5 mag 2016

Il Bayern: fine dell'era Guardiola e arrivo di Ancelotti

Si è scritto e si scriverà a lungo dell'ultima partita di Guardiola alla guida del Bayern in Champions League, perché ormai l'allenatore catalano è il simbolo del tiki-taka e di quello che è, a detta di molti, il bel calcio. La gara nel ridimensionamento del guru ex-Barcellona è già iniziata, così come la guerra santa tra talebani del possesso palla e fedelissimi della più feroce concretezza, che in Simeone hanno trovato un nuovo generale. Tuttavia fermarsi un attimo e riflettere sull'operato di Pep in Baviera è quantomeno doveroso.

Guardiola è sbarcato a Monaco probabilmente nel periodo meno ideale per lui, per l'ambiente e per i giocatori. Perché? Facile, perché è arrivato in una squadra perfetta e mettere mano a un ingranaggio impossibile da migliorare richiede inevitabilmente di compiere scelte tanto difficili quanto rischiose.
Heynckes aveva ereditato da Van Gaal una squadra con diverse lacune, ma anche profondamente cambiata nella mentalità e nella predisposizione a un determinato stile di gioco: per l'allenatore tedesco il passo da compiere è stato piuttosto naturale, valorizzando alcuni giovani di talento assoluto e mettendo nelle condizioni ideali le stelle già presenti in rosa. Un breve ciclo conclusosi in gloria con la vittoria della Champions League contro il BVB di Jurgen Klopp. Ma se i risultati non sono tutto, è giusto ricordare il calcio splendido espresso dal suo Bayern: una squadra capace di mantenere il possesso palla, ma in grado di squarciare il terreno di gioco con commoventi azioni in verticale; incontenibile sugli esterni, solida e scaltra in mezzo al campo, letale nella trequarti offensiva (chiedere al Barcellona).

In poche parole, il Bayern di Heynckes, che nel 2012-2013 conquistò il Triplete, ha portato a compimento un progetto di rilancio estetico del Bayern iniziato da Louis Van Gaal. Un progetto che nel quadriennio 2010-2013 ha portato i bavaresi a giocare tre finali di Champions League, una cosa che da quelle parti si aspettava dal 2001. Perché a Monaco, in fin dei conti, le stagioni si misurano dal percorso compiuto nella massima competizione europea, visto l'indiscusso dominio locale. Ed è questo il principale elemento da prendere in considerazione quando si cerca di analizzare l'operato di Guardiola nei tre anni sulla panchina del Bayern, soprattutto se alcuni tra gli acquisti di punta della sua era sono stati Mario Goetze e Robert Lewandowski, le due stelle dell'unica possibile concorrente in Germania.

Pep ha raggiunto per tre volte la semifinale di Champions, venendo eliminato prima dal Real Madrid, poi dal Barcellona di Luis Enrique, e infine dall'Atletico del Cholo Simeone. Squadre agli antipodi, ma tutte capaci di mettere in difficoltà il Bayern, ognuna in modo differente e con le proprie armi. Certo, quando si arriva a quel punto della competizione, un dettaglio può cambiare le sorti della doppia sfida (tipo la scelta di lasciare Thomas Müller in panchina nella gara di andata), ma risulta difficile pensare che nelle stanze segrete del club bavarese si possano accontentare di dire addio a due possibili finali per qualche "dettaglio". Hanno messo sotto contratto il numero uno della panchina, dandogli carta bianca su uomini, modulo e filosofia di gioco: il dettaglio fuori controllo non è contemplato tra le voci di bilancio, eccezion fatta per il difficile rapporto con il corpo medico e per l'incessante pioggia di infortuni. Tre semifinali in assoluto sono un grande risultato, ma Guardiola con questo Bayern era chiamato a fare di più. E lo sapeva, fin dal giorno del suo arrivo.

