19 ott 2015

I problemi dell'Argentina di Martino

In Sudamerica sono iniziati i gironi di qualificazione per i Mondiali 2018 (da quelle parti le cose si fanno con calma) e l'Argentina è tra le ovvie favorite. Non bastasse il blasone, non bastassero i nomi, l'albiceleste viene da due finali tra Mondiali e Copa America, e per quanto sia deludente arrivare secondo vuol dire che la squadra c'è.
Le prime due partite contro Ecuador e Paraguay hanno però gelato tutti i tifosi. Un solo punto, zero gol segnati con in più il trauma della sconfitta in casa contro la tricolor, la prima nella storia.
Cosa è successo alla squadra di Martino?

La prima cosa da ricordare quando si parla dell'Argentina è che Martino dalla metà campo in su sguazza nel talento. La seleccion ha senza ombra di dubbio il reparto offensivo migliore al mondo per qualità dei singoli e ricchezza di alternative considerando le nazionali, tanto che il Tata può permettersi di rinunciare a un giocatore come Higuain.
Il problema è che tutto questo talento non è per nulla valorizzato. Sabella nella sua avventura fino alla finale Mondiale aveva sacrificato la spettacolarità per puntare su corsa e garra, Martino invece vorrebbe tanto che la sua macchina offensiva girasse al massimo, ma proprio non riesce a trovare il modo.
In Copa America l'Argentina ha segnato dieci gol in sei partite, di cui otto (ripeto, otto) nei due confronti col Paraguay tra partita inaugurale e semifinale. Nelle restati quattro partite due 0-0 (nella fase a eliminazione) e due 1-0 (nel girone). Un po' poco per una squadra con Messi, Di Maria, Agüero e tutti gli altri.
L'approdo in finale ha nascosto il suono del campanello di allarme, ma il ritorno delle partite ufficiali ha confermato il problema. Tra Ecuador e Paraguay l'Argentina non ha trovato la via del gol e in generale ha prodotto molto poco. La squadra si basa troppo per non dire solo su iniziative individuali e ormai anche in Sudamerica a livello di nazionali le squadre sono abbastanza organizzate da controllare un gioco simile.
Martino già in Copa aveva declassato Higuain a riserva, ma nelle ultime convocazioni ha fatto un passo in più evitando proprio di chiamarlo. Lui come qualunque altra prima punta classica, soprattutto come fisico, da Icardi a Di Santo (non ridete, è già stato chiamato altre volte). Una scelta prima di tutto filosofica che vuole puntare su giocatori tecnici, veloci, ficcanti, che non danno punti di riferimento, ricalcando in qualche modo il calcio del suo Newell's. Bellissima sulla carta, nella reatà ci si deve lavorare e al momento si vedono solo i contro.
L'Argentina ha un attacco prevedibile, abbastanza statico e incapace di impegnare fisicamente le difese avversarie. Agüero, Di Maria, Pastore, Tevez si marcano sostanzialmente da soli aspettando sempre palla tra i piedi qualche metro prima dell'area per poi partire in dribbling. Tutti cercano di giocare fronte alla porta, le sponde sono rare come la difesa della palla. Per cercare spazi tutti tendono ad allargarsi e non a caso in fascia qualche scambio si vede. Il problema è che il risultato sono cross per attaccanti tutti attorno al metro e settanta.
Martino è stato tradito dalla fortuna con l'infortunio del Kun che si è aggiunto a quello di Messi. Nel corso delle partite è risultato chiaro che il giocatore del City è l'unico a poter ricoprire il ruolo di centravanti malgrado la stazza, soprattutto per attitudine a lottare coi difensori e tagliare in area. Tevez, uno dei grandi ripescati del Tata, doveva essere il suo alter ego, ma in campo ha dimostrato una forte allergia al ruolo che lo portava sempre ad arretrare ed allargarsi.
Ecuador e Paraguay hanno sofferto pochissimo contro l'Argentina, ed entrambe probabilmente si aspettavano invece una partita in trincea. Indovinate cosa sembra mancare? Un vero nueve che faccia da riferimento e dia sfogo al gioco. Una cosa già successa nell'Argentina tanto tempo fa.
L'abbondanza e la qualità del reparto offensivo sembra si stiano ritorcendo contro l'allenatore, che dovendo scegliere si sta perdendo tra le troppe opzioni disponibili. In più Martino sembra essere sulla stessa strada di Barcellona, quando invece di cercare un sistema di gioco in attacco preferì dare carta bianca al talento degli attaccanti, lasciandoli liberi. Con risultati deludenti.

