino è di gran lunga l'attaccante che gestisce più palloni, avvicinandosi ai numeri dei centrocampisti creativi, il giocatore che produce più passaggi decisivi e il migliore negli assist, malgrado non sia di certo il vostro trequartista canonico. In particolare colpisce che nella Liga in sette partite sia già a otto assist, quando lo scorso anno gliene servirono trentuno per arrivare a dodici. Il cambiamento è già in atto e promette di innescare una nuova forma di dominio.
In fondo Lionel Messi è nato lo stesso giorno di Juan Roman Riquelme.