5 feb 2014

Marcelo Bielsa e una questione di eredità

Dopo aver presentato la crescita esponenziale nel rendimento dei giocatori dell'Atletico Madrid grazie alla mano del Cholo Diego Pablo Simeone, proseguiamo nell'analisi dell'importanza del lavoro svolto da un allenatore. Troppo spesso ci si limita infatti a guardare esclusivamente i nomi dei giocatori scesi in campo, lasciando in disparte l'influenza che può avere il tecnico nell'evoluzione tecnica, tattica e mentale di una squadra. Molte volte sono gli stessi allenatori, in tutta la loro falsa modestia, a sminuire il ruolo ricoperto o, in alternativa, a far notare la differenza tra le rose a disposizione. Certo, potere scegliere tra Xavi o Nestor Ortigoza -che, sinceramente, per noi è un fenomeno- non è la stessa cosa, ma laddove non arriva il singolo, può riuscire in molti casi il collettivo. Senza proseguire nel paragone tra giocatori prediletti del dio del pallone e pippe sesquipedali, è sufficiente pensare ai numerosi esempi di squadre assemblate con una miriade di talenti che hanno miseramente fallito o a club modesti in grado di sorprendere tutti, senza alibi di alcun genere.

Dalla capitale spagnola, oggi ci spostiamo un po' più a nord, a Bilbao, in pieno territorio basco. Al pari dell'Atletico Madrid capolista, l'Athletic è infatti una delle grandi sorprese della Liga 2013/2014: classifica alla mano, i Leoni occupano la quarta posizione, la prima per le squadre "normali", staccati di 11 punti dal Real di Ancelotti e dal Barcellona del Tata Martino, in piena corsa per un posto nella prossima Champions League, con 3 punti di vantaggio sul Villarreal e 7 sugli acerrimi rivali di San Sebastian, la Real Sociedad.
Il girone di andata dei baschi ha stupito un po' tutti e riportato prepotentemente in auge il nome di Ernesto Valverde, che, a 8 anni dalla sua ultima partita alla guida degli zurigorri, è tornato a Bilbao con con un curriculum senz'altro arrichito dalle diverse esperienze tra Spagna e Grecia (dove ha collezionato tre titoli con l'Olympiakos).
Chiamato in estate dal Presidente Urrutia per sostituire l'argentino Marcelo Bielsa, Valverde ha trovato un Athletic profondamente cambiato nello spirito e nell'anima, con il delicato trasferimento nel nuovo San Mamés a fare da cornice al suo secondo insediamento.

Il tecnico di Viandar de la Vera ha però dimostrato fin da subito idee chiare, umiltà e astuzia, impiegando poco ad analizzare e pesare la situazione della squadra e individuando immediatamente i giusti correttivi da apportare. Correttivi, esattamente, perché l'Athletic messo a sua disposizione non era più la squadra tutta grinta e lanci lunghi al faro basco di turno, ma un undici in grado di esprimere un gioco arioso e moderno, incentrato sul possesso palla e lo sviluppo della manovra partendo dalle retrovie. E il merito di questa rivoluzione operata in terra vazcaina è facilmente attribuibile a Marcelo Bielsa, che in due stagioni sulla panchina degli zurigorri ha saputo imporre con fermezza e passione la sua idea di calcio.

Doveroso premettere che su questo blog Bielsa è un idolo: per il suo essere visionario, la sua personalità, le idee all'avanguardia, la passione e le ormai famose pazzie che gli sono valse il soprannome "El Loco". Del Marcelo Bielsa uomo e allenatore ci sarebbe da parlare per ore e prima o poi lo faremo, ma per il momento limitiamoci a tornare alla sua tappa all'Athletic.
A Bilbao il tecnico di Rosario ha trovato tutti i migliori ingrendienti necessari per dare vita alla sua ricetta di futbol: un ambiente caldo e compatto, una bandiera per cui lottare e una squadra tutta da formare, ma con tanti giocatori giovani e acerbi su cui lavorare. In pochi mesi Bielsa ha saputo dare il via a una rivoluzione che ha portato l'Athletic a esprimere con ogni probabilità il miglior calcio d'Europa, regalando autentiche lezioni di gioco in Spagna e all'estero -memorabile, a tal proposito, la prestazione offerta in Europa League all'Old Trafford-. Un gioco fatto di fraseggi a velocità folli, pressing a tutto campo, movimenti studiati al millimetro, un'occupazione degli spazi maniacale e una ricerca selvaggia della verticalità.

