Doveva essere il giorno del giudizio, il punto di non ritorno, la data che avrebbe sancito la sorte di intere generazioni di tifosi argentini, la guerra dei mondi e via dicendo, tuttavia è stata l'ennesima puntata di una storia fatta di mancata organizzazione e interessi che vanno ben oltre il campo di gioco. Insomma, una "normale" giornata calcistica oltreoceano, con disordini, pietre volanti, sceneggiate, notizie di tutti i generi che si rincorrono tra smentite e conferme, con la cassa di risonanza che solo un Superclasico in finale di Copa Libertadores può creare.
Forse per la prima volta la competizione più importante del Sudamerica può competere con la Champions League e il Mondiale, perché non c'è appassionato che si voglia perdere la partita del secolo e non c'è testata giornalistica che possa pensare di rinunciare alla copertura dell'evento più goloso dell'anno. È facile seguire Boca-River: un po' di retorica, qualche aneddoto, due interviste agli ex che sono passati dal tuo paese, parole roboanti e il pezzo è pronto. È ancora più facile preparare qualche riga di profonda indignazione e disdegno, perché in fondo vanno bene la guerra o lo scontro tra fazioni, ma inteso in termini sportivi. A memoria, di termini sportivi in queste settimane se ne sono letti ben pochi e un po' sorprende lo stupore per quanto accaduto nella capitale argentina, che negli ultimi tempi a livello sociale ed economico non sta attraversando un'epoca dorata. Accendere la tv o atterrare a Buenos Aires pensando di vivere un meraviglioso evento di sport era un'utopia che neppure il più ottimista tra gli addetti poteva immaginare.
Ciò che è accaduto sabato sera va senza alcun dubbio oltre i limiti dell'accettabile. Tuttavia, nonostante questo, si tratta di avvenimenti che dovrebbero essere inseriti in un contesto che permetta quantomeno di capire cosa è accaduto, in quale modo e in quale ambiente.
▪ I fatti
La cronaca delle ore antecedenti il Superclasico di ritorno al Monumental è piuttosto chiara: il pullman del Boca Juniors, lasciato il ritiro prepartita, è oggetto di una sassaiola a qualche centinaio di metri dallo stadio. Si rompono alcuni vetri e a riportare le conseguenze peggiori è il capitano degli Xeneizes, Pablo Perez, colpito all'occhio da alcune schegge. La polizia, nel tentativo di ripristinare l'ordine, lancia lacrimogeni che finiscono per intossicare parte della rosa del Boca. Nelle ore successive la Conmebol spinge per far disputare l'incontro, il Boca si oppone e, al termine di un infinito tira e molla, ottiene il rinvio della partita a domenica, forte del supporto del River Plate. Nel frattempo all'esterno dello stadio della Banda il disordine prosegue, tra scontri e furti d'auto. Mentre i tifosi presenti allo stadio iniziano ad abbandonare l'impianto, c'è anche chi riesce nel tentativo di irrompere dall'esterno, in cerca dei giocatori rivali, secondo alcuni, in cerca di biglietti, secondo altri.
Il giorno seguente i tifosi di casa iniziano a riempire nuovamente il Monumental, ma, dopo la visita dall'oftalmologo, Pablo Perez non riceve l'ok medico e il Boca ottiene un ulteriore rinvio a data da destinarsi. L'obiettivo: una vittoria a tavolino.
▪ L'antecedente
Quando si parla di Boca, River e lacrimogeni il richiamo al 14 maggio 2015 è inevitabile. Si tratta del ritorno degli ottavi di Copa Libertadores, disputato sette giorni dopo l'andata al Monumental conclusasi 1-0 per i Millonarios. I giocatori del River, al rientro in campo dopo l'intervallo, subiscono un attacco con una bomboletta di spray urticante lanciata all'interno del tunnel che porta al terreno di gioco. Dopo più di un'ora di discussioni, con il Presidente del River D'Onofrio sceso in campo a battagliare verbalmente con dirigenti boquensi e direttori della Conmebol, l'arbitro Dario Herrera sancisce la fine dell'incontro: vittoria del River a tavolino e squalifica dalla competizione in corso per il Boca. Il "gas pimienta" lanciato da un barra brava del Boca, Adrian El Panadero Napolitano, passerà tristemente alla storia, diventando oggetto di infinite discussioni e prese in giro tra rivali.
▪ E adesso?
Inevitabile dunque chiedersi se questa volta la vittoria a tavolino toccherà agli Xeneizes: non da escludere, ma molto improbabile, perché, a differenza del 2015, i fatti si sono svolti a centinaia di metri dallo stadio Monumental e il responsabile della sicurezza, in quella zona, non è il River Plate. C'è qualche precedente, anche in occasione di altri finali, e finora la vittoria non è stata assegnata a tavolino. Le differenze con quanto accaduto alla Bombonera sono evidenti e il tempo che trascorrerà da qui a martedì, data in cui verrà presa un'ulteriore decisione sulla data della finale, servirà al Millo per raccogliere ulteriori prove a proprio vantaggio. La Conmebol, che voleva disputare la finale a tutti i costi sabato sera, non è mai sembrata orientata verso la sospensione dell'incontro e difficilmente si esporrà in tale direzione.
▪ Di chi è opera l'attacco?
