29 giu 2015

Copa America 2015, i quarti

Generali

Allenatori argentini: su quattro allenatori in semifinale, quattro sono argentini. Sarà un caso, ma il movimento argentino evidentemente produce tecnici di livello, almeno in relazione al Sudamerica. Quattro tecnici con curriculum diversi, ma tutti capaci di dare un'impronta chiara alla propria squadra.

Il Perù: ok, doveva superare "solo" la Bolivia, ma lo stesso arriva in semifinale con una bella dimostrazione di forza. Gareca ha messo in campo la squadra per giocare e vincere, e il cambiamento non è affatto facile come sembra. In più uno dei suoi uomini chiave (Lobaton) era squalificato. Ennesima testimonianza del gran lavoro dell'allenatore, e di un'applicazione straordinaria dei ragazzi peruviani, protagonisti per la seconda Copa consecutiva.

Il Paraguay, bestia nera del Brasile: il Paraguay ha eliminato il Brasile in due edizioni della Copa consecutive. Sempre ai rigori, ma la notizia c'è lo stesso anche vista l'evidentissima disparità di mezzi (anche al netto della crisi tecnica del Brasile). Basta poco per creare un complesso e far nascere una rivalità inversa rispetto a quella che tutti penserebbero. Il Paraguay all'opposto del Cile, praticamente.

La Colombia: si è già detto praticamente tutto, ma meglio ribadire. Sono arrivati alla Copa del tutto svuotati e hanno fatto praticamente scena muta. Unici protagonisti la sorpresa Murillo, un ritrovato Zapata e un Ospina miracoloso contro l'Argentina. Bisogna rifondare.

Il Brasile: la colpa sarà anche di Dunga, ma il materiale continua a rivelarsi limitatissimo. Neymar finchè ha giocato ha fatto la differenza, esattamente come un anno fa, ma fino a che livello può bastare? Se molla persino Thiago Silva rimane veramente poco a cui aggraparsi. Scelte non facili per il futuro prossimo, e la CBF non è che sia proprio un organismo illuminato già di suo.

Arbitri: decisamente non il meglio di questa Copa, e in generale non il massimo per l'immagine del continente. Almeno due partite (Cile-Uruguay e Colombia-Argentina) gestite decisamente male. Sono arrivate squalifiche successive e sospensioni, ma la credibilità è andata a farsi benedire.

Delinquenza: conseguenza diretta dell'assenza di arbitraggio, si sono viste allegre scazzottate in campo, per lo più impunite. Dalle entrate a martello alle scivolate a forbice fino alla famosa provocazione di Jara ogni partita ha regalato il suo momento di gloria.


Singoli

Tata Martino: l'Argentina è probabilmente la favorita assoluta del torneo, ma questo vale per quasi tutte le edizioni. L'approdo in semifinale non era scontato quanto sembra, e Martino sta provando a dare una sua impronta, vedere il tridente piccolo e Pastore a centrocampo. Dove non arriva la tattica, ci pensa il talento (o la fortuna, scegliete voi). Sarebbe anche finalista uscente visto il secondo posto col Paraguay quattro anni fa.

Di Maria: schierato da esterno sinistro del tridente non convince. Qualità nel cross e negli scambi di sicuro, ma una perenne sensazione di vederlo limitato, sia come spazi che per la possibilità di andare solo a sinistra. Nel secondo tempo con la Colombia è sparito dal campo. Sembra intristito, ma parliamo di un valore aggiunto fondamentale per l'Argentina.

Guerrero: l'uomo più atteso del Perù, nonchè capocannoniere uscente della Copa, risponde presente proprio nel momento migliore. Una tripletta alla Bolivia per el Depredador, che conferma il suo status sudamericano di cannoniere in una prova a tuttotondo, fatta anche di difesa del pallone, personalità e qualità nel giocare la palla. I difensori cileni, non esattamente dei colossi, sono avvisati.

