Nel calcio, come nella vita, giunge inevitabile un momento in cui si sente la necessità di cambiare, di voltare pagina e di rimettere tutto in gioco. Questo ha pensato Pep Guardiola quando, accompagnato dalle sue convinzioni tattiche, si è presentato nell'ufficio di Laporta chiedendo per la seconda estate consecutiva la cessione di Samuel Eto'o, bomber del triplete blaugrana. Una scossa per ripartire con nuove motivazioni, con quello Zlatan Ibrahimovic monarca indiscusso in Italia e bulletto di periferia in Europa, con i suoi centimetri, la sua imprevedibilità e la sua smisurata ambizione a rappresentare una sfida troppo intrigante per l'allenatore catalano e per lo stesso presidente, incapace di rimanere impassibile di fronte al capriccio dell'uomo che lo ha proiettato nella storia del calcio mondiale.
Il genio di Messi, le geometrie di Xavi, la classe di Iniesta e la bizzosa potenza dello spilungone di Malmö: è l'alba di un'altra memorabile e gloriosa cavalcata verso la conquista del mondo del pallone in nome del bel calcio inteso come una sinfonia di scambi stretti e precisi, movimenti continui e triangolazioni da far impallidire Pitagora eseguite a velocità supersoniche. Una corazzata invincibile quanto spettacolare guidata da Guardiola, il ragazzino catalano entrato in punta di piedi nella Masia a tredici anni che, dopo aver vinto tutto calcando l'erba del Camp Nou, è tornato a casa da allenatore, da filosofo della panchina e da maestro di calcio. Il Pep, quello che ha avuto il coraggio di indicare la porta a senatori come Ronaldinho e Deco per non tarpare le ali a Messi e agli altri ragazzini cresciuti nella cantera del distretto di Les Corts, quello che ora ha preparato le valige a Samuel Eto'o rimpiendole con cinquanta milioni di euro ed un biglietto di sola andata in direzione Milano.
Una mossa geniale? Un tremendo azzardo? Sono bastati pochi mesi per registrare le prime avvisaglie di quello che non si è rivelato il semplice scossone emotivo desiderato da Guardiola, ma un terremoto vero e proprio in grado di minare le certezza di una squadra apparsa fino ad allora imbattibile ed irraggiungibile. L'addio forzato di Eto'o ha lasciato spazio ad un ego troppo grande per uno spogliatoio già illuminato da diverse stelle ed incontrollabile per lo stesso Guardiola: un'arma a doppio taglio dentro e fuori dal campo. Addio ai movimenti del camerunense, alla sua freddezza sotto porta, alla straordinaria semplicità del suo calcio e benvenuto all'ostentazione fatta persona, al centravanti atipico con l'assoluta necessità di essere sempre al centro del gioco e inefficace se inserito in un contesto che non preveda un'intera squadra umilmente al suo servizio. Schiacciato dal peso della personalità e del talento di "una" pulce (l'onestà intellettuale consiglia di specificare che non si tratta di una pulce qualsiasi), il piccolo-grande Ibra ha comunque chiuso la stagione con l'onorevolissimo score di ventuno reti, non male per gli almanacchi, ma non abbastanza per l'esigente pubblico spagnolo, rattristato ripensando al precedente numero nove e avvilito vedendo lo stesso Eto'o esultare sotto ai loro occhi festeggiando la qualificazione alla finale di Madrid.
Colui che veniva chiamato "filosofo" in segno di apprezzamento e stima per gli ideali calcistici e per il livello intellettuale messo in mostra lontano dal terreno di gioco si è sentito battezzare in questo modo con una certa vena di disprezzo, quasi invitato ad una nuova carriera lontano dalla panchina a giostrare fra i salotti letterari di Barcellona, mentre l'acquisto più oneroso della storia blaugrana, fra una dichiarazione e l'altra, ha trovato sistemazione in un club in grado di soddisfare i capricci suoi e del suo rappresentante.
