Il Sudamerica è terra promessa per chi venera talenti cristallini sbranati dal vizio, dall'incostanza, dall'assenza di professionalità e da comportamenti costantemente sopra le righe. Calciatori dotati di colpi sensazionali, in grado di far innamorare senza distinzione persone di ogni razza e ceto sociale, ma incapaci di adattarsi ai ritmi e ai requisiti di un calcio in costante evoluzione. Giocatori non disposti a conformarsi all'idea dell'atleta perfetto alla Cristiano Ronaldo, portati inconsapevolmente a una carriera di alti e bassi, con picchi di gloria assoluta e passaggi a vuoto inspiegabili per un comune mortale.
Jorge Luis Valdivia Toro è soltanto uno dei molti esponenti di questa corrente calcistica votata alla dilapidazione del talento, ma in questo momento è l'unico, assieme a Cassano, a essere riuscito a conquistare un posto in Brasile. Croci e delizia degli impotenti tifosi, condannati ad amarli, sapendo che la loro sorte sarà legata indissolubilmente all'estro dei prestigiatori. O del Mago, il soprannome di Valdivia, giocatore tanto incostante quanto prezioso per la nazionale cilena allenata da Sampaoli, che non ha pensato neanche per un secondo di lasciare in patria il suo numero 10, fondamentale per ovviare ai limiti di costruzione del gioco della Roja emersi dall'addio di Marcelo Bielsa.
Nato nel 1983 a Maracay, stato venezuelano di Aragua dove il padre si trasferì per lavoro, Jorge è cresciuto calcisticamente nel Colo-Colo, una delle massime istituzioni del Paese e unica fede dell'intera famiglia Valdivia. Trequartista estroso e imprevedibile, fin dalle giovanili ha pagato gli eccessi di un carattere difficile da inquadrare, tanto che nel 2003, senza neanche un minuto in Primera Division, il club di Santiago decide di dirottarlo alla neopromossa Universidad de Concepciòn. Nel capoluogo della Regione del Biobio, Valdivia trova l'ambiente ideale per dare uno scossone al torneo locale, trascinando il Campanil a una storica qualificazione alla Copa Libertadores, con un campionato da esordiente impreziosito da 30 presenze e 7 reti.
Non abbastanza per convincere i dirigenti del Colo-Colo, che scelgono per lui la strada dell'Europa: prima al Rayo Vallecano, poi a un Servette sull'orlo del baratro finanziario, dove Valdivia ritrova il compagno dell'Universidad de Concepciòn Jean Beausejour. Due parentesi anonime prima del ritorno all'Albo nel 2005, squadra in cui il Mago si ferma un solo anno, togliendosi però la soddisfazione di guidare il club alla conquista dell'Apertura 2006, consacrando il proprio talento grazie all'arrivo in panchina di Claudio Borghi.
Pochi mesi dopo Valdivia si trasferisce in Brasile, al Palmeiras di San Paolo, dove dopo un inizio difficile si impone come uno dei migliori talenti del campionato, giocando oltre 100 partite, intervallate soltanto da una parentesi biennale all'Al Ain, in risposta al richiamo irresistibile del denaro degli Emirati Arabi. Soldi e magie, perché, nonostante il poco tempo trascorso nella penisola araba, il Mago diventa un vero e proprio idolo locale, tanto da essere votato dai tifosi stessi miglior giocatore della storia del club. Ma è al Verdao che Valdivia ottiene i risultati più significativi: un campionato Paulista, una Copa do Brasil (accompagnata però da una clamorosa retrocessione), innumerevoli premi individuali e soprattutto l'affermazione tra i più forti giocatori dell'intero continente.
Un'ottima carriera, frenata però da troppe bizze caratteriali: litigi con allenatori e dirigenti, qualche espulsione di troppo, uscite serali oltre i limiti, decisioni, come quella di trasferirsi negli Emirati Arabi, difficilmente condivisibili e un'indimenticabile perla alla Jens Lehmann.
Un'incapacità di controllarsi che accompagna e macchia anche il rapporto tra il Mago e la Nazionale cilena, perché le 55 partite giocate dal numero 10 sono segnate da due episodi entrati a gamba tesa nella storia della Roja. Il primo durante la Copa America del 2007 -il famoso Puerto Ordazo-, quando Valdivia e altri giocatori danno vita a uno scandalo dai contorni poco chiari nell'hotel dove alloggia la Seleccion: sei giocatori verranno squalificati dalla Federazione per 20 partite, poi ridotte a 10. L'altro nel 2011 agli ordini di Claudio Borghi, quando Jorge e altri 4 compagni (tra i quali Vidal) si presentano all'allenamento con 45 minuti di ritardo, dopo una notte dall'elevata gradazione alcolica per festeggiare il battesimo della figlia dello stesso Mago. Un gesto di indisciplina che, sommato al periodo difficile attraversato dal Palmeiras, costano a Valdivia un lungo esilio dalla Nazionale, ritrovata soltanto nel 2013, con Sampaoli già approdato sulla panchina cilena per sostituire il Bichi Borghi.
Tuttavia, nonostante il carattere indomabile e una carriera sempre lontano dall'Europa, il Cile non ha mai rinunciato definitivamente al Mago di Maracay, perché in fin dei conti si trattata di uno dei numeri 10 più forti nella storia della Roja: un giocatore indisponente quanto sublime, irritante quanto creativo. Ed è proprio quel suo essere agli antipodi del giocatore moderno che fa di lui un jolly indispensabile, per la sua capacità di distruggere gli equilibri, di interpretare il gioco a un livello inarrivabile per la stragrande maggioranza dei suoi colleghi e la naturalezza con cui tutto gli riesce con un pallone tra i piedi. Tatticamente Bielsa, il padre calcistico della rinascita cilena, gli ha spesso preferito Mati Fernandez, ma neanche il Loco ha voluto rinunciare all'imprevedibilità di Valdivia e alla sua capacità di danzare tra le linee nemiche, armando un attacco tutto velocità e movimenti negli spazi come quello della Roja.
"Jorge è un talento insostituibile per noi. In questo momento è l'uomo chiave per il gioco che proponiamo, perché è di un'altra categoria, come Messi per l'Argentina, Ronaldo per il Portogallo e Ribery per la Francia. Ci serve ai suoi massimi livelli." (J.Sampaoli)
Le parole dell'attuale DT della nazionale, Sampaoli, parlano da sè: in una squadra che impronta il proprio gioco su possesso palla, velocità e verticalizzazioni, avere un playmaker come Valdivia è di vitale importanza, perché pochi giocatori al mondo riescono a leggere gli spazi come il numero 10 cileno, capace di giocate surreali quando giunge il momento di cercare la profondità. Con lui in campo tutto può accadere e attaccanti come Alexis Sanchez ed Edu Vargas non possono che beneficiarne.
Visione di gioco, piedi sopraffini, tiro preciso, controllo di palla delicato e la capacità naturale di liberarsi della pressione avversaria: a Jorge non mancherebbe nulla per essere nell'elite del calcio mondiale. Ma se non avesse un carattere e una personalità tutte sue, non sarebbe il Mago, non avrebbe dilapidato tutto il suo talento e probabilmente non gli vorremmo così bene.
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