Vargas: in Italia è percepito come un ex giocatore (con ottimi motivi), nel Perù è ancora uno dei leader, tecnici ed emotivi. Il meglio che produce il Perù parte dal suo mancino, in un ideale triangolo estremamente qualitativo con Cueva e Guerrero. Gli manca il gol, il Cile farebbe bene a evitare di regalargli punizioni.

James: dalle stelle alle stalle. Un anno fa era mister ottanta milioni, oggi sarebbe mister ottantamila lire. L'eliminazione della Colombia non è colpa sua e il contesto non l'ha aiutato minimamente, ma lui non ha regalato nemmeno uno spunto degno del suo talento e della sua fama. Contro l'Argentina ha avuto anche sul sinistro l'occasione per vincere la partita, ma ha deciso di non tirare. Non un bellissimo segnale.

Ospina: contro l'Argentina semplicemente insuperabile. Tre parate insensate che hanno portato la gara ai rigori, dove non è riuscito a completare il miracolo. Sarebbe il terzo portiere dell'Arsenal...

Thiago Silva: spesso indicato come l'unica speranza presente e futura del Brasile, contro il Paraguay compromette la partita con un tocco di mano folle. Senza quel rigore non sono sicuro che i guaranì avrebbero trovato il pari, o anche solo tirato in porta. Mentalmente non sembra proprio al massimo, e succede da diversi mesi. Forse non è per caso che Dunga aveva scelto di metterlo in panchina.

Pekerman: un po' come ai Mondiali contro il Brasile, nella partita più importante decide di cambiare, azzarda e perde. Ma se ai Mondiali ha compromesso una squadra che funzionava, qui si è solo giocato il tutto per tutto sapendo di dover pescare un jolly. Un solo centrocampista e dentro tutti i corridori possibili dietro a Teofilo, l'unico apparso in forma. Dopo ventiquattro minuti ha alzato bandiera bianca.

Valdivia: il Mago è nettamente il giocatore più eccitante di questa Copa. Finalmente titolare, finalmente al centro del gioco, ad ogni partita ha regalato almeno venti minuti di qualità assoluta. Ha una visione del calcio totalmente diversa da tutti, ma in particolare rispetto ai suoi compagni e alle idee di Sampaoli. E va in campo esattamente per questo, sempre con la bacchetta magica. L'assist per il gol decisivo contro l'Uruguay è suo, ed è molto più difficile di quanto lo ha fatto sembrare.

Isla: con la maglia rossa è un giocatore. Presenza costante in fascia, macina una quantità impressionante di chilometri ed è uno de ricettori preferiti dei palloni verticali di Valdivia. Col suo terzo gol in nazionale si toglie la soddisfazione di portare il Cile in semifinale. Non segnava dal 2011. Uomo del destino?

27 giu 2015

Il fallimento della Colombia

Solo un anno fa la Colombia aveva fatto innamorare tutti.
Ai Mondiali 2014 la squadra di Pekerman era stata la sorpresa più credibile del torneo, eliminata solo dal Brasile in un quarto di finale difficile da digerire per gli spettatori imparziali, figuriamoci per i tifosi. Quella squadra aveva un impianto semplice, ma ben definito, predicato sulla fisicità di tutti gli interpreti, sull'ordine in fase difensiva e sugli spunti di classe dei giocatori offensivi.
In Brasile la Colombia aveva dominato il suo girone vincendo tutte le partite segnando ben nove gol. Nella fase a eliminazione agli ottavi i cafeteros regalarono una prestazione straordinaria contro l'Uruguay, trascinati da una doppietta di James, per poi essere eliminati dal Brasile grazie anche a un arbitraggio decisamente casalingo. Proprio il numero 10, indiscutibile rivelazione del torneo, chiuse la competizione da capocannoniere con sei centri. Cuadrado invece come migliore negli assist con quattro passaggi decisivi per i compagni.
Su questa base ci si aspettava una Colombia protagonista nella Copa America 2015, dove avrebbe potuto anche contare su un certo Radamel Falcao. Invece qualcosa è andato decisamente storto.

