Il Brasile tutto fa del calcio una religione. La ferita dei Mondiali 1950 è ancora aperta, quindi è naturale che tutti vedano nell'edizione 2014 la grande opportunità di riscatto storico.
Non è un caso che dal giorno della sconfitta con l'Olanda nel 2010 con conseguente defenestrazione di Dunga la CBF tutta abbia iniziato a lavorare per plasmare la nazionale del futuro.
Il Brasile nel frattempo è anche uno stato in forte crescita economica. Non più una nazione con prospettive future, ma una realtà del presente, destinata ad acquisire importanza anche grazie ai Mondiali 2014 e alle Olimpiadi 2016. La disponibilità economica e l'interesse suscitati fanno si che in Brasile circolino molti più soldi che nel recente passato, con conseguenze dirette anche sul mondo del calcio.
In Brasile i grandi club oggi possono permettersi di tenere i loro talenti, offrendo un posto da titolare e uno stipendio in linea (se non superiore) a quello che possono offrire club europei grazie a partnership con diversi sponsor. Ad esempio per coprire d'oro Neymar il Santos si avvale di qualcosa come 11 partner commerciali. Di sicuro qualcosa di complesso da costruire, ma funzionale all'obiettivo di trattenere il miglior talento in rosa.
Soldi e posto da titolare, dicevamo. Particolare fondamentale in vista di quel Mondiale in casa a cui tutti tengono. Se giochi mantieni visibilità e puoi andare in nazionale, come garantito da ct Mano Menezes.
Non è più importante andare in Europa e confrontarsi con un altro calcio. Basta giocare, anche in patria.
Equiparare il calcio europeo a quello brasiliano è però un grossissimo errore. Soldi o non soldi. Specie volendo creare una squadra pronta per affrontare una competizione internazionale.
Non mettersi in discussione cambiando realtà, nazione, contesto tecnico impedisce ai giocatori di esplorare tutto il loro talento, tralasciando il lato umano della crescita personale. Non sono spinti a imparare nulla di nuovo, e anzi tendono a esasperare gli aspetti che in Brasile sono più considerati e magari fanno la differenza, ma che in Europa storicamente vengono pesantemente ridimensionati.
La crescita fisica, tattica e tecnica viene sacrificata in nome di una certa presunzione nel sopravvalutare il contesto nazionale e della volontà di coccolare i propri ragazzini/idoli.
Perchè provocargli uno stress mandandoli dall'altra parte dell'oceano, dove vengono maltrattati con corsa e tattica e magari nemmeno li fanno giocare? Vuoi mettere il trauma per un Neymar costretto ad accettare una panchina? Meglio tenerli qui fino al 2014.
A furia di ripeterlo, finisce che i ragazzi ci credono.
Non a caso tutti i principali talenti esprimono la volontà di rimanere in patria fino al fatidico Mondiale col posto garantito o quasi in modo da trovare spazio nella rosa della nazionale.
Personalità? Crescita come giocatori? Voglia di imporsi? Ambizione?
Tutto sacrificato in nome di un sogno collettivo.
E se fosse un fallimento?
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