31 mag 2012

C'è progetto e progetto

Progetto è la parola più in voga a Roma da quando gli americani hanno preso in mano la situazione, spesso declinato come er proggggetto dai tifosi locali.
Un concetto astratto, di pura teoria, ad indicare un cambiamento di rotta nelle strategie di gestione della squadra, a cominciare da un abbattimento dell'età media (cosa per altro indispensabile).

Dopo una stagione di progetto la Roma si è ritrovata ottava, con in mano più domande che risposte.
Sulla carta sono state fatte molte scelte giuste, funzionali, a cominciare da dirigenti (Sabatini,Baldini), allenatore (Luis Enrique), giocatori (Gago, Pjanic, Borini, Bojan, Lamela). Soprattutto si è puntato su un gioco fatto da corsa, possesso palla, gioventù, vocazione offensiva.
Dopo un solo anno però Luigi Enrico ha salutato, sopraffatto dall'isteria dell'ambiente di Roma e del calcio italiano in generale, mandando a farsi benedire la progettualità di cui tutti andavano riempiendosi la bocca.

La nuova Roma dunque deve ripartire con, indovinate un pò, un nuovo progetto. Inevitabilmente con un nome nuovo al timone.
E il nuovo nome sarà il santone per eccellenza del calcio italiano. Dimenticato per tanto, troppo tempo, rinato prima nei campi polverosi della sua (d'adozione) Foggia, poi in una cavalcata trionfale con una squadra a sorpresa (il Pescara).
Zdenek Zeman torna alla Roma dopo 15 anni, per far nascere un progetto, puntando su giovani, corsa, possesso palla, gioco offensivo.

Già sentito vi pare? Perchè lui si e l'altro no?
La grossa differenza tra il ceco e lo spagnolo nella partenza.
Luis Enrique è arrivato in Italia come uomo tutto d'un pezzo, integralista nelle sue idee e nei metodi di applicazione. Si è subito scontrato col più evidente, ma tollerato per puro amore, problema dell'ambiente Roma: Francesco Totti.
Per motivi tattici, tecnici, anagrafici, di principio, alla fine poco importa. Ma il risultato è stato chiaro: contestazione a Luglio, alla prima esclusione per scelta del capitano.
In quel momento l'avventura dello spagnolo è finita. Perchè l'ultimo arrivato non può prendere e mettersi contro l'ordine costituito, qualcosa che è sempre stato e sempre sarà. In Italia. A Roma e nella Roma.
E Zeman?
Il boemo, al contrario, è già stato chiarissimo. Totti è il miglior giocatore che abbia mai allenato (ed è pure credibile eh, sia chiaro), praticamente un figlio, lui deve essere al centro della Roma senza e senza ma.
E Totti?
Ricambia con parole al miele, indirizzando da subito l'intero ambiente.

Zeman può lavorare, il progetto può partire.

22 mag 2012

Nota su Walter Mazzarri

Il tecnico fresco vincitore della Coppa Italia col suo Napoli è noto per il suo modulo, per la fisicità richiesta ai suoi uomini, per l'attenzione alla difesa, per la capacità di valorizzare giocatori anche mediocri.
Ma c'è un aspetto che non si considera mai, cioè la sua capacità di valorizzare i suoi giocatori offensivi.

Mazzarri ha iniziato ad attirare l'attenzione su di se da tecnico del Livorno, che portò a una storica promozione in A. In quella stagione protagonisti furono Protti con 24 reti e Cristiano Lucarelli, profeta in patria come pochi, con 29.
Passa quindi alla Reggina, dove ottiene 3 salvezze consecutive compreso il miracolo sportivo del 2006/2007 con 11 punti di penalizzazione (per me la sua più grande impresa, Coppa Italia compresa). Qui rigenera Nicola Amoruso, girovago del pallone, che eguaglia il suo record di gol in A con 11 marcature per poi superarsi con 17. Ma soprattutto crea praticamente dal nulla Rolando Bianchi, che con 18 gol raggiunge il vertice più alto della sua carriera.
Dal 2007 al 2009 è alla Sampdoria. In 6 mesi mette nelle condizioni Cassano di segnare 10 gol, lui che non si è mai singolarmente distinto come goleador, che diventano 12 nella stagione successiva. Sempre in 6 mesi porta Pazzini, allora un promettente attaccante quasi bruciato dalla Fiorentina, reduce da 1 solo gol nel semestre precedente, a 11 reti.
Infine a Napoli trasforma Edinson Cavani da giocatore con 49 gol in carriera a bomber implacabile da 66 gol in 2 sole stagioni.

