21 dic 2012

Pazienza, questa sconosciuta

Inadatto, acerbo, bidone e l'immancabile "ve l'avevo detto". Quante volte si sentono e leggono queste parole quando si parla di un giovane talento sbarcato da poco in Europa? Le etichette di fenomeno, crack o nuovo Pinco Pallino lasciano ben presto spazio a sentenze tronca-carriera che, nella maggior parte dei casi, si ripresentano sotto forma di sonori fischi allo stadio. È un attimo: qualche partita giocata male, la fiducia che ti abbandona, l'attacco indiscriminato dei media, il nervosismo dell'ambiente, la giocata sbagliata al momento sbagliato e l'amore del tifoso medio si trasforma in profonda, totale insofferenza.
 
Ma dov'è il problema di tutti questi presunti campioni che arrivano a orde dal Sudamerica alla conquista dell'Italia e, dopo poche partite, si trasformano miseramente in oggetti misteriosi? La risposta in fondo è semplice e si trova nella domanda stessa. Non stiamo parlando di campioni già fatti e finiti, bensì di ottimi progetti di giocatori, ma si sa, in Italia è usanza esagerare. Si esagera al momento dell'acquisto, prodigandosi in improbabili paragoni con illustri connazionali per vendere qualche copia in più o aumentare lo share di un centesimo, e si esagera al momento della bocciatura, arrivata ad hoc per riempire una pagina vuota in un momento di calma. Tuttavia il cuore del problema è un altro ed è la pazienza: il tifoso vuole tutto e lo esige subito, perchè il calcio nel pensiero comune è diventato più di uno sport e la differenza tra sconfitta e vittoria è ormai molto più di tre punti in classifica.
 
Allora perchè le società italiane si ostinano ad acquistare giovani stranieri che faticano e falliscono in Serie A? È possibile che il 90% tra dirigenti e osservatori professionisti sia incapace di svolgere il proprio lavoro e si diverta a mandare in fumo i milioni dei rispettivi presidenti? Ovviamente no e allora eccoci costretti ad analizzare la natura del fenomeno, tra imprevedibili variabili caratteriali, inevitabili differenze calcistiche e culturali, motivazioni economiche e quella costante troppo spesso dimenticata: il tempo.
Molte, moltissime società italiane negli ultimi anni hanno instaurato uno stretto legame con il Sudamerica, rivolgendo le proprie attenzioni verso i numerosi talenti che ogni anno fioriscono a sud dell'equatore. La crisi economica si è fatta sentire anche nel mondo del calcio, fare la voce grossa in Europa è diventata impresa difficile e rastrellare il Sudamerica è quasi una necessità. Lo stesso Brasile, da meta preferita degli scout italiani, è ormai territorio off-limits, poichè i club verdeoro hanno troppo potere economico e la recente inversione di tendenza ne è la dimostrazione.
Argentina, Colombia, Cile e Uruguay permettono ancora di scovare ottimi giocatori a prezzi vantaggiosi, ma le controindicazioni non mancano.
 
Il salto dai campionati locali alla massima divisione italiana è proibitivo: gli spazi si restringono, la velocità raddoppia e l'intensità diventa fondamentale. La tecnica, da fattore determinante, scende in secondo piano e a fare la differenza sono velocità di pensiero, lucidità, senso tattico e abnegazione. Un osservatore professionista può cogliere la maggior parte di questi aspetti, ma nonostante l'esperienza è inevitabilmente difficile prevedere quante e quali possano essere le difficoltà di adattamento di un giocatore. A quelle tecnico-tattiche si aggiungono quelle caratteriali, le più imprevedibili e, spesso, determinanti: dalla nostalgia di casa all'assoluta mancanza di fiducia. Come detto in precedenza, bastano alcune prestazioni negative per dare vita ad un circolo vizioso da cui diventa difficile uscire, con la fiducia in sè stessi che saluta e non si fa più vedere. Il passaggio più facile del mondo diventa impossibile, un tiro a porta spalancata una fatica di Eracle e la lucidità nel prendere le decisioni peggiora di pari passo.
 
Purtroppo è un discorso culturale e in Italia sarà sempre più difficile trovare tifosi disposti a perdonare troppe partite giocate a un livello insufficiente. Quanto di buono fatto vedere in patria viene ben presto dimenticato e pretendere di aspettare almeno una decina di partite consecutive giocate  dall'inizio per giudicare è mera utopia. I tecnici stessi hanno spesso le mani legate dalla politica del risultato imposta dai presidenti e allora perchè mai dovrebbero mettere a rischio la propria panchina per dare fiducia ad alcuni giocatori? D'altronde per il tifoso medio è più facile bollare qualcuno come "pippa" e, nel caso specifico dell'Inter, rivolgere la propria ammirazione altrove, prodigando lodi ai dirigenti dell'Udinese di turno, che, per quanto bravi e competenti, hanno modo di operare in una realtà costruita appositamente per questo scopo. Ed ecco allora che il Sanchez di turno può giocare 60 partite prima di esplodere, finire sui taccuini di tutti i principali club europei e fruttare oltre 30 milioni di Euro.
 

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