Scottato (ustionato?) dall'operazione Ibra, Guardiola non ha esitato ad investire pesantamente per un nuovo centravanti, ripiegando questa volta sul campione del Mondo David Villa: giocatore ben più simile ad Eto'o rispetto al predecessore svedese. Una sconfessione delle proprie convinzioni tecnico-tattiche, una tacita ammissione di colpe e soprattutto la consapevolezza di aver commesso un crimine oramai irreparabile verso il suo Barcellona. E' presto per esporsi in pericolosi giudizi sull'operato del Guaje al centro dell'attacco dei catalani, ma questo prime partite stagionali sono sembrate un inesorabile déjà vu, perchè, nonostante la bontà e l'assoluta qualità del numero sette della nazionale spagnola che con ogni probabilità si tradurranno in un'ottima quantità di gol, nè Villa, nè Ibrahimovic, nè nessun altro attaccante al Mondo è in grado di rappresentare ed emulare ciò che Samuel Eto'o è stato per la squadra di Pep Guardiola: una macchina da gol implacabile in grado di muoversi per il fronte offensivo con tempi, sapienza ed intelligenza da manuale del calcio, un'atleta infaticabile con la predisposizione al sacrificio di un mediano perfetto per il concetto di pressing totale del suo allenatore, una star mondiale in grado di valorizzare senza soffrire lo sconfinato talento di Messi, un giocatore da subito nel cuore dei tifosi, apprezzato da tutto lo spogliatoio blaugrana e soprattutto un catalano d'adozione legato al Camp Nou, a Barcellona e alla sua gente.
Troppo per cercarne un clone, troppo anche per un'alternativa.
Il genio di Messi, le geometrie di Xavi, la classe di Iniesta e la bizzosa potenza dello spilungone di Malmö: è l'alba di un'altra memorabile e gloriosa cavalcata verso la conquista del mondo del pallone in nome del bel calcio inteso come una sinfonia di scambi stretti e precisi, movimenti continui e triangolazioni da far impallidire Pitagora eseguite a velocità supersoniche. Una corazzata invincibile quanto spettacolare guidata da Guardiola, il ragazzino catalano entrato in punta di piedi nella Masia a tredici anni che, dopo aver vinto tutto calcando l'erba del Camp Nou, è tornato a casa da allenatore, da filosofo della panchina e da maestro di calcio. Il Pep, quello che ha avuto il coraggio di indicare la porta a senatori come Ronaldinho e Deco per non tarpare le ali a Messi e agli altri ragazzini cresciuti nella cantera del distretto di Les Corts, quello che ora ha preparato le valige a Samuel Eto'o rimpiendole con cinquanta milioni di euro ed un biglietto di sola andata in direzione Milano.
Una mossa geniale? Un tremendo azzardo? Sono bastati pochi mesi per registrare le prime avvisaglie di quello che non si è rivelato il semplice scossone emotivo desiderato da Guardiola, ma un terremoto vero e proprio in grado di minare le certezza di una squadra apparsa fino ad allora imbattibile ed irraggiungibile. L'addio forzato di Eto'o ha lasciato spazio ad un ego troppo grande per uno spogliatoio già illuminato da diverse stelle ed incontrollabile per lo stesso Guardiola: un'arma a doppio taglio dentro e fuori dal campo. Addio ai movimenti del camerunense, alla sua freddezza sotto porta, alla straordinaria semplicità del suo calcio e benvenuto all'ostentazione fatta persona, al centravanti atipico con l'assoluta necessità di essere sempre al centro del gioco e inefficace se inserito in un contesto che non preveda un'intera squadra umilmente al suo servizio. Schiacciato dal peso della personalità e del talento di "una" pulce (l'onestà intellettuale consiglia di specificare che non si tratta di una pulce qualsiasi), il piccolo-grande Ibra ha comunque chiuso la stagione con l'onorevolissimo score di ventuno reti, non male per gli almanacchi, ma non abbastanza per l'esigente pubblico spagnolo, rattristato ripensando al precedente numero nove e avvilito vedendo lo stesso Eto'o esultare sotto ai loro occhi festeggiando la qualificazione alla finale di Madrid.