Certamente buona parte del merito è del talento dei suoi giocatori.
Ma i numeri raccontano una storia molto precisa.

14 mag 2012

Bambino Pons

No, non è il nuovo astro nascente del calcio sudamericano, ma Juan Manuel Pons è balzato agli onori della cronaca pochi minuti dopo il palpitante finale di City-QPR, quando ha celebrato il gol di Sergio Aguero alla sua maniera, cantando un improbabile coro sulle note di "Na Na Hey Hey Kiss Him Goodbye". Per il telecronista argentino non è la prima esibizione e dall'altra parte dell'Atlantico è famoso per i karaoke inscenati durante le partite della Premier League e non solo.

Ecco una piccola raccolta delle sue esultanze più famose.

http://www.youtube.com/watch?v=HbRNXpo_wkU

http://www.youtube.com/watch?v=dckm_tEb5yA
http://www.youtube.com/watch?v=kG7byTxAgzc
http://www.youtube.com/watch?v=8WxdldhIuV4
http://www.youtube.com/watch?v=m7vlaUkQ2dk
http://www.youtube.com/watch?v=C-e6WKfchEU
http://www.youtube.com/watch?v=66TuTcPWlVw
http://www.youtube.com/watch?v=2ICQmcYNuy4
http://www.youtube.com/watch?v=ZFFAxxcwbN8

12 mag 2012

I nuovi giovani verdeoro

Il Brasile tutto fa del calcio una religione. La ferita dei Mondiali 1950 è ancora aperta, quindi è naturale che tutti vedano nell'edizione 2014 la grande opportunità di riscatto storico.
Non è un caso che dal giorno della sconfitta con l'Olanda nel 2010 con conseguente defenestrazione di Dunga la CBF tutta abbia iniziato a lavorare per plasmare la nazionale del futuro.

Il Brasile nel frattempo è anche uno stato in forte crescita economica. Non più una nazione con prospettive future, ma una realtà del presente, destinata ad acquisire importanza anche grazie ai Mondiali 2014 e alle Olimpiadi 2016. La disponibilità economica e l'interesse suscitati fanno si che in Brasile circolino molti più soldi che nel recente passato, con conseguenze dirette anche sul mondo del calcio.

In Brasile i grandi club oggi possono permettersi di tenere i loro talenti, offrendo un posto da titolare e uno stipendio in linea (se non superiore) a quello che possono offrire club europei grazie a partnership con diversi sponsor. Ad esempio per coprire d'oro Neymar il Santos si avvale di qualcosa come 11 partner commerciali. Di sicuro qualcosa di complesso da costruire, ma funzionale all'obiettivo di trattenere il miglior talento in rosa.
Soldi e posto da titolare, dicevamo. Particolare fondamentale in vista di quel Mondiale in casa a cui tutti tengono. Se giochi mantieni visibilità e puoi andare in nazionale, come garantito da ct Mano Menezes.
Non è più importante andare in Europa e confrontarsi con un altro calcio. Basta giocare, anche in patria.
Equiparare il calcio europeo a quello brasiliano è però un grossissimo errore. Soldi o non soldi. Specie volendo creare una squadra pronta per affrontare una competizione internazionale.

Non mettersi in discussione cambiando realtà, nazione, contesto tecnico impedisce ai giocatori di esplorare tutto il loro talento, tralasciando il lato umano della crescita personale. Non sono spinti a imparare nulla di nuovo, e anzi tendono a esasperare gli aspetti che in Brasile sono più considerati e magari fanno la differenza, ma che in Europa storicamente vengono pesantemente ridimensionati.
La crescita fisica, tattica e tecnica viene sacrificata in nome di una certa presunzione nel sopravvalutare il contesto nazionale e della volontà di coccolare i propri ragazzini/idoli.
Perchè provocargli uno stress mandandoli dall'altra parte dell'oceano, dove vengono maltrattati con corsa e tattica e magari nemmeno li fanno giocare? Vuoi mettere il trauma per un Neymar costretto ad accettare una panchina? Meglio tenerli qui fino al 2014.