Nella narrazione del futbol argentino, delle sue leggende e della sua mistica, ci si dimentica spesso di chi, in questo calcio, ha un peso pari, se non superiore, a giocatori e dirigenti: i barrabravas. La loro fama ha superato i confini nazionali e continentali, spesso per il folklore e il tifo caloroso, meno frequentemente per ciò che in realtà rappresentano: organizzazioni criminali. La Barra ormai ha un potere e un'influenza che vanno ben oltre la curva o lo stadio, grazie ad agganci diretti con la malavita e rapporti più o meno chiari con la politica. Tifo organizzato e spaccio di droga sono un binomio inseparabile, tanto che la rivendita di biglietti passa ormai per normalità.
Non è un caso che gli scontri tra diverse fazioni all'interno della stessa Barra finiscano spesso sulle pagine di cronaca nera: comandare il tifo organizzato è un'attività remunerativa e la lotta per il potere è spietata. C'è chi sostiene che lo stesso Panadero di cui sopra, membro di un gruppo passato in secondo piano nella gerarchia della Doce e diffidato dall'ingresso alla Bombonera, abbia lanciato il gas urticante proprio per mandare un segnale ai vertici della Barra xeneize e del club.
Sabato l'assalto al pullman del Boca non è stato opera di passanti innervositi dal saluto poco carino di Gago o da ragazzini un po' sopra alle righe: è stato un agguato studiato a tavolino dai Borrachos del Tablon, la Barra del River Plate.
▪ Il movente?
Qualche giorno fa un'irruzione delle forze dell'ordine ha permesso il recupero di 10 milioni di pesos, 15mila dollari e oltre 300 biglietti per il Superclasico. Il proprietario? "Caverna" Godoy, il capo della Barrabrava del River Plate. D'Onofrio, il presidente dei Millonarios, è stato abbastanza chiaro quando ha parlato di "10/15 persone", facendo intendere il riferimento.
Il pensiero della Barra? Senza di noi questa partita non si gioca. Ed ecco che allora anche l'irruzione nel Monumental assume contorni diversi e c'è chi riporta notizie di tifosi aggrediti e tentativi di furti dei preziosissimi tagliandi. A tal proposito è da considerare quantomeno rivedibile la scelta del River di mantenere validi i vecchi biglietti per il recupero (eventuale?).
▪ Le forze dell'ordine
Scortare il pullman del Boca con qualche moto e farlo immettere in un imbuto di tifosi rivali è a dir poco sconsiderato. Qualche settimana fa il Ministro Patricia Bullrich ostentatava sicurezza, riducendo ai minimi termini la preoccupazione per il doppio Superclasico, facilmente gestibile rispetto all'imminente G20. Macrì auspicava addirittura il tanto atteso ritorno dei tifosi ospiti, vietati ormai da anni in Argentina.
Difficile tracciare il confine tra negligenza e collusione, soprattutto senza trascinare in campo riferimenti politici. Qualche giornalista argentino ha parlato di "zona liberada", facendo intendere che la Barra e la Polizia abbiano trovato un accordo dopo la retata ai Borrachos. C'è chi richiama uno stretto legame tra Barra riverplatense e governo Kirchner e chi, negli eventi di sabato, vede un messaggio rivolto all'ex-presidente del Boca Mauricio Macrì, l'attuale capo di stato argentino.
Non c'erano le condizioni per disputare un incontro alla pari e il Boca ha fatto bene a opporsi alle pressioni della Conmebol e di Infantino. Così come hanno fatto bene il River e Gallardo ad appoggiare i rivali. Poco importa se qualche giocatore del Boca, così come accaduto tre anni fa tra quelli del River, abbia approfittato della situazione per un po' di teatro, come l'uruguaiano Nandez, entrato al Monumental in versione mirmidone e pochi minuti dopo disteso in fin di vita negli spogliatoi. A differenza del 2015, quando i giocatori del Boca, escluso Osvaldo, si rifiutarono di lasciare il terreno di gioco nonostante la decisione dell'arbitro, la squadra di casa ha sposato la causa del rivale, forse anche nel tentativo di minimizzare i rischi di un ricorso per l'assegnazione a tavolino. Tentativo andato a vuoto, perché a Casa Amarilla sembrano intenzionati a restituire il regalo confezionato tre anni fa.
Nel frattempo sono emerse immagini di Gago che saluta i tifosi di casa con un dito medio e pare che Tevez abbia mimato la celebre gallina da un finestrino, ma, se effettivamente si tratta di un attacco della Barra, dei colpi di genio dei referenti azul y oro importa poco.
Più curioso è invece il caso di Pablo Perez. Ricoverato per rimuovere le schegge di vetro, seppur non in condizione, sembrava disposto a giocare, fino alla definitiva sospensione dell'incontro. Domenica il capitano Xeneize si è recato alla clinica Otamendi per un nuovo esame, ottenendo un ulteriore stop da parte dei medici. Il direttore del reparto? Il Dott. Heriberto Marotta, responsabile dell'area medica del Boca Juniors.
In tutto questo la Conmebol non ha perso occasione per dimostrare la propria inadeguatezza a livello politico e organizzativo. Tra rinvii, posticipi e comunicazioni random, il massimo organo del calcio sudamericano ha lanciato un perfetto spot del proprio operato in mondovisione. Dapprima facendo la voce grossa e minacciando il Boca in caso di rifiuto a scendere in campo, poi mettendo a rischio la sicurezza dei tifosi rinviando di mezz'ora in mezz'ora la partita. Non ce n'era bisogno, ma è stata l'ennesima dimostrazione che il calcio occupa l'ultimo posto nei loro interessi.