Colui che veniva chiamato "filosofo" in segno di apprezzamento e stima per gli ideali calcistici e per il livello intellettuale messo in mostra lontano dal terreno di gioco si è sentito battezzare in questo modo con una certa vena di disprezzo, quasi invitato ad una nuova carriera lontano dalla panchina a giostrare fra i salotti letterari di Barcellona, mentre l'acquisto più oneroso della storia blaugrana, fra una dichiarazione e l'altra, ha trovato sistemazione in un club in grado di soddisfare i capricci suoi e del suo rappresentante.
Scottato (ustionato?) dall'operazione Ibra, Guardiola non ha esitato ad investire pesantamente per un nuovo centravanti, ripiegando questa volta sul campione del Mondo David Villa: giocatore ben più simile ad Eto'o rispetto al predecessore svedese. Una sconfessione delle proprie convinzioni tecnico-tattiche, una tacita ammissione di colpe e soprattutto la consapevolezza di aver commesso un crimine oramai irreparabile verso il suo Barcellona. E' presto per esporsi in pericolosi giudizi sull'operato del Guaje al centro dell'attacco dei catalani, ma questo prime partite stagionali sono sembrate un inesorabile déjà vu, perchè, nonostante la bontà e l'assoluta qualità del numero sette della nazionale spagnola che con ogni probabilità si tradurranno in un'ottima quantità di gol, nè Villa, nè Ibrahimovic, nè nessun altro attaccante al Mondo è in grado di rappresentare ed emulare ciò che Samuel Eto'o è stato per la squadra di Pep Guardiola: una macchina da gol implacabile in grado di muoversi per il fronte offensivo con tempi, sapienza ed intelligenza da manuale del calcio, un'atleta infaticabile con la predisposizione al sacrificio di un mediano perfetto per il concetto di pressing totale del suo allenatore, una star mondiale in grado di valorizzare senza soffrire lo sconfinato talento di Messi, un giocatore da subito nel cuore dei tifosi, apprezzato da tutto lo spogliatoio blaugrana e soprattutto un catalano d'adozione legato al Camp Nou, a Barcellona e alla sua gente.
Troppo per cercarne un clone, troppo anche per un'alternativa.
tra le altre cose Villa gioca molto di più ala che nn centravanti...
RispondiEliminaAnche io ho sempre visto Villa all'ala con Messi centravanti atipico...stanno diventando succubi dell'argentino?
RispondiEliminaIo spero che quest'anno falliscano su tutti i fronti...
Già l'anno scorso in assenza di Ibra, Bojan giocava largo con Messi al centro...
RispondiEliminastreetspirit
Succubi magari no, ma già l'anno scorso Messi si è "preso" il ruolo del finalizzatore, anche grazie al fallimento di Ibrahimovic. Il problema è che quando il tuo leader tecnico si trova bene in un ruolo (perchè Messi si è sempre divertito a e ha sempre voluto segnare tanto) e per di più ti fa 47 gol di certo nn vai a fargli questioni, specie se sei Guardiola, che ne ha fatto il faro della squadra, e il giocatore in questione è la massima espressione della cantera...
RispondiEliminaLa "questione" è: Messi gioca da finto centravanti per motivi tattici (vedi finale di CL contro lo United) oppure perchè Villa o gli altri attaccanti in rosa non sono sufficientemente efficaci in quel ruolo?
RispondiEliminagli altri te li concedo, ma Villa a occhio potrebbe fare "benino" :D meglio di Messi singolarmente nn so, ma di sicuro meglio avere Messi a destra e Villa centrale che viceversa...
RispondiEliminaSono ovviamente d'accordo... e proprio per questo credo che Guardiola stia ancora cercando qualche modo per sopperire alla cessione di Eto'o. "Ingabbiare" Messi e decentrare Villa non mi sembra certo la mossa migliore. :)
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