La Colombia chiude la Copa America eliminata ai quarti dall'Argentina ai rigori. Un risultato che sarebbe anche onorevole se arrivato in un altro modo. Nel girone ha chiuso con una vittoria (storica, col Brasile), un pareggio e una sconfitta (col Venezuela), classificandosi ai quarti come seconda tra le migliori terze. Un solo gol segnato e uno subito, cui fa seguito lo 0-0 contro l'Argentina. Una partita interamente difensiva, arrivata ai rigori solo grazie a San Ospina.

Dell'idea di Pekerman è rimasta solo la fisicità. In quattro partite i cafeteros, malgrado un reparto offensivo composto da Victor Ibarbo, Luis Muriel, Jackson Martinez, Teofilo Gutierrez, Carlos Bacca, Radamel Falcao, Juan Cuadrado e James Rodriguez, hanno trovato la via del gol solo sugli sviluppi di una punizione, per di più grazie a Murillo che fa il difensore centrale. La squadra si è salvata grazie alla solidità difensiva (un solo gol subito), che però ha avuto bisogno di un notevole aiuto dalla buona sorte. Chiedere a Otamendi per informazioni.
L'errore più evidente dell'impostazione di Pekerman è stato l'abbandono totale del centrocampo. La sua coppia titolare è sempre stata quella composta da Carlos Sanchez e Abel Aguilar, e l'assenza del secondo è stata molto più pesante del preventivabile. Aguilar era l'unico elemento di tutti i convocati ad avere una vaga idea di regia e nessuno è stato in grado di rimpiazzarlo. Di base la Colombia si è trovata nettamente spaccata in due, con un blocco fisso formato dai centrali difensivi e mediani e tutti gli altri in avanti, terzini compresi. Un sistema che, ad essere generosi, puntava molto sulle qualità dei singoli dalla metà campo in su per portare avanti palla, creare superiorità e inventare qualcosa, sfruttando estro e tecnica, ma anche la corsa per coprire e proporsi.
Peccato che in Cile tutti gli uomini più attesi della Colombia fossero in condizioni disastrose. Cuadrado si è mostrato nella sua versione irritante e fumosa, James con poche idee e le polveri decisamente bagnate, l'attesissimo e capitano Falcao il fantasma di se stesso. Bacca è durato settanta minuti nella prima partita (persa), Jackson Martinez come quasi sempre con la maglia della nazionale non ha trovato il suo ruolo, Ibarbo comparsa tattica era e comparsa tattica è rimasto. Gli unici spunti li ha regalati Teofilo Gutierrez, nettamente il più positivo del reparto offensivo, che si è però totalmente eclissato contro l'Argentina, tanto che Pekerman lo ha sostituito dopo appena ventiquattro minuti.
Proprio Pekerman, espertissimo professore di calcio, si è trovato in netta difficoltà a gestire una rosa con troppi problemi. La missione delle prime partite era recuperare Falcao, a costo di sacrificare gli altri tipo Bacca, ma il piano è nettamente fallito e la scelta di pachinarlo proprio contro l'Argentina è una conferma.
Nei quarti il ct ha tentato il tutto per tutto. Ha messo in campo tutti gli uomini che potessero unire corsa e qualità per cercare un compromesso improbabile che permettesse di coprire il campo e ripartire, abbandonando del tutto la mediana abbassando addirittura James per sfruttarne lanci e visione. Inutile dire che non ha funzionato.

Il vero peccato è che questa generazione della Colombia, da molti considerata d'oro, potrebbe aver chiuso così la sua esperienza internazionale.
Una generazione d'oro durata un mese, del 2014.

