31 lug 2015

Martinez e Lamela, la differenza del percorso

Avvertenza: questo post è provocatorio, astenersi perditempo.

Erik "el Coco" Lamela e Gonzalo "el Pity" Martinez sono giocatori che istintivamente non vengono messi nella stessa categoria.
Uno è in Europa da anni mentre l'altro gioca in Argentina malgrado siano quasi coetanei. Uno era già alla Roma quando l'altro muoveva i primi passi nell'Huracan nella Primera B Nacional. Uno ha esordito nella Seleccion argentina a diciannove anni mentre l'altro ancora aspetta una chiamata. Si potrebbe andare avanti, ma in estrema sintesi parlando comunemente di Lamela si ha un riferimento preciso, mentre per Martinez ci si deve agrappare agli esperti di calcio locale.
Eppure ragionando su fatti ed evidenze tecniche il rapporto tra i due viene sorprendentemente ribaltato.

Partiamo da un presupposto: il Coco e il Pity sono giocatori tecnicamente simili. Mancini, capaci di giocare trequartisti o esterni, tecnici, con visione di gioco, tiro e progressione palla al piede. La differenza principale sta nel fisico, che è sempre stato il tratto distintivo di Lamela (per i canoni argentini). Altro elemento comune è la militanza nel River Plate. Entrambi col numero 10, con la differenza che Lamela è un pibe delle inferiores mentre Martinez è un'intuizione di Gallardo che l'ha prelevato dal Globo.
Da qui si può cominciare a paragonare i due.

L'esperienza di Lamela al River coincide col periodo più difficile della storia del club. Il Coco dimostra fin dalle inferiores di essere un talento fuori dal comune, ma di fatto al River non troverà mai un contesto che gli permetta di valorizzarsi davvero. Anzi, ad appena diciannove anni si trova ad essere la speranza di una squadra in ampie difficoltà e con pochissime certezze tecniche. Non a caso il River finirà per retrocedere e le prestazioni del giovane Erik vivranno di sprazzi di classe, singole giocate fuori dal comune che solitamente qualificano un giocatore come "talento".
In Europa dopo una prima stagione di ambientamento Lamela esplode sotto la guida di Zeman. Segna molto e sembra sulla strada giusta per diventare una certezza tecnica per una Roma in perenne ricostruzione. Nel mercato estivo viene però ceduto al Tottenham, in fase di pura bulimia sul mercato dopo la cessione di Gareth Bale. Tutta la squadra sarà un flop clamoroso e Lamela non mostrerà più quei picchi di resa che gli si attribuivano. Nella seconda stagione trova più spazio, ma resta comunque in un limbo di rendimento con pochi spunti assoluti.
Al sesto anno di carriera vera del classe 1992 la cosa che spicca, purtroppo, è che non ha ancora trovato la sua dimensione. Forse è un esterno, di sicuro lo si fa giocare a destra per rientrare, ma l'evoluzione tecnica di Lamela, in proporzione al suo immenso talento, è stata decisamente limitata. Ha imparato a fare certe cose grazie a Zeman, ma ne ha totalmente perse altre, stabilizzandosi in mezzo al guado. Incastrato tra quello che gli chiedono di fare e quello che potrebbe (almeno agli occhi di molti). Non a caso si parla di lui ancora come potenziale e talento, aspettando l'allenatore giusto e il contesto giusto.


Il Pity invece ha seguito una traiettoria quasi opposta. Nasce nelle giovanili dell'Huracan e se il Globo fosse rimasto quella macchina da futbol che nel 2009 sfiorò il titolo, svezzando un certo Javier Pastore, un talento come Martinez probabilmente sarebbe già in Europa. Invece il Pity si trova a sgomitare nei campi infuocati della B argentina. Le aspettative e le pressioni sono chiaramente diverse, ma il campionato è duro e c'è poco spazio per i funamboli. Tre stagioni da titolare che si chiudono in modo trionfale: non solo l'Huracan vince lo spareggio promozione, ma ai rigori conquista la Copa Argentina.
Marcelo Gallardo, un tecnico con una capacità unica di scovare talenti locali, lo sceglie a sorpresa per il suo River, altra squadra in perenne ricostruzione a causa delle necessità di mercato. E Gonzalo dimostra di aver imparato molto. In poco tempo si conferma uno dei migliori talenti della rosa, ma subito dopo aver notato la potenza e la qualità del suo mancino ci si stupisce per la sua applicazione tattica. Corre, copre, pressa, aiuta i compagni, è capace insomma di mettere il suo talento al servizio della squadra. Sia da trequartista che da esterno il suo apporto alla causa è sempre tangibile, tanto che Gallardo si permette il lusso di arretrarlo sulla linea dei centrocampisti in certe situazioni.
Al quarto anno di carriera vera il classe 1993 ha fatto qualche passo più avanti rispetto alla qualifica di "talento". Ha trovato negli anni fiducia, ha saputo lottare, farsi notare e oggi ha un tecnico come Gallardo che sa mettere i giovani nel giusto contesto. La sua esperienza è ancora limitata al Sudamerica, ma il Pity è già un giocatore credibile, che copre più ruoli, sa di non poter giocare solo sulle proprie qualità tecniche e comprende le necessità di squadra nelle due fasi.

Tornando quindi al pensiero iniziale, a un'analisi più approfondita la valutazione istintiva si rivela sbagliata. Ed è sorprendente.
Lamela a livello di talento probabilmente rimane superiore (e non solo a Martinez), ma su un campo da calcio oggi il Pity può dare qualcosa in più.

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