16 ott 2011

Uno per tutti, tutto per uno.

Tra lo sport sulla carta e quello giocato nel mondo reale passa di sicuro una grande differenza.
La componente mentale.
Spesso sottovalutata o meglio non considerata rappresenta un confine sottile ed invisibile tra quello che si può e non si può fare su un campo da gioco in determinate situazioni.
Ovvio che parliamo di una componente complessa e variegata, difficile da definire ed indagare, ma riassumibile con un singolo concetto: leadership.
In campo serve qualcuno che sappia dare la scossa, tenere le redini del gruppo, fare quel centimetro in più per conquistare qualcosa, essere in prima persona l'esempio e indicare la via da percorrere.

Nell'Inter di oggi, al di la dei problemi tecnici e fisici, si può facilmente constatare una totale assenza di leadership.
Quelli che sulla carta hanno i gradi per prendere il comando sono tutti assenti. Ingiustificati.
Sneijder è infortunato, ma da sempre troppo umorale, quasi capriccioso. Thiago Motta è il giocatore più carismatico dell'infermeria. Stankovic, Cambiasso e Zanetti più che altro rincorrono i fantasmi di ciò che sono stati e per quanto l'abnegazione sia lodevole i limiti fisici iniziano a essere troppo evidenti. Samuel non è ancora lui. Lucio per eccesso di slancio tenta di strafare con risultati dannosi.
Dei nuovi arrivati solo Forlan ha un simile spessore e oltre a essere seriamente infortunato sta pagando difficoltà di ambientamento.

Ma soprattutto Samuel Eto'o ormai è in Russia.
E' questa la più grossa differenza tra l'Inter di oggi e quella di un anno fa. Un semplice numero 9 venuto da N'kon.
Da solo per una stagione intera è stato l'attacco dell'Inter (37 gol in stagione, il secondo miglior marcatore a distanze siderali specie senza considerare Pazzini arrivato solo a Gennaio), come lecito aspettarsi, ma anche il centrocampo. Tante, troppe volte il gioco della squadra è stato palla a Eto'o e vediamo che succede, per la capacità del camerunense di prendere palla, saltare l'uomo, correre, segnare, dispensare assist. Da solo rendeva un insieme di giocatori qualcosa di simile a una squadra.
Certo, da solo non bastava a conquistare grandi traguardi. Ma avanzava per mascherare tutti i limiti di una squadra al limite, spremuta fisicamente e mentalmente.

Oggi la sua assenza diventa drammaticamete evidente quando nessuno sa cosa fare con il pallone tra i piedi, nessuno rincorre l'avversario, nessuno aiuta il compagno.
Magari lui un gol se lo sarebbe inventato, avrebbe rincorso l'avversario come un terzino, avrebbe provato a stimolare i compagni (qualcuno si ricorda in Inter-Chelsea quando chiese a gesti di disporsi meglio su una rimessa laterale?).
Lui era l'uno per tutti, il go to guy direbbero dall'altra parte dell'oceano, quello per cui le resposabilità non sono mai state un peso.

Purtroppo un assegno da svariati milioni di euro non fa lo stesso effetto.
Oggi chi rimane?

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