22 giu 2015

Copa America 2015, i gironi

La Copa America del 2015 ha emesso i suoi primi verdetti. Arrivati alla fine dei gironi, cosa c'è da segnalare per questa edizione cilena?


Generali

La tattica del Cile: Jorge Sampaoli, oltre ad essere un bielsista, è una sorta di alchimista tattico. Ha tante idee e una ferrea volontà di vederle applicate in campo. Il suo Cile, comunque la si metta, è una squadra totalmente plasmata dal suo allenatore (oltre che dai due precedenti), che ha il gioco nel dna, punta a fare la partita e mostra un certo gusto nel farlo. Per chi si interessa di tattica un must assoluto da seguire. In queste gare si sono visti centrocampisti di inserimento usati come falsi nueve (Vidal, Aranguiz), l'uso contemporaneo di difesa a tre e a quattro, una punta usata come esterno sinistro a tutto campo (Edu Vargas), una mediana tenuta in piedi unicamente da un mediano di impostazione (Diaz) e un trequartista visionario (Valdivia). Quando ha dovuto pensare solo al risultato Sampaoli si è normalizzato schierando i giocatori nel modo più logico possibile. Ma non scommettete succeda sempre.

Il gioco del Perù: il Perù non è esattamente la nazionale più quotata del continente, ma si è qualificata ai quarti grazie al secondo posto in un girone con Brasile (con cui ha perso solo nel recupero), Colombia e un Venezuela sulla carta competitivo. Ricardo Gareca ha costruito una squadra decisamente solida, piena di garra, che però ha anche un concetto di gioco ben preciso. Sa cosa deve fare e come farlo, gioca sui suoi punti di forza senza strafare, ma nemmeno rinunciando in partenza. Strutturalmente gli manca un filo di qualità, soprattutto nella regia offensiva, ma per quello il Tigre può fare poco (a parte convocare Reynaldo Cruzado, giocatore col mancino più delicato delle Ande, ma anche col ritmo più compassato delle stesse). La cosa che rende tutto al limite del magico è che Gareca ha preso in mano la squadra a Marzo, alla faccia di chi si lamenta di non avere abbastanza i giocatori.

Il 9 del Brasile: un problema generazionale che rischia di sfociare nel dramma. Romario, Ronaldo, Adriano, Luis Fabiano e poi il nulla. Il 9 del Brasile semplicemente non esiste più. Fred è sempre stato una comparsa, Diego Tardelli con tutto il rispetto una barzelletta. Il grosso rimpianto è Pato, che poteva essere un simbolo mentre ormai può solo fare la comparsa nel campionato locale. La nazione calcisticamente più famosa al mondo oggi produce una marea di esterni/rifinitori/seconde punte (in cui rientra anche Neymar), ma nessun centravanti degno di questo nome. O meglio, uno ci sarebbe, ma è stato costretto a scegliere la Spagna. Grazie Scolari, grazie. A proposito, Jo come sta?

Giamaica volenterosa: alzi la mano chi si aspettava una Giamaica sommersa di gol. Ok, le ha perse tutte, ma onorevoli 1-0, pure contro squadre con attaccanti di un certo livello. Non si grida al miracolo, ma complimenti per l'approccio. Potete tornare in Africa soddisfatti.

L'attacco del Paraguay: siamo dalle parti del culto assoluto. Ramon Diaz ha pensato delle convocazioni che sembrano fatte apposta per solleticare i desideri più inconfessabili dei feticisti del calcio guaranì. Raul Bobadilla, Lucas Barrios, Roque Santa Cruz, Nelson Haedo Valdez, in ordine di numero, rappresentano un insieme che ogni cuore romantico non può che amare.