Se l'Argentina fatica tanto a proporre gioco vuol dire che il centrocampo, in definitiva, non funziona. Il Tata ha scelto di puntare su un reparto con degli equilibri particolari.
La linea composta da Pastore, Mascherano e Biglia è stata varata dopo la prima partita di Copa America. In realtà non è praticamente mai a tre: il Flaco viene quasi sempre assorbito nella metà campo offensiva e in mediana rimangono Mascherano e Biglia a formare quello che in Spagna chiamano doble pivote o doble cinco in termini argentini. L'idea di Martino è di sfruttare Mascherano per la prima impostazione e la copertura profonda, Biglia per gestire la mediana e Pastore per collegare centrocampisti e attaccanti. Addirittura non è raro vedere i tre praticamente in verticale, ma questo invece di aiutare riduce tantissimo le opzioni di gioco e lascia pochi sbocchi al palleggio, che si deve rifugiare spesso in verticalizzazioni o lanci per le punte. Biglia e Mascherano poi sono giocatori più simili che complementari e sembrano togliersi spazi e palloni a vicenda. Forse anche perchè abituati da sempre a svolgere quel ruolo da soli.

Ma il vero grande problema di Martino si chiama spazio. La sua Argentina è lunghissima, tra tutti i reparti a seconda dei casi, e da questo nasce la permeabilità difensiva, la sterilità offensiva e l'incapacità di articolare il palleggio.
La difesa, soprattutto coi centrali, resta spesso bassa, con Mascherano che si schiaccia su di loro. Almeno un terzino sale sempre ad accompagnare l'azione fino a centrocampo. In mediana rimangono quindi Biglia e Pastore, che non è difficile come detto vedere in verticale tra loro. Gli attaccanti invece rimangono alti, il più delle volte sopra la trequarti avversaria.
Il campo è coperto malissimo e le uniche opzioni di gioco sono o lo scambio orizzontale corto tra difensori e mediani, o il lancio lungo per le punte che vanno in profondità, o la verticalizzazione verso un centrocampo con pochi uomini, o i tentativi personali. Tutti i giocatori non avendo opzioni immediate tendono a toccare molte volte la palla, favorendo la disposizione dei difensori avversari.
L'Argentina diventa chiaramente pericolosa quando il pallone riesce in qualche modo a superare la metà campo, ma anche in queste situazioni è evidente la mancanza di uno spartito comune. Gli uomini offensivi si distribuiscono su tutto il fronte d'attacco, ma restano fermi e fronte alla porta, cercano gli uno-due stretti, ma restano soluzioni estemporanee dettate dall'estro, esattamente come i tentativi di uno contro uno.
C'è poi il problema della copertura difensiva. Gli attaccanti contribuiscono poco in non possesso, soprattutto in termini di ripiegamento difensivo, abbandonando i mediani al loro destino. Solo Lavezzi, che non è un titolare, ha veramente la corsa e il fisico per coprire. A questo si aggiunge il fatto che Pastore, che già di suo non è un mediano di fisico, spesso è chiamato a spostarsi per il campo per cercare la posizione e collegare i reparti, cosa che complica di molto la fase di copertura. Biglia e Mascherano insomma sono abbandonati e anche i terzini sono brutalmente esposti agli uno contro uno in fascia.

Un ottimo compendio dei problemi dell'albiceleste si ha guardando la partita con l'Ecuador.
Martino ha estremizzato alcune sue idee tattiche schierando una sorta di 3-3-1-3 con Mascherano tra i due centrali, Biglia coi terzini a centrocampo e Pastore dietro agli attaccanti. Il modulo chiaramente non era fisso, ma soprattutto la composizione difensiva è stata insistita. L'Argentina però in questo modo ha consegnato di fatto il centrocampo in mano alla linea a quattro ecuadoregna e i terzini così alti e lasciati solo a coprire lo spazio sono stati divorati da velocissimi esterni come Valencia e Montero.
Una partita preparata male che ha mostrato tutti i limiti attuali di questa squadra, che senza Messi non ha l'unico vero solista nettamente sopra a tutti gli altri in grado di giocare da solo e prescindere da ogni schema.