A furia di ripeterlo, finisce che i ragazzi ci credono.
Non a caso tutti i principali talenti esprimono la volontà di rimanere in patria fino al fatidico Mondiale col posto garantito o quasi in modo da trovare spazio nella rosa della nazionale.
Personalità? Crescita come giocatori? Voglia di imporsi? Ambizione?
Tutto sacrificato in nome di un sogno collettivo.

E se fosse un fallimento?



9 mag 2012

Bielsa a Bilbao, un'analisi

L'Athletic Bilbao di Marcelo Bielsa.
Troppa la curiosità suscitata fin dall'inizio da un binomio simile. Allenatore geniale, maestro dai tratti mistici con squadra unica per tradizione, fascino e gestione. Insieme sono stati la sorpresa dell'anno.
Per Bielsa il ritorno in Europa, ma forse sarebbe il caso di tralasciare la troppo breve esperienza all'Espanyol del 1998, ha visto delle difficoltà soprattutto a inizio anno e nella Liga, ma ha portato il suo Athletic a un risultato storico. A prescindere dall'esito due finali, di Copa del Rey e di Europa League, ottenute attraverso un calcio moderno, offensivo, giovane e organizzato. In particolare per la squadra è la prima finale europea dopo la Coppa UEFA persa nel 1976-1977.

Perchè allora si leggono spesso critiche a Bielsa e alla sua squadra come se non avesse fatto abbastanza?
Il vero spartiacque nella stagione e nei giudizi si trova nella doppia sfida col Manchester United. Indubbiamente il punto più alto della stagione, col 2-3 all'Old Trafford e il 2-1 in casa. Quella partita ha acceso più che mai i riflettori sul Bilbao, sul calcio del Loco, sui talenti baschi, creando tante aspettative.
Parliamo di aspettative nate ex post sulla scia emotiva di un doppio turno straordinario. Fino a quel momento nessuno si sognava di chiedere a una realtà come l'Athletic Bilbao chissà quali imprese nella Liga. Dopo si è cominciato a pretendere, lasciando però da parte dei presupposti fondamentali

Innanzi tutto la dimensione dell'Athletic Bilbao. Negli ultimi due anni la squadra si è posizionata ottava (fuori dalle coppe) e sesta (qualificata in Europa League) nella Liga. Un andamento medio, da basso piazzamento europeo se tutto va bene. Oggi la squadra è nona (peggiorata, ma qualificata ai preliminari di Europa League), ma ha dovuto affrontare per tutto l'anno tre competizioni, normale pagare qualcosa.
Direttamente collegata è l'analisi della rosa. 28 giocatori, tutti baschi, molti giovani, mediamente poco conosciuti, hanno portato avanti come si diceva tre competizioni fino alla fine, giocando qualcosa come 60 partite in stagione. Faticano a mantenere standard elevati in simili condizioni rose qualitativamente molto più attrezzate in club con ben altra esperienza e prestigio internazionale.
Una rosa giovane che vede davanti a se un risultato storico e inaspettato come una finale europea è normale che perda concentrazione sul campionato. La squadra non aveva e non ha l'esperienza e l'abitudine per gestire situazioni simili, ben al di la delle ambizioni di inizio stagione. In più c'è dell'ovvio logorio fisico. Per eliminare Manchester United, Schalke 04 e Sporting Lisbona (che a sua volta aveva eliminato il Manchester City) serve più del massimo.
I periodi di "crisi" in campionato si sono visti a inizio stagione, quando la squadra doveva ancora assimilare i dettami di Bielsa notoriamente particolari, dopo l'eliminazione dello United, a testimoniare un calo di concentrazione o motivazionale in campionato, e nelle ultime partite, con la finale di Europa League a una settimana. C'è davvero da stupirsi?

