20 mar 2015

Il Manchester City e la fine di un ciclo

Tutte le squadre, soprattutto le grandi, vivono di cicli. Non sempre è facile mettere la parola fine a certi rapporti, ma l'evidenza tecnica del tramonto tende a palesarsi in momenti ben precisi.
Per il Manchester City l'eliminazione agli ottavi di Champions contro il Barcellona mette la parole fine a questa generazione di calciatori, la più vincente della storia del club.

Le radici del Manchester City di oggi vengono da lontano, e semplificando troviamo due momenti fondanti.
Nel 2008 inizia l'era della proprietà Mansur bin Zayd Al Nahyan e niente, sia per il club che per il calcio inglese, sarà più lo stesso. Iniziano gli acquisti folli e non a caso il primo è un personaggio come Robinho.
Seconda data fondamentale è il 2009, quando Roberto Mancini subentra a Mark Huges. Il periodo manciniano mette il City sulla mappa delle grandi squadre, almeno in Premier, grazie ai primi titoli di spessore e soprattutto alla creazione di un gruppo forte, di talento, chiaramente identificabile. Nel giro di pochi mercati la squadra si consolida attorno a una verticale composta da Joe Hart-Vincent Kompany-Yaya Tourè-David Silva e Sergio Agüero. L'FA Cup e il primo campionato dal 1968 cambiano la storia del City e la sua percezione a livello mondiale. Qualcosa di simile a quanto accaduto al Chelsea con la prima era Mourinho.
L'arrivo di Pellegrini nel 2013 ha portato delle novità a livello di filosofia di gioco, ma la squadra è rimasta la stessa. Per tornare al parallelo col Chelsea, si può fare un paragone con l'arrivo di Ancelotti. Una stagione con un bel gioco, uomini valorizzati e titoli e poi l'inevitabile declino.

Arrivando ai giorni d'oggi, il primo problema del City è esattamente quello che è stato il suo punto di forza: l'ossatura della squadra. Quella verticale nata con Mancini è ancora la base della formazione nel 2015. Il che per certi versi è un bene, ma ci sono due criticità.
Innanzitutto i giocatori sono cresciuti, maturati e hanno sviluppato il loro talento. Le date di nascita recitano 1987-1986-1983-1987-1988. Non parliamo di giocatori finiti, ma tutti per un motivo o per l'altro sembrano aver raggiunto l'apice. Più di così, in questa formazione, non possono dare.
C'è poi il fatto che gli elementi attorno a loro non sono mai riusciti a rappresentare un vero valore aggiunto, se non per periodi brevi. I vari Barry, Lescott, Fernandinho, Clichy, Jesus Navas, persino Nasri, Dzeko, Balotelli, Jovetic tirando le somme sono rimasti uomini di contorno. Nessuno è riuscito a fare un salto di qualità tale da imporsi come leader e fare la differenza. Come aggravante l'ultimo mercato estivo non ha portato di fatto alcun rinforzo per la rosa. Sagna e Fernando sono ancora una volta riempitivi, riserve in ruoli già coperti, mentre lo strapagato Mangala si è dimostrato talmente affidabile da convincere la società a rinnovare Demichelis fino ai 36 anni. E infatti il rendimento è andato calando.
La stagione è cominciata con la sconfitta netta contro l'Arsenal in Community Shield e solo a fine Novembre si è vista una squadra convincente. A Marzo però la magia è finita. Su 14 incontri il City ne ha vinti 5, pareggiati 3 e persi 6, subendo 17 gol complessivi. Particolarmente impietoso è stato il doppio confronto col Barcellona, dove al di là del risultato il City non è mai apparso in grado di vincere o passare il turno, nemmeno minimamente.

Il simbolo assoluto della fine del Manchester City come lo conosciamo è proprio l'uomo che più di tutti ne è ambasciatore. Chiaramente sto parlando del giocatore che insieme al City è cresciuto, l'ivoriano Yaya Tourè.
Rispetto alla stagione scorsa, in cui è stato sostanzialmente una macchina da guerra, è meno presente, meno incisivo, in generale meno coinvolto. La querelle estiva sugli auguri di compleanno è stata il sintomo più evidente di un rapporto logoro. E in campo Yaya fa veramente poco per dimostrare di aver ancora voglia di spendersi, soprattutto fisicamente, per la causa del City.
La sua sostituzione al minuto 72 della gara di ritorno contro il Barcellona, col risultato sull'1-0, è qualcosa di più che simbolica. Quel momento rappresenta una bandiera ammainata, la destituzione di un leader, la chiusura di un'epoca. Quel che manca al club però è chi possa raccogliere il suo testimone.

Giusto l'altro giorno, a poche ore dalla partita, la stampa inglese pubblicava articoli che prevedevano una rivoluzione estiva in caso di mancato passaggio ai quarti. Più giorni passano più sarà evidente che questo City con questa ossatura è arrivato al suo limite. Non bastano più operazioni di contorno per rattoppare certe falle.
Una rosa di talento può avere dei colpi di coda, ma prima o poi serve la rifondazione per ricominciare veramente la scalata alla vetta. Per cambiare esempio, l'Inter per arrivare a vincere in Europa dopo il primo periodo di Mancini ha dovuto inserire 5 nuovi titolari, cambiando profondamente la struttura della squadra. Il Manchester City ha bisogno di innesti di spessore in mediana e in attacco per poter cominciare un nuovo ciclo. Che magari vada anche oltre gli ottavi di Champions League.

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