Delusione Colombia: al Mondiale, solo un anno fa, Pekerman aveva presentato una squadra invidiabile, ben costruita e conscia delle sue potenzialità. Oggi la Colombia sembra un ammasso di giocatori in cerca di autore, tutti persi sia mentalmente che fisicamente come il leader assoluto e capitano Falcao (leggete più sotto). La Colombia non sa come far arrivare il pallone ai suoi uomini offensivi, la manovra è lenta e involuta. La prima causa è che i cafeteros hanno un clamoroso buco di talento in mezzo al campo ulteriormente aggravato dall'assenza di Aguilar, forse l'unico con senso geometrico a disposizione. Si fa rimpiangere persino Guarin, che almeno di forza qualche pallone lo porta avanti. In aggiunta anche James Rodriguez non è nelle scintillanti condizioni di un anno fa e quindi non resta che procedere a strappi sperando che qualcuno si svegli. L'unico giocatore veramente in condizione risponde al nome di Teofilo Gutierrez, il che significa che molto facilmente si farà espellere entro il decimo della prima partita ad eliminazione.



Singoli

La rabona di Rojo: lo confesso, la aspettavo con ansia da un anno, anche se l'ho accolta con un lieve pizzico di delusione. Riproporla in fase offensiva, anziché nel bel mezzo della propria area di rigore, è stata infatti una scelta poco condivisibile. Ora non ci resta che attendere un gol di Rojo realizzato con il suo marchio di fabbrica.

L'eleganza di Ortigoza: avete mai visto Fantasia? Il pezzo con gli ippopotami e i coccodrilli? Ecco, Nestore Ortigoza sembra uscito da quella danza lisergica. Sihouette rivedibile, ma piedi musicali e capacità di gestire la palla da artista. Tutto nel Paraguay inizia da lui, che sembra sempre doversi fermare per riprendere fiato, ma poi il pallone ce l'ha sempre tra i piedi. Culto assoluto per uno dei giocatori più improbabili di questo calcio.

I guantini di Marcelo Moreno: nulla di tecnicamente rilevante, ma un vezzo quantomeno curioso per el Diablo Moreno. Perchè quei guantini nero e fluo? Con maglia bianca a maniche corte poi, quasi a esasperare il contrasto. Ma in fondo perchè no? Ne ordino tre paia.

Jorge Valdivia: il calcio. L'ingranaggio fondamentale per far girare a meraviglia lo splendido Cile di Sampaoli e la mente perfetta per innescare le letali armi offensive della Roja, grazie al suo piede meraviglioso e alla sua impareggiabile capacità nel leggere ogni azione. È il lato romantico della Copa, il giocatore che più di ogni altro meriterebbe il trionfo, soprattutto dopo il Mondiale ai margini.

Edu Vargas e Sampaoli: la storia è piena di giocatori che con specifici allenatori danno il meglio. Edu Vargas ha il suo mentore in Jorge Sampaoli. Ogni volta che vede il tecnico argentino si trasforma da fumoso e leggero centravanti in Turboman. Gli deve praticamente la carriera visto l'exploit nella U, nel Cile è una pedina fondamentale, e la sensazione è che per il suo ct darebbe anche un braccio.

Neymar e il suo rapporto con la Colombia: parafrasando un detto italiano, vedi la Colombia e poi muori. Neymar fortunatamente è ancora vivo, ma siamo alla seconda competizione consecutiva che per lui termina dopo una sfida con i cafeteros. Ai Mondiali fu un intervento di Zuniga, oggi una crisi di nervi che non colpiva il 10 dai tempi del Santos. Forse ha sentito il peso della responsabilità? Potremmo trovarci alle prime battute di una rivalità piccante.

Radamel Falcao: cercasi Tigre disperatamente. Da quando ha lasciato l'Atletico e si è infortunato Falcao è diventato un altro, nell'accezione negativa del concetto. In campo non ha nemmeno lontanamente l'impatto di un tempo, soprattutto come garra, carisma, presenza nella partita. Una copia sbiatida e vuota dell'incredibile centravanti che ha dominato l'Europa (League). Pekerman lo ha nominato capitano, e conoscendo il suo rapporto con quelli che elegge suoi fedelissimi punterà su Falcao fino alla fine. Probabilmente affondando.

