3 lug 2015

Copa America 2015, semifinali

Generali

Perù: facendo la proporzione mezzi/gioco espresso nettamente la miglior squadra del torneo. Contro il Cile gli uomini di Gareca avevano un piano, sapevano perfettamente come metterlo in opera ed era tamente buono che ha funzionato pure in inferiorità numerica. La densità in mezzo al campo, il pressing e le ripartenze precise sono state a lungo un rebus duro per gli avversari. Senza l'espulsione di Zambrano dopo appena venti minuti c'è la diffusa convinzione che in finale avremmo visto loro e non i padroni di casa. Questa squadra ha un futuro, chapeau.

Paraguay: demoliti dall'Argentina in un secondo tempo senza storia, ma va sottolineato un primo tempo di pura garra. Due degli uomini migliori (Derlis e Santa Cruz) fuori subito per infortunio, due gol subiti entro la mezz'ora e un'Argentina che sembrava in dominio. Invece hanno spaventato i campioni albicelesti con quindici minuti di fuoco, corsa e pressing. Magra consolazione, me ne rendo conto, ma una bella dimostrazione di personalità. In due edizioni consecutive della Copa una sola vittoria, ma finale e semifinale. Mai sottovalutare i guaranì.

Argentina: quando riesce ad assecondare il suo strabordante talento non c'è difesa che tenga. Il secondo tempo contro il Paraguay è una dimostrazione di forza e personalità, soprattutto se confrontata con la partita inaugurale contro gli stessi avversari, oltre che un chiarissimo messaggio al Cile. L'Argentina non si adagia sulla qualità, sa giocare, leggere le partite e avere pazienza. Tra Mondiale e Copa America è certificato che parliamo di una delle primissime squadre al mondo.

Cile: questo Cile strutturalmente soffre le squadre fisiche, e il Perù ha fatto di tutto per evidenziare il gap. Ha però una qualità, un impianto di gioco e degli interpreti che possono risolvere sempre le partite. La squadra crede talmente tanto in quello che fa da correre spesso il rischio di specchiarsi troppo, soprattutto quando c'è da concludere a rete. Contro la squadra di Gareca il Cile ha subito un po' la pressione di essere favorito, ma in finale sarà tutto diverso.

L'attacco albiceleste: merita un discorso a parte. Quattro gol in quattro partite, sei contro il Paraguay. Non c'è mai stato dubbio circa quale fosse il reparto migliore dell'Argentina, ma mai come adesso sembrano anche una squadra. In campo aperto semplicemente inarrestabile. Il tragico, per gli avversari, è che si è svegliato Di Maria, ma Messi è ancora fermo a un gol, su rigore.


Singoli

Pastore: la vera sorpresa di Martino e dell'Argentina. Pastore fa un ruolo di collegamento tra centrocampo e attacco che abbiamo spesso visto fare a Di Maria, e lo fa con classe e pericolosità. Galleggia tra le linee cercando spazi, punta l'uomo, cuce il gioco, si inserisce, rifinisce. El Flaco sembra un giocatore maturo, pronto a mettere il suo talento al servizio della squadra. Regala sempre giocate sublimi.

Messi: non segna, eppure non si parla di crisi. Già questo è un segnale forte di quello che sta facendo Messi in questa Copa. Forse mai così tanto inserito e coinvolto nel contesto dell'Argentina, non fa più la punta ma di fatto il 10 a tutto campo. In condizioni di forma strepitose, ogni partita regala un'azione che per chiunque altro sarebbe tra le migliori della carriera e per lui è routine. La finale potrebbe regalargli uno status nuovo in patria.

Tata Martino: in circa un anno di lavoro ha cambiato pelle all'albiceleste. Sabella, anche per contingenze, si era affidato molto a corsa e fisicità, puntando tutto sul talento di un paio di stelle libere di inventare (Di Maria, Messi). Martino ha creato un contesto di gioco e possesso che si è visto molto, troppo raramente per una rosa con la qualità dell'Argentina. Resta da sistemare la tendenza ai ricami, lo specchiarsi troppo che spesso si ritorce contro alla seleccion.

Santa Cruz: una semifinale che riassume una carriera. Fascia di capitano, bei tocchi, presenza nel gioco e poi l'infortunio che chiude tutto. Ce ne ricorderemo per quello che avrebbe potuto essere.

Barrios: l'argentino naturalizzato non solo ha segnato due gol in due partite alla sua nazione d'origine, ma si è dimostrato uno dei veri 9 più letali del torneo. Tre gol con quattro tiri totali, giocando solo spezzoni. Davvero un peccato che la sua carriera abbia seguito una traiettoria improbabile.

Edu Vargas: dicevamo del suo rapporto con Sampaoli? Contro il Perù risolve una sfida rognosissima con una magia da fuori area. E gli avevano annullato un altro gol diverso, ma ugualmente bello. I suoi movimenti e la sua capacità di vedere la porta in molti modi sono a dire poco fondamentali nel Cile. Rischia di chiudere da capocannoniere.

Aranguiz: dall'altra parte dell'oceano lo definirebbero the best kept secret della Roja. Tra centrocampo e attacco è ovunque e può fare tutto. Una capacità di movimento senza palla e lettura tattica da maestro assoluto, fondamentale per gli equilibri in non possesso tanto quanto per dare peso all'attacco in possesso. Una Copa giocata ad altissimi livelli, ma non così scontato da notare.

Sanchez: è eccesivo parlare di delusione, ma da Alexis Sanchez è lecito aspettarsi di più. Nel secondo tempo contro il Perù ha pensato solo al dribbling e a far scorrere il cronometro con scarso successo. L'uomo simbolo del Cile non può accontentarsi di giochicchiare.

Guerrero: contro il Cile semplicemente commovente. Abbandonato a se stesso a causa dell'inferiorità numerica è riuscito a fare reparto, difendere palla e giocare di qualità. Un giocatore maturo ed efficace. Un peccato non abbia saputo trovare il suo spazio in Europa.

Advincula: il miglior esterno destro della Copa. Fisico, velocità straordinaria, tempi di inserimento e buona tecnica. Sembra pronto per affermarsi in Europa, dovessi scommettere direi che quest'anno ne sentiremo parlare in Bundesliga.

Gareca: in quattro mesi (ripetete, quattro mesi) ha gettato i semi di quella che potrebbe essere una rivoluzione per il Perù. Iperbole, certo, ma la sua squadra ha dimostrato personalità, convinzione e una capacità di interpretare le partite rara. Gareca aveva incartato anche il Cile e non è andato lontano dai rigori in inferiorità numerica per settanta minuti. Continuasse su questa strada potrebbe addirittura diventare quello che Bielsa è stato per il Cile.

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