Altra critica che si sente riguarda i gol segnati. Se Bielsa è questo maestro di calcio offensivo, perchè soli 49 gol segnati? Meno del solo Messi?
Anche qui, basta dare un'occhiata alla rosa a disposizione del tecnico. L'unico attaccante vero a disposizione è Fernando Llorente, non a caso consacratosi definitivamente come centravanti di spessore europeo migliorando anche nella gestione del gioco. Per il resto solo rifinitori tecnici, ma con pochi gol nei piedi, o l'esperto Toquero, attaccante di gran corsa e sacrificio.

Grazie all'uomo di Rosario hanno lucidato il proprio talento in diversi. Muniain e il suddetto 9 stanno vivendo qualcosa di molto vicino alla consacrazione. De Marcos e Ander Herrera sono totalmente creature del Loco. Gomez e Itaurraspe erano appena delle comparse prima di inserirsi nei suoi schemi. Tutta la squadra ha dato più di quanto poteva, chiedere di più è pura utopia. E i tifosi di Bilbao, vicini alla squadra quest'anno come non mai, hanno recepito perfettamente il tocco empatico del loro allenatore, capace come nessuno di compattare attorno a lui realtà magari giovani con ambizione di arrivare nel calcio che conta.

Il vero limite dell'Athletic è che difficilmente potrà migliorare una stagione simile.
Bielsa ha ottenuto tanto, molto più del preventivato soprattutto in Europa. Per quanto la posizione in campionato sia ampiamente migliorabile, per pensare a un exploit da Champions League serve tanto, forse troppo ottimismo, specie considerando le politiche societarie sul mercato.
Per quanto la rosa sia composta da giovani con ampi margini di miglioramento, la partenza di Llorente (classe'85, ora o mai più) priverebbe l'intera fase offensiva di un suo cardine fondamentale difficilmente rimpiazzabile.


Accetterà l'allenatore una nuova sfida resa più ardua da aspettative decisamente innalzate?

3 mag 2012

La rana e lo scorpione

Ci sono cose che per quanto ci si sforzi di cambiarle, prima o poi rispuntano fuori perchè congenite, inscritte nella natura dell'individuo.

Stramaccioni ha provato a cambiare la natura dell'Inter, di una certa Inter.
Ma da Settembre (anzi da Giugno, che il precampionato pure è stato disastroso) a oggi la costante quando in campo, e in particolare in mezzo al campo, sono andati certi giocatori è stata una e una sola.  Oltre parole,proclami,obiettivi,allenatori,sfortuna,torti arbitrali.
La sconfitta. Senza appello nè giustificazione. Per sopraffazione fisica.

“Non posso farci niente: è la mia natura”

1 mag 2012

La storia si ripete

La Champions League rappresenta la massima competizione internazionale per club a livello europeo. Si può quindi affermare che i club che arrivano all'ambitissima finale rappresentano il top del calcio del vecchio continente. Teoria corroborata da un fatto.
Nelle ultime 4 edizioni si trovano sempre le stesse squadre in finale, ovviamente in combinazioni diverse, con l'eccezione dell'Inter vincitrice 2010.

Nel 2007/2008 ci fu la finale tutta inglese tra Chelsea e Manchester United, che Terry ricorderà per tutta la vita.
Nel 2008/2009 (finale che regalò il triplete e la leggenda a Guardiola) si sfidarono Barcellona e ancora Manchester United.
Nel 2009/2010 Inter-Bayern Monaco, col triplete nerazzurro.
Nel 2010/2011 ancora Barcellona e ancora Manchester United, per lo stesso esito.
Infine nell'edizione attuale Bayern Monaco e Chelsea, le uniche due a non aver mai vinto nelle combinazioni precedenti.

Un fatto sicuramente casuale, ma decisamente curioso.
Per la finale dell'edizione in corso, aggiungiamo che non ha mai vinto la Champions nè la squadra di casa nè una squadra di Londra. Uno dei due tabù è destinato a cadere.
Nemmeno il Barcellona stellare del ciclo di Guardiola invece è riuscito a vincere due edizioni consecutive, impresa mai riuscita a nessuno da quando parliamo di Champions League.