Edinson Cavani: non ha mai trascinato l'Uruguay, a detta di tutti perché costretto a un ruolo da gregario a causa dell'ingombrante presenza di Luis Suarez. Dopo queste prime uscite dell'Uruguay, tuttavia, viene spontaneo chiedersi se il Matador abbia i requisiti per trascinare da solo la squadra charrua. Da stella indiscussa della Celeste finora ha giocato una Copa impalpabile, lontano dal gioco e senza la giusta carica agonistica per essere il vero condottiero della banda Tabarez.

9 giu 2015

Il Barcellona e l'importanza del tridente

Il Barcellona dell'ultimo decennio è una squadra destinata ad entrare nei libri di storia. Tra i diversi motivi la straordinaria qualità del suo gioco e dei suoi interpreti, soprattutto i centrocampisti tipo Xavi e Iniesta e un attaccante dominante come Messi.
Però questo Barcellona ha ottenuto il massimo (che va in una scala da vittoria di campionato e  Champions League a triplete) quando in attacco ha potuto contare non su un singolo giocatore straordinario, ma su tre interpreti, possibilmente di livello assoluto, che si sono divisi le responsabilità.
Dei tasseli in più rispetto a quelli normalmente sotto i riflettori, che però fanno la differenza per il salto di qualità finale
Partiamo da un presupposto: non si sta facendo una gara per stabilire chi sia più forte o più decisivo. Una squadra dipende sempre dalla somma dei singoli, ed è esattamente questo a cui si vuole arrivare.

Il Barcellona in quella che possiamo chiamare "era Messi" ha messo insieme qualcosa come quattordici titoli, limitandoci a quelli principali (eliminando quindi le coppe derivate da altre vittorie). Messi in 11 stagioni ha messo a segno 412 reti (ripetete ancora, QUATTROCENTO E DODICI). Dire che sia stato qualcosa meno di straordinario non ha alcun senso, tuttavia da solo non sempre è bastato. La massima esemplificazione di questo concetto si ha analizzando la stagione 2011/2012.
Messi in quell'annata è andato oltre ogni record. 50 gol nella Liga in 37 presenze, 14 in 11 in Champions League, in totale 73 gol stagionali in 60 partite. Una quantità semplicemente disumana di reti, che però sono servite a vincere solo la Copa del Rey contro l'Athletic Bilbao (una costante). In campionato il Barcellona è arrivato secondo dietro al Real e in Champions è stato eliminato in semifinale dal Chelsea. La miglior stagione della vita di Messi ha portato solo un trofeo, per giunta il meno prestigioso.
La stagione successiva è la seconda migliore della carriera di Messi. Con 60 gol in 50 presenze, di cui 46 nella Liga, Messi riesce a vincere il campionato, ma viene eliminato in semifinale di Copa del Real Madrid e in quella di Champions dal Bayern (più che eliminazione una demolizione).
Quando Messi ha dato il massimo, giocando però da solo, il Barcellona si è sempre scontrato con un limite oggettivo.

Posto che Xavi, Iniesta e centrocampisti vari ci sono sempre stati a creare il tessuto connettivo, spostiamoci altrove.
In certe annate il Barcellona ha fatto qualcosa in più, per un insieme di motivi tra cui ce n'è uno comune e principale: in tutte le vittorie in Champions il Barcellona ha schierato in campo tre punte vere, che hanno trovato tutte un buon numero di reti.
È successo anche nel 2005/2006, ma Messi non era nemmeno convocato e Xavi ed Iniesta sedevano in panchina. Andando quindi alle edizioni successive troviamo Messi-Eto'o-Henry nel 2008/2009 (triplete), Pedro-Messi-Villa nel 2010/2011 (campionato e Champions, persa la finale di Copa del Rey contro il Real ai supplementari) e Messi-Suarez-Neymar nel 2014/2015 (triplete). I primi tre portarono in dote 100 gol in stagione, i secondi 98, quelli attuali sono arrivati a 122. Comunque la si metta bocche da fuoco notevoli che hanno creato mille problemi alle difese avversarie, che infatti hanno potuto poco o nulla contro di loro.

