15 nov 2014

Le colpe di Mazzarri

Inevitabilmente giunti alla fine di un "impero" si fanno i conti in tasca al reggente uscente.
Evitando infinite discussioni tattiche e sulla composizione della rosa, quali sono le colpe di Mazzarri per il suo primo esonero in carriera?

Walter Mazzarri ha guidato l'Inter dal 24 Maggio 2013 al 14 Novembre 2014.
Giova ricordarlo perchè spesso, diciamo pure troppo spesso, nella stagione in corso il suo operato è stato valutato come fosse da pochi mesi al timone della rosa nerazzurra.
Premessa a sua difesa: si è trovato a lavorare sulle macerie dell'era Stramaccioni (e precedenti, cioè Ranieri e Gasperini), con un'Inter sostanzialmente al minimo storico considerando l'epoca moderna, soprattutto a livello di certezze e autostima. In più ha dovuto fare i conti col cambio di proprietà e con la spada di Damocle del fairplay finanziario, con chiare rispercussioni su mercato e investimenti. Una situazione congiunturale sicuramente scomoda.
Partendo dai semplici numeri, Mazzarri ha chiuso il campionato 2013/2014 con 60 punti figli di 15 vittorie, 15 pareggi e 8 sconfitte, con una media di punti a partita pari a 1,57. Un posizionamento certamente non da sogno, ma in linea con le aspettative di tornare in Europa, un primo passo verso il ritorno ad essere una squadra vera. Nel 2014/2015 il tecnico di San Vincenzo era chiamato a un passo in avanti, se non come gioco quantomento nei risultati e in generale nell'amalgama del suo gruppo. Nel campionato in corso in 11 giornate si sono viste 4 vittorie, 4 pareggi e 3 sconfitte (tutte senza appello contro Cagliari, Fiorentina e Parma) per 16 punti, con una media di 1,45. Un rendimento in chiaro calo e in peggioramento vedendo le 2 vittorie nelle ultime 7 partite.
In totale su 49 giornate di campionato ha ottenuto 19 vittorie, 19 pareggi e 11 sconfitte, in Coppa Italia su 3 partite 2 vittorie e 1 sconfitta, in Europa League su 6 partite 4 vittorie e 2 pareggi.

Andando oltre l'impietosa aritmetica, la critica principale da muovere a Mazzarri è di non aver dato in oltre un anno di lavoro un'impronta precisa alla sua squadra.
Torniamo un attimo alla conferenza di presentazione, datata Luglio 2013. Le idee sono chiare, nette e precise: "nel calcio bisogna partire subito con certe sicurezze", "voglio lavorare sull'autostima, c'è il rischio che i ragazzi possano ancora risentire dell'ultimo campionato, voglio dare un'organizzazione che li tuteli, che li faccia sentire sicuri", "per il blasone che ha, l'Inter ha il dovere di tornare ad essere competitiva, i tifosi dovranno essere orgogliosi di vedere una squadra che non molla mai, credo che attraverso gioco e prestazioni verranno anche i risultati", "i giocatori mi hanno sempre considerato un tattico, uno che cerca di dare un'impronta ben definita alle proprie squadre".
La colpa di Mazzarri è esattamente non aver rispettato nessuna di queste intenzioni.
La sua squadra non ha mai avuto certezze, se non l'insistenza totale sul modulo a tre, l'autostima è stata ad essere gentili ondivaga, l'organizzazione si è vista solamente a tratti e mai completamente sviluppata in entrambe le fasi, sostanzialmente non è mai stata competitiva e men che meno ha dato l'impressione di non mollare mai. La sua Inter non ha mai avuto un'impronta definita, sempre contratta e timorosa, tra il difensivismo eccessivo e la timidezza nell'attaccare. Anche nei suoi tipici punti di forza come la corsa e l'intensità difensiva Mazzarri ha fallito, non riuscendo mai a trapiantarli nel nuovo contesto se non nelle prime 6 giornate della stagione 2013/2014.
Non ho parlato di bel gioco, di calcio spettacolo o altro. Mazzarri non ha portato all'Inter le basi del suo lavoro, e di conseguenza non ha quasi mai espresso il calcio che ci si aspetta da lui.
Nel 2014/2015 i nerazzurri hanno girato pagina in molte cose (rosa, proprietari, medici, pure colore di maglia) e il tecnico aveva l'opportunità di cominciare ex novo con giocatori diversi, più giovani, meno ingombranti, idealmente anche più adatti in quanto scelti dal mercato e un contratto rinnovato. Invece di progredire l'Inter ha fatto passi indietro, sia come gioco che come mentalità. Ed è crollato anche il baluardo dei pochissimi infortuni grazie al lavoro del preparatore Pondrelli.
Una squadra senza identità nè tattica nè a livello di carattere, senza alcuna certezza nè organizzazione in cui rifugiarsi dopo oltre un anno di lavoro.
In più c'è l'eterna querelle del rapporto tra l'allenatore e i giovani. Sempre dalla conferenza di presentazione "avere tanti giovani e arrivare nei primissimi posti non è sempre un connubio vincente, ci vuole la giusta miscela, se mi chiedete di fare 50 punti allora farei una squadra di giovanissimi, ma per arrivare ai primissimi posti è un discorso diverso", concetto anche condivisibile, ma difficile da far coincidere con quanto espresso alla guida dei nerazzurri nella prima stagione, chiusa a 60 punti con una delle rose più anziane, dando per di più spesso e volentieri la colpa dei mancati risultati proprio ai più giovani, colpevoli di sentire troppo il peso della maglia o di errori tattici.

L'aggravante del caso Mazzarri è data dalle sue evidenti difficoltà nel comunicare.
Sempre in affanno davanti alle telecamere, impreciso con la sua lingua madre e figuriamoci con l'inglese, approssimativo persino coi nomi dei suoi giocatori, all'apparenza perennemente confuso, evidentemente non riesce quasi mai a veicolare quel che pensa in modo corretto e univocamente comprensibile. C'è poi il capitolo delle scuse, argomento per cui è famoso da sempre, usate in ogni occasione aggrappandosi di fatto a qualunque cosa pur di trovare una giustificazione esterna e ineluttabile per il fallimento. Dai calciodangoli alla pioggia in un anno e mezzo l'aneddotica è ricca, persino crudele nel suo diventare macchietta.
Nel 2014, tra media e social, è difficile galleggiare in queste condizioni.
Un allenatore coi risultati dalla sua vince sempre. Senza i risultati, l'immagine può aiutarlo a sopravvivere. Senza nessuna delle due cose, si precipita in fretta.

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