30 nov 2017
Verdi non è un esterno
Ci sono dei giocatori la cui percezione comune è alterata. Questione di archetipi abusati, visione esclusiva di highlights o semplicemente convinzione che una formazione su carta sia fissa e immutabile quando si trasferisce su un campo vero. Anche Simone Verdi è vittima di uno di questi processi, o forse di tutti insieme.
Nel caso dell'attuale numero 9 (di maglia, non certamente di ruolo) del Bologna tutto nasce dal fatto che lo si è sempre visto occupare le zone laterali del campo. Per qualità tecniche e capacità di tiro infatti la collocazione sull'esterno sembrava probabilmente la migliore ai suoi primi allenatori per farlo giocare in uno contro uno. Non a caso al Milan quando si è affacciato alla prima squadra dopo la trafila delle giovanili lo misero sotto l'ala protettiva di Ronaldinho, un altro fantasista abituato a partire largo. Al Torino nella sua prima esperienza formativa lontano da Milano acuirono questa tendenza, facendolo giocare praticamente incollato alla linea: l'etichetta sul classe '92 arriva da qui, come anche la sua innegabile abitudine a partire da quella zona. C'è un termine in questo paragrafo che non è usato per caso: segnatevi fantasista, tornerà utile.
Ora arriviamo al dunque: Verdi gioca da esterno grazie alla sua capacità di muoversi e alla sua comprensione tattica, ma non è un esterno. Donadoni nel suo schieramento tattico gli ha ritagliato una nicchia precisa e particolare, che va compresa per non cadere in errori di valutazione sul giocatore.
Al Bologna è il regista offensivo della squadra, colui che sopperisce alle mancanze in costruzione soprattutto dei centrocampisti (come spiegato qui). A prescindere dalla collocazione nello schema scritto sulla distinta, in campo Verdi fa il regista, detta il ritmo dell'azione e si occupa di scegliere il fronte su cui sviluppare il gioco. Nella formazione dei rossoblù è nettamente più esterno classico Federico Di Francesco, giocatore che si esalta nei tagli, nell'uno contro uno e nelle azioni lungo il fondo, non a caso scelto tra i titolari da Donadoni per "compensare" il lavoro di Verdi.
Per quelli che sono i canoni dell'esterno di fascia infatti il nativo di Broni difetta dell'esplosività nel breve, quella che permette alle migliori ali nel mondo di essere decisive puntando i difensori, e anche dell'istinto naturale a cercare il fondo. Il suo stile di gioco è nettamente più votato alla costruzione di gioco da una parte e alla ricerca del tiro in porta dall'altra. Nel Bologna è comune vedere Verdi accorciare verso i centrocampisti, ricevere palla spalle alla porta e gestirla in modo da sviluppare il gioco dalla trequarti in su. Sta al suo estro poi decidere se cercare il dribbling, lo scambio corto, la porta o quella che è la sua specialità, il lancio lungo a cambiare gioco. Da notare che la sua totale ambidestria gli permette di giocare indifferentemente sui due lati del campo, regalando una certa imprevedibilità all'azione.
Verdi insomma fa il lavoro del fantasista, del trequartista organizzatore di gioco, ma partendo dall'esterno. La sua evoluzione naturale probabilmente è proprio in un ruolo più centrale sul campo, da dove potrebbe distribuire il gioco senza essere limitato dalla linea laterale e soprattutto cercare più scambi e puntare la porta con più efficacia. Perché, questo senza dubbio alcuno, tenere un giocatore con la sua tecnica e la sua capacità di tiro con entrambi i piedi in zona centrale vicino alla porta è un enorme deterrente per qualunque difesa.
Chi intende puntare su di lui deve saperlo. Tatticamente è un giocatore intelligente anche per movimenti in copertura, capace di metterci il fisico per quel che può, ma non ha la corsa dell'esterno di fascia, né i ripiegamenti profondi. Non è un caso che quando chiamato da Ventura con l'Italia un po' all'improvviso non abbia brillato: l'ex ct lo ha mandato in campo a fare l'esterno, senza considerare quello che Verdi sa e non sa fare (stessa cosa successa a Insigne, mutatis mutandis).
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