Anche una squadra straordinaria per costruzione come il Barcellona, con un centrocampo straordinario per costanza, qualità e capacità di gioco e quello che forse è il singolo più forte al mondo per ottenere il trionfo assoluto ha avuto bisogno di avere in attacco tre elementi in grado ciascuno di fare la differenza. Una forza troppo grande nella somma e troppo diffusa negli undici in campo per avere una soluzione per le difese avversarie.
Creare tre problemi agli avversari è sempre meglio che crearne solo uno, per quanto possa essere il più grande di tutti.

1 giu 2015

Capocannonieri e posizione in classifica della squadra

"Strano vedere il capocannniere della Serie A nella squadra arrivata ottava".
Questo è stato il commento di Massimo Mauro alla doppietta di Icardi nell'ultima giornata di Serie A che gli ha permesso di raggiungere la vetta della classifica marcatori in coabitazione con Luca Toni.
Tralasciando il dettaglio che Toni gioca nel Verona arrivato tredicesimo (dettaglio sottile che deve essere sfuggito a un attento osservatore come Mauro) quanto c'è di vero nell'affermazione del commentatore?

Prendendo in analisi le ultime quindici stagioni, quindi i campionati del nuovo millennio dal 2000/2001 al 2014/2015, la Serie A ha avuto questa correlazione tra capocannoniere e posizione della squadra:

- stagione 2000/2001: Hernan Crespo (26 gol), della Lazio terza.

- stagione 2001/2002: Dario Hübner e David Trezeguet (a pari con 24), rispettivamente del Piacenza dodicesimo e della Juventus prima.

- stagione 2002/2003: Christian Vieri (24), dell'Inter seconda.

- stagione 2003/2004: Andriy Shevchenko (24), del Milan primo.

- stagione 2004/2005: Cristiano Lucarelli (24), del Livorno nono.

- stagione 2005/2006: Luca Toni (31), della Fiorentina nona (classifica post Calciopoli, altrimenti quarta).

- stagione 2006/2007: Francesco Totti (26), della Roma seconda.

- stagione 2007/2008: Alessandro Del Piero (21), della Juventus terza.

- stagione 2008/2009: Zlatan Ibrahimovic (25), dell'Inter prima.

- stagione 2009/2010: Antonio Di Natale (29), dell'Udinese quindicesima.

- stagione 2010/2011: Antonio Di Natale (28), dell'Udinese quarta.

- stagione 2011/2012: Zlatan Ibrahimovic (28), del Milan secondo.

- stagione 2012/2013: Edinson Cavani (29), del Napoli secondo.

- stagione 2013/2014: Ciro Immobile (22), del Torino settimo.

- stagione 2014/2015: Mauro Icardi e Luca Toni (22), rispetivamente dell'Inter ottava e del Verona tredicesimo.

Nelle utlime quindici stagioni ci sono stati quindi diciassette capocannonieri.
Tre volte il capocannoniere è venuto da una squadra sotto al decimo posto (due volte a pari merito).
Allargando l'ottica, sotto al quarto posto troviamo altri quattro nomi (contando Toni alla Fiorentina), per un totale di sette nomi dalle parti meno nobili della classifica.
In ben otto casi invece il capocannoniere giocava in una squadra tra le prime tre del campionato.
In solo due casi (Trezeguet e Ibrahimovic) il miglior marcatore faceva parte anche della squadra campione d'Italia.

Tendenzialmente qundi il capocannoniere viene da una delle prime tre squadre in classifica. Il vero evento raro quindi è avere il re dei bomber nella squadra campione di Italia o in una sotto il decimo posto in classifica.