16 nov 2011

Top Argentina - Talenti sprecati

Il calcio del Sud America è da sempre sinonimo di tecnica, grandi giocate e gol spettacolari. Un calcio predicato sul talento individuale che spesso però risulta bloccato nel suo sviluppo da motivazioni ambientali, caratteri particolari o semplice pigrizia.
Questa è una carrellata di talenti che si sono fermati qualche gradino sotto a quello che poteva essere il loro vero potenziale, soprattutto nella loro esperienza nel vecchio continente.


7. Pablo Aimar: el Payaso è stato un idolo del Monumental con 4 titoli vinti e un protagonista del Valencia dei primi anni 2000. Il più grosso limite al talento di questo fantasista tutto tecnica e dribbling è stato il fisico continuamente tormentato da problemi di ogni genere. A 32 anni si fa ancora rispettare al Benfica.

6. Gaston "la Gata" Fernandez: classica seconda punta con una carriera da eterno sottovalutato. Tra occasioni perse (una su tutti, il River Plate dov'è nato) e un'indolenza naturale che lo porta a fare sempre qualcosa di meno di quello che il suo grande talento gli permetterebbe è sempre rimasto tra Argentina e Messico, trovando casa a La Plata dove ha vinto tutto all'ombra di Juan Sebastian Veron. Non ha mai trovato continuità e soprattutto non si è mai messo in gioco in Europa.

5. Ever Banega: il più giovane della classifica e quindi l'unico che può ancora riscattarsi si trova in mezzo alla discussione perchè ha esordito giovanissimo nel Boca e nell'Argentina Olimpica e Under 20 promettendo tantissimo. Centrocampista assolutamente completo, con cattiveria agonistica, capacità di recuperare palloni e soprattutto tecnica sopraffina e visione di gioco panoramica ha pagato tanto il passaggio in Europa al Valencia, per motivi caratteriali. Ma le etichette si mettono in fretta e poi toglierle è dura. Il calcio spagnolo non lo sta aiutando a migliorare tatticamente, anzi lo spinge in posizioni sempre più avanzate con sempre meno compiti tattici. Ne guadagna il talento libero, ma a che prezzo? Giocatore da salvare.

4. Andres D'Alessandro: il "nuovo Maradona" per eccellenza dei primi anni 2000, mancino da sogno che ha regalato titoli al River in coppia con el Torito Cavenaghi. Dopo gli esordi da stella un discusso e discutibile passaggio in Europa dalla porta di servizio del Wolfsburg (nel 2003 non esattamente tra i top team del continente), con annesso fallimento in Germania e nelle squadre successive, fino alla rinascita in Brasile all'Internacional di Porto Alegre, dove soprattutto vince Copa Sudamericana, Libertadores e Pallone d'Oro Sudamericano. Limiti di personalità e fisici ne hanno segnato la carriera. Il giudizio è ormai di un giocatore inadatto a essere leader e limitato al suo continente d'origine.

3. Ariel Ortega: giocatore dal talento straordinario, specie per chi l'ha visto giocare nel River fino alla Libertadores 1996. Un talento tale da permettergli di giocare ai massimi livelli in Argentina anche a 37 anni, pur con un fisico minuto e innumerevoli problemi comportamentali, soprattutto legati a una brutta dipendenza dall'alcol. Ha girato Spagna, Italia e Turchia, ma ha acceso la lampadina del suo genio solo a sprazzi. Per quanto abbaglianti, veramente troppo poco per il dono che ha.

2. Javier Saviola: il principe dei talenti sprecati, un altro pibe dalle inferiores del River. Esordisce a

16 anni nella squadra di Nunez, a 18 è capocannoniere e miglior giocatore d'Argentina e del Sud America. Poi arriva il Mondiale Under 20 con 11 gol in 7 partite e il passaggio a 20 anni al Barcellona, con 17 gol nella sua prima Liga. Un inizio di carriera che definire folgorante è poco per el Conejo, e infatti da qui è solo discesa. Arriva in Catalogna in un delicato periodo di ricostruzione e finisce macinato, con la gravissima colpa personale di non riuscire mai a mettersi davvero in gioco, accettando troppe panchine o squadre minori per pochi mesi, dimostrando personalità e ambizione inversamente proporzionali al talento. Ritrova una squadra dove giocare titolare con continuità al Benfica alla soglia dei 30 anni, col nostro numero 7 Aimar. 1. Juan Roman Riquelme: possiamo parlare di talento sprecato solo in proporzione alle immense aspettative attorno a un simile giocatore, che rimarrà per sempre unico nel panorama calcistico mondiale. La sua carriera è totalmente spaccata in due tra Europa e Argentina, con una distanza in mezzo ben rappresentabile dall'Oceano Atlantico. Idolo totale e oltre dei tifosi xeneizes per le pagine di storia scritte con la camiseta de Boca, figura di media grandezza in Europa legato alla piccola realtà di Villarreal, squadra sostanzialmente sconosciuta prima del suo avvento, che ha portato il sottomarino giallo alle semifinali di Coppa Uefa e di Champions League. Il principale responsabile della sua scarsa fama in Europa è il suo primo allenatore Louis Van Gaal, che lo impiegava poco e malissimo nel suo Barcellona, e come dicevamo prima le etichette sono dure da togliere. Per fortuna che il palmares col Boca racconta di 3 Libertadores, 1 Intercontinentale e 4 campionati (per ora), conditi da un'infinità di gol, assist e giocate che pochissimi possono anche solo pensare. El Mudo è di sicuro un tipo scontroso e difficile, ma in quanto a qualità di natura è in un'elite di grandi campioni.

(ha collaborato G.B.)

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