18 nov 2016

Lucas Alario

“El Pipa vieja, el Pipa vieja!”, perché scomodare illustri autori, quando bastano le parole di un tifoso in preda al delirio pochi secondi dopo uno dei più memorabili gol della storia del River Plate? Lucas Alario, el Pipa, con quella rete ha impresso il proprio autografo sulla vittoria della Copa Libertadores e sulla storia di uno dei club più celebri del Sudamerica, trasformandosi tutto d’un tratto da meteora semi-sconosciuta ad attaccante dal pedigree di primo livello. Non male, per chi pochi mesi prima lottava per salvare il Colon dal purgatorio della B Nacional.

Nato nel nord della provincia di Santa Fe, di Alario si può dire molto, ma non che sia un predestinato, perché un ventiduenne classe ’92, che segna 12 gol in 58 apparizioni con il Colon, non rientra propriamente nella categoria. Dopo l’esordio a 19 anni il centravanti di Tostado colleziona infatti soltanto 11 presenze in tre stagioni tra le fila del Sabalero. Confinato in Reserva e dimenticato dalla prima squadra, nel 2013 trova inaspettatamente la titolarità nella Primera Division argentina grazie alla moria delle punte a disposizione di Osella, segnando 3 reti in 21 presenze. Un modesto contributo, vano nel tentativo di far risalire il Colon nella classifica del promedio, nonostante la rete allo scadere dell’ultima giornata contro l’Olimpo, che regala il jolly dello spareggio, poi perso, contro l’Atletico Rafaela.


L’anno successivo ottiene piena fiducia, ma è la B Nacional e Alario è costretto a saltare buona parte della stagione causa infortunio, rientrando soltanto per l’ultima partita contro il Boca Unidos, decisiva per la promozione del club.
Nel ritorno in Primera Division il centravanti santafesino, complice un altro infortunio, riesce a giocare soltanto 10 partite, mettendo a segno 3 reti. Cifre normali, quasi tristi per un giovane attaccante, ma non abbastanza per spaventare Marcelo Gallardo, che vede in lui il sostituto ideale per la punta di diamante del suo River: Teofilo Gutierrez. Un compito ingrato, soprattutto alla vigilia delle semifinali di Libertadores.

In Argentina in molti si sono interrogati riguardo a cosa abbia visto Gallardo in quell’attaccante semisconosciuto, un po’ sgraziato e poco efficace. C’è chi racconta che se ne sia invaghito nel 2014, durante un River-Colon agli albori della sua avventura millonaria, chi dice che sia arrivata una sponsorizzazione da un certo Cesar Luis Menotti, vecchia conoscenza del vice-presidente Patanian, al quale avrebbe riferito: “Lucas Alario è il miglior giocatore del futbol argentino, l’ideale per il River”. Con Teo su un volo intercontinentale diretto a Lisbona, scegliere Alario non si può definire una scelta coraggiosa, quanto piuttosto una scelta folle. Ma il Muneco nella sua esperienza sulla panchina del River Plate ha abituato a colpi ad effetto da trequartista, sorprendendo tutti con richieste all’apparenza insensate e rivelatesi in seguito scommesse vinte a mani basse. Alario, in questo senso, è stato l’erede di Pisculichi, il primo vero grande colpo del Gallardo manager a tutto tondo.

Il resto è storia ormai nota: a pochi giorni dall’approdo a Buenos Aires il centravanti ex-Colon risulta decisivo per la conquista della Copa Libertadores, grazie a prestazioni solide quanto sorprendenti, condite da 2 assist e altrettanti gol nelle quattro partite finali della competizione.

Effetto Gallardo? O più semplicemente la maturità? Chissà, ma da quando veste la maglia della Banda, Alario si è trasformato in uno dei centravanti più interessanti dell’intero panorama sudamericano, mettendo in mostra un bagaglio tecnico, tattico e atletico di tutto rispetto, valorizzato da gol e personalità. Si legge spesso di attaccanti moderni e, se la categoria effettivamente esiste, la punta del River è senza ombra di dubbio tra questi.

Sembra lento, poco mobile, tecnicamente ruvido, senza spunti, però ogni tanto fa gol. Anzi, segna con una certa frequenza. Tutto sommato non è molto lento e forse a livello tecnico non è così male. Qualche sponda in effetti gli riesce. Guarda, anche un dribbling. Questa l’ha spizzata ancora lui? Ma il numero tredici, quello che pressa adesso, è Alario? Come? Ha segnato Alario? Ancora?

Non è il Bichi Fuertes, l’attaccante di riferimento per qualsiasi aspirante centravanti nato in provincia di Santa Fe e tifoso del Colon, è decisamente meglio. Non è neppure Lewandowski, il giocatore europeo a cui viene accostato spesso in patria, ma in effetti il paragone può essere calzante. È un giocatore dal potenziale ancora inespresso, un po’ in ritardo sulla tabella di marcia, ma che in carriera ha dimostrato di avere la testa e le qualità per ambire all’Europa e al calcio che conta del vecchio continente.
Sotto la saggia guida di Gallardo ha compiuto passi da gigante, affinandosi come punta a tutto tondo, capace con la stessa facilità di giocare sapientemente spalle alla porta e aggredire gli spazi. È un maestro nel “pivotear”, come un vecchio centravanti, e ha l’intelligenza per muoversi con e senza palla, riuscendo ad adattarsi a seconda del compagno di reparto. Senza abusarne, ha dribbling, anche nello stretto, ed è molto più veloce di quanto dia a vedere. Sotto porta è una sentenza e, nonostante arrivi a fatica al metro e ottanta, nel gioco aereo è un pericolo costante. Ma a fare la differenza sono la personalità e la capacità di dare il meglio sotto pressione, come dimostrato in Copa Libertadores.

L’impressione è che sia un giocatore nato per essere sottovalutato, sempre lontano dai riflettori e da apprezzare innanzitutto per intelligenza, personalità e applicazione messe costantemente in campo. Proprio per questi motivi, non stupisce il crescente interesse da parte dei club europei, così come non sorprende la convocazione nella Seleccion da parte di Bauza. Una chiamata criticata, anche aspramente, in Italia e in Europa, ma mai messa in discussione in patria. Ora che Alario sembra aver trovato continuità anche dal punto di vista fisico (i continui infortuni sembrano un lontano ricordo), il trasferimento dall’altra parte dell’Oceano è ormai questione di tempo, prezzo permettendo. Perché è lo stesso tifoso in tribuna durante la finale contro i messicane del Tigres ad aver fissato la cifra, pochi secondi dopo il boato del gol: “Lo vendemo’ a 50 millone’ de dolaré… 80 millone’ de dolaré vieja!”.

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