Il lavoro del Loco nella testa dei giocatori è stato impressionante e la crescita di molti di loro ne è la conferma: Javi Martinez ha trovato la consacrazione definitiva, Llorente -il faro basco di cui sopra- ha dimostrato di poter diventare un centravanti completo sotto ogni punto di vista e la batteria di giovani (Muniain, De Marcos, Iturraspe...) lanciati con fiducia cieca ha risposto presente senza esitazione. Oltre a loro hanno compiuto progressi degni di nota anche giocatori come il neo-acquisto Ander Herrera -uno dei migliori interni di Spagna, in questo momento-, il terzino Andoni Iraola e l'ala Markel Susaeta.

Tuttavia Bielsa è un'idealista e in quanto tale non accetta il compromesso. Non accade sul terreno di gioco e non accade fuori, dove sono nati i primi veri attriti con la dirigenza che hanno minato l'empatia tra il club e il tecnico. La seconda stagione nei Paesi Baschi ha portato infatti alla luce i problemi strutturali in società e in campo: l'undici di Don Marcelo può esprimersi solo se le gambe e la testa funzionano a giri massimi, altrimenti l'ingranaggio si inceppa e i difetti emergono prepotentemente. La ricerca ossessiva del gioco in verticale sbilancia la squadra e le infilate in contropiede sono all'ordine del giorno. L'Athletic, dopo una prima annata a un passo dalla leggenda -10° in Liga, sconfitto in finale di EL dall'Atletico del Cholo e in Copa del Rey dal Barça- chiude la seconda stagione al 12° posto nel campionato spagnolo, uscendo prematuramente sia dall'Europa League che dalla Coppa del Re.

Malgrado il rendimento altalenante della seconda stagione e la decisione di abbandonare la panchina degli zurigorri, Bielsa ha saputo condurre la squadra a un approdo sicuro, lasciando in eredità a Valverde una rosa cresciuta esponenzialmente rispetto al suo arrivo a Bilbao, orfana di due colonne come Javi Martinez e Llorente, ma preparata a interpretare nel migliore dei modi qualsiasi dettame tattico del nuovo allenatore. I giovani talenti cresciuti dal rosarino hanno compiuto un'importante evoluzione e tanto Valverde quanto i vertici del club potranno trarne i benefici, in campo e in sede di mercato. Javi Martinez è stato ceduto al Bayern per 40 milioni di Euro e le valutazioni di giocatori come Herrera, Muniain, Susaeta, De Marcos e Iturraspe hanno registrato un notevole incremento.

Valverde, come detto in precedenza, ha avuto l'accortezza di non compiere ulteriori e inutili rivoluzioni, ma ha aggiustato e corretto l'opera iniziata da Bielsa, portando maggiore attenzione in fase difensiva e mettendo le briglie alla ricerca spasmodica della verticalità, a favore di un possesso palla più spagnolo: orizzontale e, se necessario, compassato.
Fatte le dovute proporzioni, è quanto accaduto a Monaco di Baviera con Louis Van Gaal e Jupp Heynckes, dove il primo ha tracciato la rotta per gli straordinari successi del secondo.

In conclusione, un allenatore non deve necessariamente vincere e trionfare per assumere un ruolo determinante nella nascita di un ciclo, ma deve essere in grado di gettare delle basi solide a ogni livello. Non è facile riuscire in un'impresa simile e non a caso Bielsa e Van Gaal sono due dei massimi esponenti di quella corrente idealista secondo la quale il primo passo per il successo è la capacità di trasmettere il proprio credo calcistico, senza compromesso alcuno. Il tecnico argentino a Bilbao ha rivoluzionato squadra e, probabilmente, ambiente, regalando momenti emozionanti e altri più duri, ma tutti vissuti alla massima velocità, con un'empatia assoluta tra squadra e giocatori.
Il successo di Bielsa non può essere misurato con i semplici risultati, ma attraverso l'eredità lasciata al club e al suo successore: il Loco all'Athletic ha lasciato un futuro.

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