Guardiola a Monaco lascia un'eredità enigmatica.
Indubbiamente il tecnico catalano ha dato un'impronta tattica alla squadra. E non era nè facile nè scontato. Ha portato in Germania la sua rinnovata idea di gioco, spingendo moduli e letture dei giocatori al limite del visionario. Gli esperimenti tattici non si contano, le soluzioni alternative neppure: il calcio del Bayern è un tomo di codici del guardiolismo portati oltre i limiti estremi. Un laboratorio di idee possibile solo in quel determinato contesto, con una rosa talmente superiore alle altre da potersi permettere rischi ed esperimenti ogni fine settimana. Guardiola non è un tecnico che si accontenta nel suo lavoro. Pur con titoli e risultati il suo calcio è in costante evoluzione. Il problema è che questa evoluzione non ha limite, e Pep è pronto ad abbracciarne ogni deriva. Il confine tra genio e follia è sottilissimo e si gioca sui dettagli, esattamente come le semifinali di Champions.
Le sue continue prove in campo internazionale hanno pagato fino a quando non ha affrontato squadre che hanno portato il livello tattico e qualitativo alla loro massima espressione: Atletico Madrid, Barcellona e Real.

Per quanto riguarda i singoli Pep è arrivato ad abusare della duttilità dei suoi giocatori, perché ad esempio schierare Lahm, il miglior terzino destro al mondo, costantemente a centrocampo - tanto da spingere Loew a tentare un breve quanto poco convincente plagio - non è un'idea rivoluzionaria. E neanche visionaria, nè tantomeno brillante: è una cazzata. Gigantesca.
Come in fin dei conti lo è la gestione di Alaba, (tuttora) il miglior prospetto europeo tra i terzini sinistri, ritrovatosi a dover improvvisare da mediano e da centrale difensivo, con un paio di interpretazioni suo malgrado difficilmente spiegabili senza ricorrere al turpiloquio. Il viennese poteva diventare il top assoluto in un ruolo, è diventato un talento poliedrico capace di fare tutto, ma niente veramente al massimo. Consola invece che l'esperimento Lewandowski ala sia durato poco (sempre troppo, per i gusti di chi scrive), ma il vero punto interrogativo rimane quello legato a Mario Goetze. Il talento tedesco, a detta di molti, doveva essere il Messi del Bayern di Guardiola, ma con Pep non è mai scattata la scintilla e a Monaco, nonostante tutto, è ben distante dall'aver soddisfatto le notevoli aspettative. La concorrenza nel ruolo è esagerata, ma si parla di un potenziale fuoriclasse che a Dortmund a soli diciannove anni ha fatto innamorare chiunque, con colpi di classe e intelligenza calcistica che pochi al mondo possono vantare di avere. E non dimentichiamo che in questa stagione Guardiola gli ha messo davanti senza mezzi termini anche Kingsley Coman.
Non un successo, soprattutto considerando il lavoro che Heynckes aveva saputo fare con Toni Kroos e proprio David Alaba.
Un giocatore indubbiamente valorizzato, almeno nei numeri, da Guardiola è stato di sicuro Müller. Però parliamo di un giocatore già a un livello altissimo. Col calcio del catalano è sicuramente cresciuto invece Jerome Boateng, riferimento assoluto della retroguardia del Bayern. Non tanto per le sue doti in marcatura magari, ma la sua abilità nel far partire il gioco ha raggiunto livelli di eccellenza nel ruolo.


Ora arriverà Ancelotti, che, al contrario di Guardiola, trova l'ambiente perfetto per inserirsi: come già accaduto con Chelsea, PSG, Real e, sotto certi aspetti, pure con il Milan negli ultimi anni. Il tecnico italiano è un normalizzatore perfetto per riportare la quiete tattica e l'equilibrio di cui il Bayern e i suoi giocatori sembrano avere estremo bisogno.
In Baviera troverà il suo contesto preferito: una rosa stellare e una squadra già impostata per un gioco fatto di possesso palla, cui serve solo una scossa in termini di motivazioni. Inoltre assieme a lui ha già prenotato l'aereo per Monaco Mats Hummels: in questo Bayern un difensore era la priorità assoluta e l'addio del capitano indebolisce ancora una volta il BVB, quindi, salvo sorprese clamorose, la Bundes è già in tasca anche per l'anno prossimo.
Poiché la vittoria del campionato tedesco non può essere fonte di pressione, Ancelotti avrà di fatto tutto il tempo per concentrarsi sulla Champions, competizione con cui ha un feeling particolare, se non unico.
In poche parole, l'allenatore italiano troverà a Monaco le stesse condizioni ambientali incontrate a Madrid. E cosa ha vinto col Real non c'è bisogno di ricordarlo. 



In collaborazione con G.D.C.


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