La stagione 2009/2010 del Manchester United potrebbe avere un titolo preciso: Quando Wayne Rooney si ricordò il suo ruolo.
Ma torniamo indietro nel tempo un attimo. Il ragazzo di Liverpool esordisce in Premier League nel 2002/2003, con la maglia dell'Everton. Il suo primo gol permette alla squadra di vincere contro un Arsenal imbattuto da 30 partite. Diventa così il più giovane marcatore della storia della Premier League, un talento precoce sulla bocca di tutti.
Due anni dopo passa al Manchester United, e qui comincia la nostra analisi. Wayne arriva alla corte di Sir Alex Ferguson in un contesto ben preciso. Squadra da ricostruire, con molti giovani e poche certezze. Ci vorranno due stagioni per completare l'evoluzione, e il motore principale sarà un fuoriclasse assoluto come Cristiano Ronaldo. Attorno e insieme a lui Ferguson costruisce un contesto tattico con due caratteristiche principali: corsa e organizzazione. A tutti è chiesto sacrificio, nessuno si risparmia come applicazione tattica. E proprio Rooney svolge un ruolo straordinario e sorprendente. Il più grande talento del calcio inglese (capace di mettere a referto una tripletta nella sua prima partita di Champiosns League), una punta con grande classe e tecnica, si cala perfettamente nella parte della bestia da soma. Corre più di un mediano, copre tutto il campo, si mette completamente al servizio di tutti, e di Cristiano in particolare. Ovviamente la stoffa è pregiatissima, e malgrado lo sfiancante lavoro senza palla non mancano gol e grandi giocate, ma il potenziale è decisamente imbrigliato.
Arriviamo così alla stagione in corso, col portoghese di Madeira ceduto al Real Madrid. Rooney, a 25 anni, si trova improvvisamente a ricoprire la parte per cui è stato destinato: stella della squadra, e soprattutto finalmente il suo ruolo. Non più maratoneta infaticabile, ma vero punto di riferimento dell'attacco. E i risultati a oggi dicono che il destino si sta compiendo. 21 gol (contro un precedente record di 16) in 24 partite di Premier League, unite al solito preziosissimo lavoro per la squadra. Un salto di qualità nel gioco immediatamente percepibile.
Ma torniamo indietro nel tempo un attimo. Il ragazzo di Liverpool esordisce in Premier League nel 2002/2003, con la maglia dell'Everton. Il suo primo gol permette alla squadra di vincere contro un Arsenal imbattuto da 30 partite. Diventa così il più giovane marcatore della storia della Premier League, un talento precoce sulla bocca di tutti.
Due anni dopo passa al Manchester United, e qui comincia la nostra analisi. Wayne arriva alla corte di Sir Alex Ferguson in un contesto ben preciso. Squadra da ricostruire, con molti giovani e poche certezze. Ci vorranno due stagioni per completare l'evoluzione, e il motore principale sarà un fuoriclasse assoluto come Cristiano Ronaldo. Attorno e insieme a lui Ferguson costruisce un contesto tattico con due caratteristiche principali: corsa e organizzazione. A tutti è chiesto sacrificio, nessuno si risparmia come applicazione tattica. E proprio Rooney svolge un ruolo straordinario e sorprendente. Il più grande talento del calcio inglese (capace di mettere a referto una tripletta nella sua prima partita di Champiosns League), una punta con grande classe e tecnica, si cala perfettamente nella parte della bestia da soma. Corre più di un mediano, copre tutto il campo, si mette completamente al servizio di tutti, e di Cristiano in particolare. Ovviamente la stoffa è pregiatissima, e malgrado lo sfiancante lavoro senza palla non mancano gol e grandi giocate, ma il potenziale è decisamente imbrigliato.
Arriviamo così alla stagione in corso, col portoghese di Madeira ceduto al Real Madrid. Rooney, a 25 anni, si trova improvvisamente a ricoprire la parte per cui è stato destinato: stella della squadra, e soprattutto finalmente il suo ruolo. Non più maratoneta infaticabile, ma vero punto di riferimento dell'attacco. E i risultati a oggi dicono che il destino si sta compiendo. 21 gol (contro un precedente record di 16) in 24 partite di Premier League, unite al solito preziosissimo lavoro per la squadra. Un salto di qualità nel gioco immediatamente percepibile.
Da parte sua, il ragazzo ha ringraziato Fabio Capello, che in nazionale gli ha consigliato dove (cioè vicino all'area di rigore avversaria) e come giocare per rendere al meglio. Ma non credeteci troppo, tutto era già dentro di lui. Dovevano solo lasciarlo libero di giocare.
Nessun commento:
Posta un commento