Ci sono allenatori che restano alla guida di un club per diversi anni, portando avanti un progetto ed entrando nel dna della squadra per idee, approccio, metodo di allenamento, auspicabilmente anche titoli vinti. Di solito però sono legati a un ciclo ben definito, con giocatori plasmati nel tempo che rimangono portavoci di certi concetti in alcuni casi anche dopo l'addio del tecnico.
El Muñeco Gallardo al River ha indubitabilmente dato un'impronta chiara, netta, sublimata da vittorie pesanti. La differenza rispetto al caso tipico è che ha continuamente rifondato la sua squadra, cambiando uomini, stile di gioco, approccio e referenti trovando sempre un modo per andare avanti e raggiungere livelli di spicco.
Gallardo si è dovuto adattare per necessità. In Argentina anche il River, il club soprannominato millonario per i fasti passati, vive la crisi economica e ormai da anni si trova nelle condizioni di dover gestire la propria rosa, valorizzando talenti da vendere e sfruttando al meglio i grandi di ritorno. A dire la verità l'ex numero 10 ha avuto la fortuna (o forse la bravura) di evitare il periodo più nero, vale a dire quello della gestione Passarella, ma in ogni caso vive alla guida di un club che spesso si trova a fare di necessità virtù: dal 2014 ad oggi Napoleon ha visto partire Funes Mori, Balanta, Vangioni, Mercado, Barovero, Kranevitter, Rojas, Carlos Sanchez e Teofilo Gutierrez per limitarci ai titolari, riuscendo quasi sempre a sostituirli tenendo in piedi la baracca, magari dopo un periodo di transizione per assimilare i cambiamenti.
Ecco, questo va detto chiaramente: Gallardo ha vissuto dei periodi difficili, con risultati costantemente negativi più che altalenanti, ma è sempre rinato grazie a due fattori. Il primo è il credito acquisito con le vittorie, che gli ha permesso di far valere sempre la sua idea con la società, il secondo la sua abilità a trovare nuovi referenti, reinventando la squadra in tempi brevi.
Ragionando per cicli, il primo River di Gallardo è quello che vince la Copa Sudamericana 2014. Il modulo di riferimento è il 4-3-1-2, interpretato con giocatori di qualità, ma con tanta attenzione anche alla quantità. Gli interni, Rojas e Sanchez, un po' centrocampisti e un po' ali, sono elementi fondamentali nelle due fasi e garantiscono l'equilibrio di tutta la formazione. In questa versione del River c'è il primo grande nome pescato dal nulla da Gallardo rivelatosi decisivo: l'enganche della squadra, Leonardo Pisculichi, l'uomo deputato a svoltare le partite con le sue giocate. Piscu, classe '84, è un classico trequartista argentino con un mancino meraviglioso, che ha passato la maggior parte della carriera in Arabia. Gallardo lo vede all'Argentinos Juniors e ci punta senza battere ciglio anche se ha già compiuto 30 anni. Non a caso nella finale della Copa i gol arriveranno dalle sue pennellate piazzate. Altro tratto che diventerà tipico il coraggio nel lanciare i giovani, come Kranevitter e Mammana, che giocherà la finale contro l'Atletico Nacional da terzino destro. Il tecnico infine si dimostra da subito bravo a gestire uno spogliatoio non semplice, con diverse prime donne (tipo Teo Gutierrez) e grandi totem del club (Cavenaghi).
Il semestre successivo, il primo del 2015, è quello della Libertadores. Il percorso iniziale più che difficile è infernale: il River non gira e per qualificarsi alla fase ad eliminazione serve un miracolo di coincidenze. Gallardo, dopo la cessione del suo titolare Rojas, trova una nuova quadratura col 4-2-3-1, puntando chiaramente sulla qualità e sul gioco offensivo. Il primo nome nuovo della formazione è quello di Gonzalo el Pity
Martinez, trequartista/esterno mancino classe '93 prelevato dall'Huracan
e subito lanciato titolare, fondamentale nel cambio di modulo in quanto più offensivo di Rojas. A centrocampo esplode Kranevitter, che prende in mano la mediana e coniuga regia ed equilibrio con personalità rara. Carlos Sanchez sulla destra fa praticamente tutto e lascia un segno decisivo in ogni partita che conta. L'intuizione di Gallardo di metà stagione si chiama Lucas Alario: per sostituire Teo Gutierrez, attaccante di riferimento della squadra, il Muñeco sceglie un classe '92 del Colon di Santa Fé con una decina di gol in curriculum, quasi tutti segnati in B. Alario lo ripagherà con le reti decisive in semifinale e finale di Copa, e in poco tempo si imporrà come uno dei migliori centravanti locali. Altra intuizione, seppure di brevissima durata, la scommessa su Tabaré Viudez: un fuoco di paglia di poche partite, ma fondamentale per vincere questa Libertadores.
L'abilità di Gallardo come stratega si evidenzia anche in un fatto, non a caso fondamentale per vincere gli scontri diretti nelle coppe: è straordinario nel preparare le gare ad eliminazione. Il suo lavoro di studio e adattamento agli avversari è certosino e porta sempre frutti.
A questo punto per Gallardo inizia una lunga fase di transizione, legata a una vera e propria diaspora di praticamente tutti i suoi titolari. Il River macina giocatori e moduli, non trovando però una dimensione vera e continua fino al campionato 2016/2017.
Oggi l'idea nuova e a quanto pare funzionante è il 4-2-2-2 alla brasiliana, quello del quadrato magico. Alla fine è un 4-4-2, ma dalla metà campo in su ci sono due mediani, due rifinitori e due punte. Gallardo ha scelto di puntare su un gruppo a forte stampo River, tra giovani formati nel vivaio ed elementi di riferimento: Maidana, Ponzio, D'Alessandro insieme a Batalla, Andrade e Driussi. La nuova via piace, è divertente da vedere e sta trovando i primi risultati. Aspettando le coppe, che da sempre sono il vero tavolo da lavoro del Muñeco.
Infatti nel valutare Gallardo e i suoi piani va fatta una riflessione anche sul campionato. Finora nessun titolo è arrivato dai tornei lunghi, e la gestione generale della squadra è sembrata nettamente diversa. Durante Sudamericana e Libertadores il torneo locale era di fatto declassato a laboratorio per effettuare le prove tattiche, che poi hanno portato titoli, ma ora, al quarto campionato da tecnico, serve fare un salto di qualità anche in patria.
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